A sostegno dei magistrati della Procura e della Corte penale internazionale
Lo Statement emesso il 20 maggio 2024 dal Procuratore presso la Corte penale internazionale, con il quale annuncia di avere depositato alla sezione predibattimentale della Corte la richiesta di mandati d’arresto relativi alla situazione dello Stato palestinese, è stato oggetto di un fuoco di fila politico-mediatico di fronte al quale Magistratura democratica, come associazione indipendente di magistrati, non può tacere.
La giurisdizione della Corte sui crimini di guerra e contro l’umanità commessi sul territorio di uno Stato Parte o da cittadini di uno Stato Parte (in questo caso la Palestina, che ha ratificato lo Statuto di Roma nel 2015) corrisponde a nozione unanimemente riconosciuta nel settore del diritto internazionale penale, sia con riferimento alla giurisdizione ratione materiae (articoli 7 e 8 dello Statuto) che con riferimento alla giurisdizione ratione personae et loci (articoli 11 e 12 dello Statuto).
Le dichiarazioni di alcuni leader politici mondiali, che hanno definito “abnorme” e “scandalosa” l’iniziativa della Procura penale internazionale, non hanno quindi fondamento giuridico e mirano piuttosto a delegittimare la Procura e a esercitare un’indebita pressione sui Giudici che dovranno pronunciarsi sulle richieste di arresto.
Di fronte a questi tentativi di ingerenza politica nei confronti di un organo nato e strutturato come autorità giudiziaria indipendente, manifestiamo piena solidarietà ai magistrati della Procura e della Corte penale internazionale, non dimenticando che spesso essi vengono fatti oggetto di minacce e ritorsioni anche sul piano personale: come è avvenuto nel 2020, quando l’amministrazione statunitense ha dichiarato un vero e proprio stato d’emergenza riguardante la Corte penale internazionale, comprensivo di sanzioni personali contro l’allora Procuratrice, Fatou Bensouda; e come avvenuto ancora di recente, quando l’amministrazione russa ha inserito il giudice Rosario Aitala nella lista dei ricercati per avere firmato, il 17 marzo 2023, il mandato di arresto nei confronti di Vladimir Putin.
Non si può essere garanti della democrazia e dei diritti umani a corrente alterna e a seconda delle alleanze geopolitiche. L’esistenza di una giurisdizione universale effettiva sui crimini di guerra e sui crimini contro la pace e contro l’umanità è una condizione, essenziale e imprescindibile, di coerenza democratica, non potendosi sostenere, a parole, la democrazia e i diritti umani e al contempo rifiutare che vi siano limiti esterni all’uso della forza da parte degli Stati; limiti che non derivano dai rapporti di forza a monte né dall’obiettivo politico contingente o dalla potenza militare di uno Stato, ma dalla centralità giuridica della persona umana, che non dovrebbe mai essere reificata e disumanizzata a tal punto da essere considerata “mezzo” o “danno collaterale” di strategie e azioni militari.
Se si nega questo principio, si nega la possibilità della specie umana di proteggere sé stessa dall’autoestinzione.
Per questo sono stati adottati strumenti di diritto internazionale che, a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, disciplinano anche i conflitti armati, come le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e le Convenzioni Onu contro il genocidio e la tortura.
Non possiamo ignorare che la stessa esistenza di una giurisdizione penale universale ‒ una giurisdizione sovranazionale proprio perché non ha una nazione alle spalle ‒ rappresenta in sé e per sé una sfida enorme per il diritto, in quanto le pressioni politiche e i rapporti di forza tra gli Stati vanno inevitabilmente a impattare sui reali margini di azione e sulle concrete possibilità, investigative e giurisdizionali, di una Corte che non può lavorare se non in forza della collaborazione degli Stati Parte e della non ostilità degli Stati che, pur non avendone ratificato lo Statuto, non dovrebbero comunque contrastare l’attività giudiziaria di una Corte altamente rappresentativa a livello mondiale e della quale fanno già parte 123 Stati.
La feroce e cieca violenza utilizzata da Hamas nell’attentato del 7 ottobre 2023 contro civili israeliani inermi, le uccisioni e gli stupri di massa di ragazze e bambini e il rapimento di centinaia di ostaggi, molti dei quali, presumendone la sopravvivenza, risultano ancora nelle mani di Hamas, non possono andare esenti da un’indagine internazionale; così come non si può rivendicare alcuna immunità “a prescindere” per la manifesta sproporzione della reazione del governo israeliano, il quale, come riportano gli addebiti provvisori emessi dalla Procura (in conformità, peraltro, alla situazione di fatto già delineata dalle pronunce ad interim della Corte internazionale di giustizia, del 26 gennaio e del 28 marzo 2024, con le quali è stata ordinata allo Stato di Israele l’adozione di misure urgenti a salvaguardia della popolazione civile palestinese, che il governo israeliano ha deliberatamente ignorato), avrebbe utilizzato la fame come arma di guerra, lasciando morire senza nutrimento migliaia di persone tra cui moltissimi minori, e avrebbe deliberatamente attaccato la popolazione civile anche in zone protette dalle convenzioni di Ginevra, realizzando lo sconcertante bilancio di oltre 30.000 vittime civili.
Per questi motivi supportiamo il lavoro dei magistrati della Procura e della Corte penale internazionale e ci auguriamo che i leader politici e i Capi di Stato, in particolare degli Stati europei e occidentali, che costruiscono le proprie leadership sulla difesa della democrazia, sappiano osservare la necessaria coerenza e cessare ogni indebita pressione e tentativo di intimidazione nei confronti della Corte, e si concentrino, piuttosto, su politiche che promuovano, anziché mettere a rischio, l’indipendenza delle giurisdizioni, all’interno e all’esterno dei confini nazionali.
L’Esecutivo di Magistratura democratica
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