Il romanzo “recuperato” di Pippo Fava e quel diavolo che non è solo la mafia
La maestra e il diavolo è il primo romanzo di Giuseppe Fava ad essere stato pubblicato nel 1975 da Bompiani (Milano), col titolo Gente di rispetto.
Nel quarantennale dell’uccisione mafiosa dell’Autore, la Fondazione Giuseppe Fava ha deciso di ripubblicarlo per diversi motivi.
Perché, a differenza degli altri due romanzi, Prima che vi uccidano (ripubblicato dopo il 1976 nel 1990 e nel 2009), e Passione di Michele (ripubblicato nel 2009 dopo la prima edizione del 1980), Gente di rispetto è stato ripubblicato nel 1984 a ridosso dell’assassinio di Fava. Da allora non più, e chi volesse leggerlo adesso deve acquistarlo usato sulle piattaforme online.
Rendere nuovamente disponibile un testo di Fava è certo azione meritoria, soprattutto verso coloro che quarant’anni fa non erano ancora nati, ma i motivi principali sono soprattutto altri derivanti dal riordino dell’Archivio di Giuseppe Fava [1].
“La maestra e il diavolo” diventa “Gente di rispetto”
Va subito detto che nonostante sia stato pubblicato per primo, Gente di rispetto non è il primo romanzo di Fava. Il primo, scritto sul finire degli anni ’50 fu Prima che vi uccidano, che Bompiani pubblicò nel 1976.
Oltre alla cronologia, l’aspetto più importante che emerge dall’archivio riguarda il titolo originario scelto dall’Autore che non è Gente di rispetto, bensì La maestra e il diavolo.
L’edizione odierna recupera il titolo originario e include, in appendice, quattro documenti inediti dell’archivio, essenziali per capire l’intento dell’Autore che non volle assolutamente scrivere un thriller di mafia.
Il primo documento riproduce la copertina e la prima pagina del dattiloscritto di Fava, ma ben più importante è il secondo. Si tratta di una lettera esplicativa scritta propabilmente da Fava al proprio editor presso Bompiani, della quale si riporta uno stralcio: «Il senso della storia è appunto questo: la presenza del diavolo nel sud, il senso misterioso che hanno tutte le azioni degli uomini, le passioni, persino le parole. Questa maniera tragica e forse affascinante di concepire la vita. A un assassino possiamo dare nome, cognome e manette ai polsi. Ma il Diavolo che nome ha, come facciamo ad arrestarlo? E Tu, Bruno, amico mio, come puoi pensare che proprio io, piccolo giornalista scrittore, riesca a firmare questo mandato di cattura? Io che dentro il Sud ci sono nato e che ogni giorno ne patisco diaboliche tentazioni?»
Una storia ancora attuale?
Nelle recensioni al romanzo presenti in archivio, non si trovano commenti al titolo Gente di rispetto, e la gran parte di esse commentano un romanzo sulla mafia. Però nelle recensioni al film omonimo, il confronto film-romanzo è più frequente. Sul Corriere Mercantile Claudio G Fava definisce il film di Zampa «molto più convenzionalmente siciliano rispetto al romanzo del mio quasi omonimo collega Pippo Fava»; sul Giornale di Sicilia Gregorio Napoli titola: “Focosa maestrina del Nord nella Sicilia del “rispetto”. Sul settimanale Gente, Ornella Ripa fa una recensione negativa del film che “poco ha reso del pensiero originale del testo di Fava”, sottolineando che Fava non ha scritto un libro sulla mafia, e che il miglior titolo sarebbe stato quello originale La maestra e il diavolo mutato in Gente di rispetto per operazione commerciale cinematografica.
La recensione più importante è però quella di M. Palumbo sul Corriere d’Informazione del 27 ottobre 1975, perché contiene un’intervista a Fava, colta in occasione della prima mondiale del film. Il documento è stato pubblicato nel volume edito da Navarra; ne riportiamo uno stralcio che è stato riprodotto anche nella quarta di copertina: «Non era il titolo del mio romanzo. Lo hanno voluto loro. Il mio titolo era La maestra e il diavolo. Una maestra coraggiosa che prende coscienza della società e si batte contro il diavolo (il diavolo, non la mafia) cioè l’ignoranza, la cupidigia, la speculazione, l’egoismo e via degenerando…Anche il nome le hanno cambiato. Nel film la maestra si chiama Bardi e viene dal nord. Nel romanzo il cognome è Vizzini, ed è siciliana. Questa scelta è una stoccata antisiciliana, come se nessuno di noi fosse in grado di ribellarsi dal di dentro al male che c’è in Sicilia.»
