Una dittatura di minoranza
Metà degli italiani non vota. Metà della metà vuol comandare.
Costituzione, democrazia, antimafia? “Me ne frego!” fa il General Mortacci. E il gregge, tutto felice, morde e ringhia.
Piccole cose da fare
Ogni tanto la nostra civile Europa (che va dagli Urali al Texas) si ricorda del Fardello dell’Uomo Bianco e comincia, come dire, a dare un po’ di matto. La cosa. dopo due o tre guerre terrificanti, finisce con un po‘ di macerie e un temporaneo ritorno alla ragione. Noi italiani – popolo di artisti – ci mettiamo del nostro, e alla patologia comune aggiungiamo Fascismo e Mafia.
Fascismo è una malattia milanese, meglio dire padana, che cola da sopra a sotto. La mafia invece è letteralmente cosa nostra, meridionale e sicula, e ogni volta è una fatica del diavolo spingerla fin su a Reggio Emilia o Piazza Affari. Un quarto degli italiani soffre periodicamente, tipo varicella o morbillo, dell’uno o l’altro morbo, qualche volta di entrambi. “Mali di crescita – sospirano i medici di famiglia – Prima o poi se ne vanno”.
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I sintomi colpiscono giovani e vecchi. A Partinico, Sicilia, fanciulli che, calcandosi la coppola in fronte, “nenti visti – dichiarano – e nenti sacciu”. A Roma, nel liceo dei signori, i pargoli riempiono invece i muri coi nomi delle compagnette che una volta o l’altra hanno toccato. I moderni sistemi pedagogici escludono punizioni.
A parte ciò ruberie, sparatorie, matti vestiti da generali, bimbi affogati in mare e tutto il resto. Ogni tanto uua novità, un festival o uu’elezione: qualcuno vince, qualcuno perde e per un paio di giorni non si parla d’altro. C’è chi corre e chi no. Dei primi, i più svelti afferrano ciò che capita, urlando “Il duce sono io!” e si pavoneggiano. Gli altri discutono gravemente del mondo.
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La maggioranza è divisa per luoghi, età, diffidenze e condizioni. Però costituisce gran parte del nostro popolo, con l‘unico problema di non sapersi parlare.
Noi, con questo vizio del giornalismo, ne raccogliamo le storie. A Palermo, ad esempio, la maggior parte degli studenti schifa la mafia e fischia i politici mafiosi. A volte le guardie li picchiano e a volte no. Comunque loro complottano per continuare. Noi parliamo con loro.
A Firenze, Catania e altri luoghi dei ragazzi lottano per salvare il pianeta (che qua e là sfiora già i 50 gradi) e lo fanno con azioni pacifiche, tipo gettare coriandoli sulla folla. Li afferrano per braccia e gambe e li portano via. Noi parliamo anche con loro.
A Napoli sono trasportatori e facchini a ribellarsi (pretendono di essere pagati): scioperi, folle e cortei da Ottocento. Noi parliamo anche con loro. Parliamo con tutti quelli di cui non si parla, e li aiutiamo a parlare.
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Sì. ma tutto questo “noi” chi diavolo è? E che ne so. So solo che questa storia dei Siciliani dura da molto tempo, una delle più italiane e più profonde tipo, forse, il partito d’azione dal Non Mollare ai partigiani. Una diecina di grandi anime, preti, operai, scrittori, gente di stato; nord e sud parimenti; e due o tre dei più belli e più seri movimenti giovanili, da Palermo a Milano, a Napoli, a Bologna, a Catania, a Modica, a Mexico City. Metropoli e paesi, parrocchie e centri sociali, quartieri, favelas, facoltà e periferie.
Questo foglietto che stiamo leggendo esce, in un modo o nell’altro da quarant’anni. Di rado invitati ai dibattiti ma presenti dovunque succede qualcosa, noi non facciamo convegni sulla mafia, noi andiamo di forza a rompere le scatole ai mafiosi a casa loro.
Decine di ragazzi e ragazze, per quattro generazioni, sono passati per questa casa. Tutti vi hanno imparato e tutti insegnato qualcosa. Non c’è stata lotta o dolore, in questa nostra storia italiana, che non sia passata di qua. E ora dovremmo preoccuparci per un po’ di spazzatura massomafiosa?
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L‘antimafia sociale, “il partito di Falcone e dei ragazzini”, “le scarpe dell’antimafia”, facciamo rete”: questo siamo noialtri. Non siamo certo perfetti, e non siamo i soli. Ma non ci siamo scordati di Pippo Fava, e sappiamo chi è al centro del potere, ed è la mafia.
Abbiamo solo un problema da risolvere, il nostro livello organizzativo. Esso è (giustamente) del tipo garibaldino o partigiano. A volte perfettamente inquadrati, a volte con più entusiasmo che disciplina. Coraggiosissimi sempre, al limite dell’incoscienza, a volte coordinati e vicendevoli, a volte ognuno per sè e Dio per tutti. Chi organizza lo sa, lo comprende e sa aspettare.
Adesso però aspettare è difficile. Dobbiamo abituarci in fretta a far forza comune. A tollerare le divergenze, le varie storie, persino i piccoli sgarbi. A farne addirittura pretesto per più unità. E più allegria.
Abbiamo una missione precisa, più nostra che d’ogni altro: dobbiamo eliminare la mafia, il potere mafioso. Scomparsa questa zavorra, l’Italia s’innalzerà. Non c’è soluzione di problema, politico o sociale o della vita, che non cominci da qui.
Dobbiamo contribuirvi tutti, perché questa è una Resistenza. Se sei passato una volta dai Siciliani (o arrivi adesso: qua s’impara in fretta) questa, qui e ora, è una chiamata personale per te.
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