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dalla Chiesa e noi dell’antiterrorismo

Gian Carlo Caselli il . Costituzione, Criminalità, Forze dell'Ordine, Giustizia, Memoria

Il Nucleo speciale antiterrorismo dei Carabinieri venne costituito cinquant’anni fa dal governo Rumor subito dopo il sequestro da parte delle Brigate rosse del magistrato genovese Mario Sossi.

Il primo attacco “al cuore dello Stato” al cui stesso livello le Br volevano collocarsi, pretendendo in cambio della liberazione di Sossi la scarcerazione di alcuni detenuti nel carcere di Marassi definiti  “prigionieri politici”.

La Cassazione assegnò l’inchiesta a Torino dove il Nucleo stabilì la sua base, con l’incarico di trovare e arrestare (d’intesa con l’Autorità giudiziaria della città) gli autori del sequestro Sossi. Il Nucleo era composto da 40 uomini al comando del col. Giuseppe Franciosa ma di fatto guidati dal gen. Carlo Alberto dalla Chiesa. Senza limiti di competenza territoriale.

Carabiniere come nessun altro, dalla Chiesa tuttavia…disubbidì.  Nel senso che prima di tutto si mise alla ricerca delle Br come gruppo, ricostruendone le modalità di proselitismo, reclutamento, addestramento, procacciamento di armi e “covi”, in sostanza la struttura organizzativa e gli obiettivi “politici”. Con la finalità di disegnare una rete nelle cui maglie meglio si sarebbero potuti inserire i singoli delitti specifici commessi dall’organizzazione: a partire proprio dal sequestro Sossi,  in effetti ricostruito nei dettagli, dagli esecutori al luogo di prigionia.

Per le Br Torino – città eminentemente comunista e operaia – era una specie di Palazzo d’inverno da espugnare a colpi di omicidi e “gambizzazioni”. Invece fu Torino a sbrecciare le fortificazioni dell’organizzazione criminale, grazie all’imponente materiale probatorio  via via raccolto dal Nucleo con indagini tradizionali e con il sapiente uso di infiltrati come “frate mitra”, al secolo Silvano Girotto.

Riuscendo a superare mille ostacoli. Da un lato la diffidenza ostile di una parte dell’opinione pubblica: quella miope dei “compagni che sbagliano” e quella irresponsabile del “né con lo stato né con le Br” (con la nota folkloristica, personale, di uno spettacolo al palazzo dello sport di Torino, gremito di gente, dedicato al generale dalla Chiesa e al suo servo, il giudice Caselli…).

E nel contempo l’impressionante volume di fuoco scatenato dai terroristi. I quali, nel loro fanatismo ideologico, erano convinti che “la lotta armata non si processa”, salvo disvelare il vero volto fascista dello stato. Invece il contrasto delle Br a Torino fu sempre condotto nel pieno rispetto delle regole processuali e persino dell’identità politica degli imputati. E per le Br fu l’inizio di una crisi profonda, ancora lunga  e insanguinata, ma irreversibile.

Decisivo, quindi, fu l’apporto del Nucleo speciale CC di dalla Chiesa: al punto di rendere assolutamente incomprensibile (allora e ancora oggi) la motivazione dello scioglimento di fatto – dopo un paio d’anni – di tale Nucleo e di quello altrettanto importante della Polizia di Stato diretto dal questore Santillo (un  caso  non frequente di sana e fruttuosa concorrenza…). Salvo poi  correre ai ripari dopo il sequestro di Aldo Moro, ricostruendo un Nucleo speciale, questa volta interforze, affidandolo di nuovo a dalla Chiesa.

Così il generale divenne protagonista della fase investigativo-giudiziaria che portò (partendo da Patrizio Peci, “gestito” proprio da dalla Chiesa in perfetta sintonia con la magistratura torinese) ad una slavina di pentiti, segnale inequivoco che i terroristi erano “scoppiati” politicamente, e non credevano più nel mito fasullo della lotta armata come palingenesi.

Mentre si consolidava  il mito reale  di dalla Chiesa come eroe dell’antiterrorismo, innescando  – forse – una  spirale ambigua che lo portò a morire a Palermo.

Mi riferisco al fatto che il governo, nell’assegnargli l’incarico di superprefetto antimafia, gli aveva promesso adeguati poteri “speciali”. Mai conferiti…

Forse perché, invece della volontà di debellare la mafia, c’era soprattutto (lo scrive lo stesso dalla Chiesa in un suo diario personale) quella di “sfruttare il nome dell’eroe dell’antiterrorismo”.

Fonte: La Stampa

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