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Quando in cattedra salgono gli studenti

Donatella D’Acapito il . Caso Alpi-Hrovatin, Cultura, Giovani, Informazione, Lazio, Memoria

Il 23 maggio sono andata nell’istituto comprensivo “Francesca Morvillo” di Roma per parlare dell’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Un impegno voluto e accolto con entusiasmo e che è risuonato come la sveglia civile ricevuta in quella data nel 1992.

Ho trascorso i giorni precedenti a prepararmi, cercando legami e assonanze fra l’omicidio di Mogadiscio e le stragi di mafia; ho ricostruito le tappe del caso dal 20 marzo del 1994 fino alla morte della signora Luciana (la mamma di Ilaria); ho ripreso le relazioni delle Commissioni Parlamentari d’inchiesta e gli atti del processo di revisione a Hashi Omar Hassan. Insomma: ero pronta per “salire in cattedra”, ma alla fine in cattedra ci sono saliti gli studenti.

Questi ragazzi di seconda e terza media sono andati al sodo con la concretezza e la freschezza che è propria di chi non pensa alla forma. La storia di Ilaria e Miran la conoscevano, perché con le loro docenti si erano preparati – e anche bene, ma quello che volevano sapere era perché ha senso battersi per la verità, perché cercarla fino alla fine e perché la verità può fare così tanta paura.

“Perché” e non “se”: loro, che nella maggior parte dei casi ancora devono capire cosa fare da grandi, avevano già scelto la verità. Magari questa cosa non varrà per tutti, o probabilmente vale ora e nella vita, poi, prenderanno altre strade. Ma questi giovani sono stati esposti al desiderio di verità e giustizia che uno Stato deve sentire come proprio e ciò equivale a un vaccino.

Con le insegnanti hanno celebrato il 23 maggio non fermandosi alla retorica del racconto della strage. Una retorica che per tanti dei miei ragazzi, più grandi d’età, si traduce in un ricordo sterile che classifica questi fatti come qualcosa di inevitabile e assodato: “Lo Stato è mafia”, mi sento spesso dire in maniera provocatoria.

Loro però erano curiosi di sapere altro. E per rispondere sono dovuta entrare in contatto con la parte più intima di me.

Smetterò mai di cercare la verità e, nello specifico, la verità sul caso Alpi? A chi fa paura oggi la verità?

Non sono domande che prevedono una risposta circostanziata: sono domande che ti interrogano su come affronti la vita. Come si può pretendere la verità? Raccontando, ricordando e, soprattutto, cercando di essere credibili nella propria vita. Così come fa Marco Genovese, attivista di Libera, che anche in questa occasione ha offerto ai ragazzi la sua esperienza e il suo punto di vista.

È questo il senso della memoria: testimoniare vuol dire dare prova. Quale prova migliore se non quella di cercare di fare bene ciò che siamo chiamati a fare nella quotidianità? Non avrebbe senso raccontare che Ilaria era scrupolosa, era brava nel suo lavoro perché si era lungamente preparata se poi non si fa bene il proprio dovere.

Chi può temere ancora oggi la verità? Ognuno di noi. Perché sappiamo che non è andata come volevano farci credere e non possiamo girarci dall’altra parte. Perché un paese ha bisogno di sapere che sono le istituzioni a garantire e pretendere l’applicazione della giustizia. Perché se è accaduto, può accadere ancora.

Ilaria e Miran, così come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tanti insieme a loro, sono morti perché non hanno accettato verità di comodo, perché non hanno fatto finta di niente. Se lo hanno fatto loro svolgendo il proprio lavoro, perché tutto volevano essere tranne che diventare degli eroi, allora vuol dire che lo possiamo fare anche noi. Costa fatica? Sì, molta. È rischioso? Forse meno di quel che si pensa, se ci ricordassimo che siamo di più di chi vuole sottomessi e rassegnati e, soprattutto, di chi non ci vuole liberi.

Una prof, per spiegare ai ragazzi perché ci riguarda il traffico di rifiuti su cui Ilaria ha lavorato, ha chiesto alla classe: “Volete che il vostro quartiere sia pulito, che il futuro sia più sostenibile, ma se dovete buttare l’aspirapolvere vecchio, cosa fate?”

La richiesta di verità e coerenza interroga tutti noi. Scegliere da che parte stare è quello che decidiamo ogni giorno. Noi, cosa decidiamo di fare?

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