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Separazione delle carriere, tre inganni a cui sfuggire per comprendere la pseudo-riforma

Gian Carlo Caselli il . Costituzione, Diritti, Giustizia, Istituzioni, Politica

Attenzione prima di tutto agli inganni tipo gioco delle tre carte! Mi spiego: la separazione delle carriere viene presentata come riforma della giustizia, mentre per una tale riforma ci vorrebbe ben altro.

Infatti il problema dei problemi della giustizia italiana è la durata biblica cioè interminabile dei processi. Al riguardo la sedicente riforma della giustizia non prevede niente di niente. La lunghezza dei processi continuerà ad essere vergognosamente indegna di un paese civile. Con concreti vantaggi per chi può e conta e quindi con una grave asimmetria nel sistema democratico a tutto discapito dei soggetti deboli che di giustizia avrebbero più bisogno.

Altro trucco ingannevole è quello di presentare il colloquio svoltosi tra due rappresentanti del governo Meloni (Nordio e Mantovano) con il Capo dello Stato Mattarella come fosse una sorta di avallo della riforma da parte di quest’ultimo. Nulla di tutto ciò.

Mattarella è stato come ovvio in assoluto silenzio e i primi commenti parlano semmai di freddezza. Di più: l’onorevole Enrico Costa di Azione, parlamentare che sforna a getto continuo provvedimenti e proposte di certo non gradite ai magistrati, ha bacchettato l’iniziativa di tale colloquio come una “sgrammaticatura istituzionale”, invitando gli autori a “non tirare per la giacca il capo dello Stato nelle loro sbracate strumentalizzazioni elettorali” (Liana Milella su Repubblica).

Quanto al merito della pseudo-riforma, tra le 1000 cose che si potrebbero osservare mi limito a questa: senza nulla togliere alla specificità delle funzioni del pubblico ministero, il suo ancoraggio alla cultura della giurisdizione (interfaccia della comunanza delle carriere) è nel nostro sistema un irrinunziabile elemento di garanzia.

Elemento di garanzia che verrebbe inevitabilmente travolto dall’attrazione in una cultura diversa, come sarebbe (e così è in tutti i paesi in cui vi sono declinazioni della separazione delle carriere) la cultura del pm che di fatto dipende dal potere esecutivo, non importa di che colore. Basta chiedersi che differenza fa, di fronte ai misteri dei servizi deviati o ai casi di maltrattamenti ad opera di forze di polizia, un pubblico ministero giudice o un pubblico ministero superpoliziotto, nel senso di dipendente dall’esecutivo come le forze dell’ordine.

Ultima trappola, l’abuso che si fa della parola garantismo: quando si dimentica che le garanzie o sono veicolo di uguaglianza o degradano a strumento di sopraffazione e privilegio.

Il Fatto Quotidiano, il blog di Gian Carlo Caselli

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