A quasi cinquant’anni dalla prima pubblicazione, la storia di Elena Vizzini, la maestrina inviata a insegnare a Montenero Valdemone è ancora attuale?
La soluzione di questo controverso caso editoriale è oggetto della successiva conversazione a due voci tra Giuseppe Maria Andreozzi che cura e segue l’organizzazione dell’Archivio di Giuseppe Fava e Giuseppe Davide Di Mauro, che si è laureato recentemente presso l’Università di Catania approfondendo con i suoi studi il Fava scrittore.
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Giuseppe M. Andreozzi (GMA)
Giuseppe Di Mauro, secondo te il contenuto del romanzo è coerente col titolo scelto da Fava? E in caso affermativo, perché? E ancora, chi è il diavolo?
Giuseppe Di Mauro
Non solo il contenuto del romanzo è coerente con il titolo, ma per comprenderne pienamente il senso, il titolo originale è assolutamente necessario. Il nome Gente di rispetto pone il lettore nell’aspettativa di avere tra le mani una storia di mafia e, se fino a un certo punto questa aspettativa può trovare corrispondenza nel testo, tanti elementi suggeriscono che è qualcosa di ben diverso.
Anche per quanto riguarda l’identità del diavolo, il romanzo offre un primo livello di lettura che induce a identificarlo con l’avvocato Bellocampo, personaggio mefistofelico che di fatto, è un mafioso. La mafia è però solo uno dei possibili risultati della combinazione di determinate caratteristiche e dinamiche umane e sociali; quali?
Già Fava, nella citata intervista a Palumbo ne indica alcune ed è proprio rispondendo a questa domanda, grattando la superficie del romanzo per svelarne la componente simbolica, che è possibile rintracciare il vero diavolo, che è certamente la brama di potere, la cupidigia, la sopraffazione e la violenza (che Bellocampo incarna), ma è anche la disillusione, la passività, l’inazione e l’indifferenza di chi vede una situazione sbagliata e non fa nulla per cambiarla. È l’ignoranza. Tutti elementi che trovano una loro personificazione nel romanzo e che mostrano non solo come Fava riuscisse a caricare i propri personaggi di significati, ma anche di come il confine tra ‘buoni’ e ‘cattivi’ sia sempre sfumato, di come il diavolo possa albergare in qualche misura in ognuno dei personaggi e, per traslato, in noi lettori. In estrema sintesi, potremmo dire che il diavolo è l’insieme di tutti quei fattori che tendono a mantenere uno status quo basato sulle disuguaglianze e, di conseguenza, sulle prevaricazioni.
GMA
Se Fava ha scelto di identificare tutto il male nella parola diavolo, facendone un simbolo, qual è il ruolo di Elena Vizzini? È solo una maestra, o è LA MAESTRA, a tutte maiuscole, e simboleggia qualcosa di più?
GDM
È senza dubbio qualcosa di più. Certamente è una maestra, e quindi in quanto primo ‘antidoto’ contro l’ignoranza, già in questa sua dimensione professionale lotta contro uno di quegli elementi che, come abbiamo visto, compongono il diavolo.
In un appunto preparatorio del romanzo, Fava scrive, in buona sostanza, che la mafia può esistere ovunque ci siano le disuguaglianze e che non si possono superare queste ultime finché non si sconfigge l’ignoranza. Se ne deduce l’importanza enorme che Fava attribuisce all’istruzione, alla conoscenza. E quindi maestra sì, ma portatrice di una dirompente carica rivoluzionaria. Elena è poi anche altro. Arriva a Montenero Valdemone e lì si ritrova invischiata in una spirale di eventi che non comprende, ma dei quali cerca di svelare le cause; è una donna attiva, curiosa, intelligente, indaga la realtà del paese per comprenderla e, di fronte alle scene di miseria che le si parano davanti, non esita a mettersi in gioco in prima persona per cercare di cambiare le cose. In questo modo, con la sua lotta, contrasta un’altra componente diabolica, l’indifferenza.
