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Gramsci. Quella casa-museo a Ghilarza e la “grandeur” che ogni tanto ci manca

Nando dalla Chiesa il . Cultura, Memoria, Politica, Sardegna

Se fossimo in Francia…Chissà perché mi è capitato di ripetermelo più volte contemplando quelle sei stanze su due piani, quei cimeli ospitati con sobrietà perfino eccessiva.

Forse perché mi è rimasta in mente una notizia data con enfasi dai giornali circa mezzo secolo fa. Ovvero i fasti riservati in Francia all’opera gramsciana ai tempi della grande avanzata del Partito comunista italiano. Vi si descriveva l’attenzione quasi elettrica dedicata dalla cultura francese al pensiero di Gramsci, e al successo dei suoi “Quaderni”, allora ripubblicati in opera critica da Einaudi. Mi ero sentito importante anche io, da giovane lettore di quell’opera, poi sottolineata con colori diversi in ogni mia era geologica.

Già, se fossimo in Francia. Con quella bravura francese a fare le cose in grande, a erigere musei, a celebrare la storia nazionale.

E invece in Italia chi sa che cosa sia Ghilarza? A me lo ha spiegato una mia neolaureata, Sofia, quando ho visto che portava a tracolla con naturalezza una borsa di tela con l’effigie di Gramsci. “Prof, ma io sono di Ghilarza, il paese di Gramsci”. Incasso senza fiatare, per non sfigurare. Mai sentito, e sì che in Sardegna per libri, università, Libera e perfino politica ci sono andato più volte. Controllo le fonti. Ennò, Gramsci è nato ad Ales, piccolo paese in provincia Oristano.

“No, prof, è nato ad Ales, ma è cresciuto e ha studiato a Ghilarza, sempre in provincia di Oristano. Vuole che non lo sappia? Faccio parte del direttivo dell’associazione intitolata a lui. Perché non viene da noi a presentare un libro? Così vede anche la sua casa e la sua scuola”.

Affare fatto. Questa cosa dei giovani che insegnano agli anziani mi appassiona. Su Gramsci poi…

Così eccomi di primo pomeriggio in una piazzetta (“piazzetta Gramsci”) di un paese sardo di 4mila e passa abitanti. Davanti a una casa-museo senza andirivieni. Se non avessi accanto l’entusiasmo di Sofia Cheratzu e di Paolo Piquereddu, il direttore della casa-museo, non mi renderei conto di essere dentro qualcosa di storicamente straordinario.

Poi però alcuni oggetti, alcune foto. La foto scattata dal regime fascista al suo nemico mortale. Le foto intoccabili degli originali dei Quaderni, che si possono sfogliare attraverso una di quelle splendide diavolerie tecnologiche dei musei odierni.

Su un mobile spiccano gli occhialini. Massì, quegli occhialini rotondi e chiari che mi facevano impazzire. Ne comprai un paio e mi ci feci fotografare con grandi baffi neri sdraiato con libro in mano su un letto del pensionato Bocconi. Ora quelli veri sono qui.

Teche con libri e documenti. C’è anche (e questo è un vero tesoro di antropologia politica!) la cassetta metallica in cui venivano custoditi i soldi della rivoluzione. E uscendo dalla casa, dotata di forno esterno, ecco la scuola elementare dove il grande intellettuale imparò a leggere e scrivere. Pietre e calce, un pianterreno, una sola porta di accesso in legno antico. Accanto, una antica fontanella verde. Qui imparò l’italiano, qui imparò a scrivere “quistione” invece di “questione”.

Chiedo perché tutto ciò non abbia generato un grande museo, perché lungo la strada, anche all’ingresso del paese, non ci sia una segnaletica (“Casa di Gramsci”), dove portare i turisti che sappiano di cultura, mica tutti verranno in Sardegna a cercare il “Billionaire”, o no?

Sofia risponde che diverse cose sono all’Istituto Gramsci a Roma, forse anche a Cagliari, che ci sono lavori in corso per ampliare il museo nella casa di famiglia in corso Umberto, e questo mi fa piacere, ci mancherebbe altro.

Ma qui, nel suo luogo di formazione, nella Sardegna che vanta con giustificato orgoglio le sue tradizioni, perché non nasce qualcosa di grande?

E sì – penso – che di soldi per il turismo qui se ne sono spesi. Potranno mai essere le divisioni politiche a mortificare la storia? Ma no, è impossibile. Oh, se fossimo in Francia…

Il Fatto Quotidiano, Storie Italiane, 27/05/2024

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