La Festa della Repubblica, i pericoli per la Repubblica
Il 2 giugno 1946 gli italiani e, per la prima volta, le italiane andarono alle urne e scelsero la Repubblica. Le frontiere di questa nuova patria erano state tracciate dalla Resistenza e furono poi messe in sicurezza dalla Costituzione.
Non si tratta dei confini territoriali, perché la Repubblica nata dalla lotta al nazifascismo si è da subito dichiarata terra d’asilo per tutti gli stranieri ai quali nei paesi di origine è impedito l’esercizio delle libertà democratiche e ha consentito le limitazioni di sovranità necessarie a creare un ordinamento internazionale di pace e giustizia. Due guerre mondiali avevano insegnato che ogni frammento della Terra doveva essere casa per qualsiasi essere umano.
Insomma, i confini della democrazia sostanziale, quei diritti individuati nella prima parte della Costituzione, sono presidiati dall’architettura della democrazia procedurale disegnata nella seconda parte della Carta. Di questa architettura sono parte essenziale i tanti magistrati, giudici e pubblici ministeri, che con le loro prerogative di indipendenza bilanciate da doveri di professionalità, ogni giorno contribuiscono a difendere i diritti delle persone, specialmente delle più vulnerabili, dei più poveri, delle minoranze, di chi è senza voce e rappresentanza nel circuito sociale e politico.
Mettere mano alla seconda parte della Carta significa incidere anche sulla prima, sui principi fondanti la democrazia repubblicana. Lo abbiamo sempre denunciato – ad esempio, in occasione dei referendum costituzionali del 2006 e del 2016 – e torniamo a farlo oggi, quando si annunciano riforme che potrebbero farci valicare quelle frontiere di cui abbiamo detto.
Mentre l’autonomia differenziata aumenterà le sperequazioni tra territori ricchi e poveri e tra i diritti delle persone che in quei territori vivono, a partire da quello essenziale alla salute, il premierato rischia di consegnare a una maggioranza politica – artificialmente costruita attraverso il meccanismo elettorale dei premi senza soglia minima di voti – non solo la guida del Governo, ma anche il comando sul Parlamento, nonché le istituzioni di controllo e garanzia, a partire da Presidente della Repubblica e Corte costituzionale. Accanto a queste proposte di riforma si colloca quella sulla “separazione delle carriere”, che sembra comporre un ulteriore tratto di strada nella direzione autocratica e verticistica che si vuol far imboccare alla nostra Repubblica. La separazione delle carriere pare essere soltanto l’occasione di un disegno di legge che mira a mettere sotto controllo e rendere più innocuo sia il pubblico ministero sia il giudice, asservendone il governo autonomo alla componente politica – l’unica non sorteggiata, a dispetto delle parole usate nel progetto di legge – e costruendo ordini giudiziari gerarchizzati, in cui la giustizia disciplinare sarà nelle mani dei piani alti.
Mai come quest’anno, dunque, celebrare la Repubblica non significa sventolarne il vessillo tricolore, ma tornare a soffermarsi sul suo vocabolario costituzionale, per attuarlo e dargli forza e vigore.
L’Esecutivo di Magistratura democratica
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