E in questa sua lotta, inevitabile per lei dopo aver visto le tragiche condizioni in cui vivono molti dei suoi alunni, è quasi immediato scorgere quella che lo stesso Fava a suo modo combatte soprattutto negli anni Ottanta, ma già anche dai Sessanta, da Processo alla Sicilia, che è senza dubbio un importante snodo professionale ma ancor prima umano per l’autore. È poi interessante notare che Fava, sapientemente, inserisce un elemento biografico della protagonista che spiega come il suo punto di vista sulle cose sia singolare: la madre di Elena è una piemontese apertamente razzista e antimeridionale.
Avendo introiettato i preconcetti della madre, Elena è sì pienamente una donna del Sud, vi è totalmente immersa, ma riesce anche a guardarlo con quel minimo di distacco sufficiente a meglio comprenderne le incongruenze, le storture e quindi a leggerne più in profondità le dinamiche. Non da ultimo, Elena, protagonista del romanzo, è una donna, una donna che, pur vessata dagli eventi e irretita da falsi amici, non smette mai di determinarsi autonomamente, fedele a sè stessa. In questo si può leggere l’assoluta centralità nella società che Fava attribuiva alla donna (a differenza di altri, ben noti autori siciliani) e la modernità del suo pensiero.
GMA
Non sappiamo molto sulla cronologia degli eventi che portarono alla pubblicazione del romanzo. È probabile che Fava abbia inviato a Bompiani i due romanzi che aveva nel cassetto, Prima che vi uccidano e La maestra e il diavolo e che l’editore abbia scelto quest’ultimo, forse ritenendolo di maggiore attualità. Per quanto attiene il film, nella sua recensione sul Resto del Carlino del 27 ottobre 1975 Tino Della Valle [2] riferisce che Fava ha scritto il romanzo dopo l’inchiesta Processo alla Sicilia (1967), e che il manoscritto fu letto dal commediografo e sceneggiatore Turi Vasile che, a sua volta ne parlò a Zampa.
Luigi Zampa, che nel 1973 aveva firmato il film Bisturi: la mafia bianca, interpretò il testo di Fava come un racconto sulla mafia, un thriller di mafia, adottando il titolo Gente di rispetto, e senza chiamare Fava a collaborare sulla sceneggiatura.
Film e romanzo uscirono pressoché contemporaneamente (1975) e Bompiani cambiò il titolo del romanzo per non rinunciare a una copertina cinematografica con un magnifico primo piano di Jennifer O’Neill.
La parola mafia nel romanzo non compare mai. Il luogo è casualmente la Sicilia, ma potrebbe essere qualunque Sud del mondo, dove allignano diabolicamente il potere, la corruzione e la violenza, cioè il diavolo.
Giuseppe Di Mauro, nella tua approfondita ricerca che idea ti sei fatto su questo aspetto e sul cambio del titolo?
GDM
Esiste una lunga tradizione di ingerenze più o meno pesanti degli editori sul lavoro degli autori. Con i titoli spesso si gioca per semplificazione. È un po’ quello che è successo a Fava, complice anche la trasposizione di Zampa che, se da una parte ha favorito sicuramente al successo commerciale del libro, dall’altra è in effetti una semplice storia di mafia e quindi inevitabilmente ha anche contribuito a creare intorno al romanzo quelle aspettative di cui abbiamo accennato.
Fava non poteva digerire serenamente il cambio di titolo perché era consapevole di quanto fosse importante in relazione al messaggio del romanzo e si rendeva conto di come avrebbe portato a vedere il suo libro come uno dei tanti thriller di mafia. La trasposizione cinematografica, di fatto, non è altro che questo e non era facile uscire da un cono d’ombra tanto ingombrante, specialmente per un autore al suo debutto con un editore di rilevanza nazionale come Bompiani.
Fava era riuscito nel delicato equilibrio di scrivere una storia avvincente che usa l’elemento mafioso la mafia e gli stilemi del thriller per raccontare qualcosa di ben più profondo; per evitare equivoci e favorire l’interpretazione simbolica aveva scelto di non utilizzare mai il termine mafia, ma il titolo imposto dall’editore vanifica tutti i suoi sforzi. Che Fava volesse rendere simbolica la vicenda lo suggerisce la stessa ambientazione in un paese di sua invenzione, quel Montenero Valdemone ricalcato per larghi tratti su Palma di Montechiaro e creato come emblema del Sud. Un Sud, però, da intendere in un senso ampio, come luogo simbolico in cui le dinamiche innescate dalle disuguaglianze trovano le loro più feroci espressioni.
La mafia infatti, come abbiamo visto, è per Fava il sintomo di una malattia, della disuguaglianza e dell’ignoranza che impedisce di prenderne coscienza e risolverla; di qualcosa, quindi, che al Sud ha trovato una sua più esplicita manifestazione, ma che riguarda l’intera umanità.
L’intento di emanciparsi dal contesto siciliano lo possiamo riscontrare già, ad esempio, nel primo titolo che Fava assegna al primo romanzo da lui scritto, Prima che vi uccidano, cioè Il principio del mondo. In modo ancora più evidente, poi, lo leggiamo nell’ambientazione tedesca del suo terzo e ultimo romanzo pubblicato, Passione di Michele, incentrato non a caso sulle vicende di un giovane di Palma di Montechiaro. Un intento fortemente vanificato, se non del tutto compromesso, dal cambio del titolo voluto da Bompiani.
GMA
E veniamo all’epilogo, alle ultime parole del romanzo: «Sentì la tromba della corriera che risaliva lentamente il breve rettifilo e ricordò la frase finale dei Malavoglia: “Ora sarebbe tempo d’andarmene, prima che arrivi qualcuno. Ma il primo di tutti a cominciare la sua giornata è stato l’assassino!”[3] Aveva ancora venti secondi di tempo per decidere…»
Giuseppe, cosa decide Elena in quei venti secondi? Rimane o parte, fugge?…
GDM
Da narratore sapiente, Fava lascia la questione in sospeso, ben sapendo che tutte le possibilità sono valide e di conseguenza nessuna è pienamente ‘soddisfacente’, perché, come ha scritto saggiamente qualcun altro, «la vita non conclude».
Noi possiamo immaginare che Elena salga sulla corriera e torni a Catania, abbandonando la lotta intrapresa a Montenero. Possiamo supporre che resti e continui a combattere e poi, l’ipotesi più terribile, che rimanga a Montenero e, appresi ormai i meccanismi del potere, li sfrutti a suo vantaggio: la maestra che si fa diavolo.
Tutto è possibile e tutto è verosimile perché la protagonista creata da Fava è sfaccettata e complessa, come la realtà del Sud e valgono per lei le stesse possibilità di chiunque al Sud ci vive: restare e provare a cambiare le cose, restare e farsi complici attivi o passivi del sistema, fuggire. A me piace pensare che resti e motivo la mia scelta guardando alla biografia dell’autore che l’ha generata.
Quando nel 1980 Fava riceve la proposta di tornare a Catania per dirigere il nascente ‘Giornale del Sud’ si trova a Roma e la sua carriera da intellettuale è sulla rampa di lancio del successo e della notorietà nazionale e non solo (basti pensare all’Orso d’Oro al Festival di Berlino per Palermo oder Wolfsburg). Per lui, la corriera è restare a Roma. Sceglie invece di tornare a Catania, di fare ciò che è in suo potere per provare ad avviare un cambiamento tanto necessario quanto difficile da realizzare.
Elena, come il suo autore, per me resta a lottare. Una conferma di questo la possiamo rintracciare nella già citata intervista a Palumbo. Lì infatti Fava, che pure aveva lasciato aperto il finale del romanzo, rivela che nel suo pensiero Elena ritorna a Catania; contestualmente, però, dice di apprezzare il cambio di finale operato nella pellicola, dove appunto la maestra sceglie di non prendere la corriera e restare a lottare.
GMA
Anch’io sono rimasto stupito quando ho letto l’intervista a Palumbo; non immaginavo che il pensiero di Fava fosse far tornare Elena a Catania, senza speranza…
La speranza di redenzione è presente in tutti gli scritti di Fava…
Al di là di quanto riportato da Palumbo, per me l’epilogo scelto da Fava è pirandelliano; ogni lettore troverà la propria risposta.
E veniamo all’ultimo documento d’archivio inserito nel libro La maestra e il diavolo.
Fava nel 1975 pubblica il libro DONNA. Un libro d’arte, di grande formato, 50×35, stampato con torchio a mano, su carta Rosaspina. Il libro contiene 18 acqueforti, ognuna dedicata ad un differente personaggio femminile di Fava, che accompagnano un brano tratto dall’opera della quale è protagonista il personaggio prescelto.
L’acquaforte «questo è un incredibile paese…»[4] accompagna tre brani tratti da La maestra e il diavolo. Uno degli incontri d’amore con Michele, il racconto dell’euforia popolare all’approvazione della legge che avrebbe migliorato le condizioni di vita del paese, e la ricerca di Piturro, l’unico che conosce il nome degli assassini.
Ebbene, a fugare ogni discussione, il titolo che nel libro DONNA accompagna testo e acquaforte è appunto La maestra e il diavolo (brani dal romanzo ancora inedito).
Giuseppe Di Mauro, nella tua tesi di laurea [5], riporti alcuni giudizi molto positivi:
– Nino Milazzo definisce il romanzo «una fantastica ed emblematica tragedia siciliana»;
– Hollender, ritiene il testo di Fava «maggiormente di denuncia rispetto ai più rassegnati romanzi di mafia di Sciascia»;
Montuoro lo definisce «Un romanzo tra i più riusciti di questi ultimi anni, che accusa la grande malattia dell’isola e anela alla sua totale scomparsa in una società rinnovata. Lo vorremmo anzi collocare tra i primissimi perché pur essendo valido quanto quelli di un Arpino o di uno Sciascia […] appare, più di questi, dotato di un pathos umano di altissimo livello. »
Qual è il tuo parere su La maestra e il diavolo, è ancora oggi un romanzo da leggere?
GDM
Assolutamente sì. In prima battuta per la sua attualità, per quanto riguarda il ruolo della donna nella società, per la valenza forte che dà al ruolo dell’insegnante, oggi vergognosamente screditato, per le riflessioni che stimola riguardo gli effetti delle disuguaglianze. Poi per la visione tutt’altro che autoassolutoria (e in questo diversa da tanta letteratura siciliana) che dà del Sud.
Non da ultimo, perché credo che per rendere giustizia davvero a chi, come Pippo Fava, ha visto spezzare la propria vita per perseguire ideali di giustizia e verità non basta ricordare. La memoria non può restare qualcosa di passivo, una data sul calendario, ma deve essere un processo attivo di conoscenza, comprensione, dialogo. Solo così si può far fruttare l’eredità di queste grandi personalità.
Leggere oggi La maestra e il diavolo permette senza dubbio di conoscere un Fava diverso dal giornalista e di comprendere più a fondo la parabola di vita e professionale di un uomo che con coraggio ha scelto di svolgere secondo ciò che lui stesso ha definito un «concetto etico» il proprio mestiere e la propria attività intellettuale.
GMA
Non rimane altro che augurare buona lettura a tutti.
***
Note
[1] Dichiarato di interesse culturale dalla Soprintendenza Archivistica della Sicilia – Archivio di Stato di Palermo, con decreto n. 71 del 27 giugno 2018
[2] La recensione di Tino Della Valle riferisce che Fava ha scritto il romanzo dopo l’inchiesta Processo alla Sicilia, e che il manoscritto fu letto dal commediografo e sceneggiatore Turi Vasile, che ne parlò a Zampa. Della Valle riferisce anche che Fava ha gradito il film e il cambio del titolo del romanzo, che non è un romanzo di mafia ma la storia di una donna che prende contatto con le storture e vuole cambiarle. E, aggiunge il recensore, che Zampa ha definito questo film il primo vero film italiano veramente femminista. Il film è stato girato in lingua inglese, e dopo doppiato in italiano. Altre recensioni dissentono da questa linea, e riferiscono che Fava non gradì il cambio di titolo, né il cambio di etnia di Elena che da siciliana, diviene una maestrina del nord-Italia …
[3] Ora è tempo d’andarsene, perché fra poco comincerà a passar gente. Ma il primo di tutti a cominciar la sua giornata è stato Roccu Spatu… (I Malavoglia, G Verga)
[4] Riprodotta nella copertina del libro.
[5] Giuseppe Davide Di Mauro: Giuseppe Fava, narratore. Tesi di laurea triennale in Lettere Moderne, Dipartimento di Scienze Umanistiche, Università di Catania, anno accademico 2021-2022, relatore Prof. Giuseppe Palazzolo.
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https://www.liberainformazione.org/2024/04/02/la-maestra-e-il-diavolo/
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