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Nelle parole di Giovanni Falcone il peso di “Cinquant’anni di mafia”

Giorgio Bongiovanni * il . Giustizia, Informazione, Mafie, Memoria

Saverio Lodato torna in libreria raccontando la storia di una guerra infinita.

Le parole che sentirete in quest’audio che proponiamo ai lettori sono di Giovanni Falcone. Un documento eccezionale che merita di essere sentito con grande attenzione.

Il giorno in cui furono dette è quello del 16 settembre 1990, in occasione della presentazione del libro “Dieci anni di mafia” (edito dalla Rizzoli), del giornalista e scrittore Saverio Lodato, che si tenne a Modena in occasione della Festa dell’Unità.

“Un fatto mi sembra importante – diceva Falcone – che questo libro sia riuscito a dare un filo conduttore a tutta una serie di avvenimenti che si sono svolti in un arco di tempo non indifferente,  cioè dieci anni, e soprattutto in un periodo in cui si sono verificati i fatti più significativi della repressione statuale rispetto al fenomeno mafioso (…) Io credo che la caratteristica di questo libro è che sia riuscito finalmente a dare una visione unitaria di queste vicende”.

E poi ancora, in maniera quasi profetica, offriva un quadro allarmante di uno Stato che non sosteneva il lavoro di chi era in prima linea contro la mafia.

“Si muore quando un dito indice, che proviene dall’interno delle Istituzioni, ti offre alla vendetta mafiosa e ciò avviene non soltanto se tu fai un passo avanti ma se quelli che restano accanto fanno un passo indietro”.  “Non è un caso – aggiungeva ricordando il sanguinario attacco delle mafie contro poliziotti, magistrati e giudici avvenuto negli anni ’70 e ’80 – se tutte le uccisioni si sono realizzate esclusivamente nei confronti delle persone che erano particolarmente esposte e lo erano non soltanto per la loro specifica attività, ma perché di fronte al loro particolare impegno c’è stata l’inerzia, l’ignavia e il disinteresse di tanti altri che avrebbero dovuto fare e che invece non hanno fatto”.

Il giudice palermitano, che verrà ucciso quasi un anno e mezzo dopo a Capaci, il 23 maggio 1992 assieme alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, dava un grande valore al lavoro di Saverio Lodato.

Sempre nel settembre del 1990, in una pubblicazione su Micromega, il magistrato palermitano riconosceva allo scrittore “lucidità di analisi” e la “fedeltà documentale” con cui venivano messi in fila i fatti, in quel testo storico Falcone evidenziava come Lodato aveva saputo “fedelmente e con rara capacità di sintesi rievocare i fermenti ideali che accompagnarono quell’attività (riferendosi all’azione del pool antimafia, ndr), la mobilitazione della coscienza collettiva siciliana, le speranze nate intorno all’azione di uno Stato che, attraverso i suoi funzionari, cominciava a dare segni di vita in una parte del suo territorio da tempo abbandonata a se stessa.  Ed ha puntualmente registrato anche le resistenze e le reazioni di vario segno che, nelle istituzioni e nella società, hanno determinato, ad un certo punto, il rallentamento (secondo alcuni, la stasi) dell’azione antimafia”.

Quelle sue parole risuonano ancora oggi in un tempo in cui le riforme continue della giustizia spuntano le armi della lotta alla mafia e i magistrati più impegnati nella lotta al sistema criminale vengono pericolosamente perseguitati delegittimati sui giornali, isolati e denigrati dalle istituzioni, dalla politica e anche da una certa parte della stessa magistratura.

Una storia che si ripete. Perché se ieri le critiche e gli ostacoli erano rivolti contro Falcone e Borsellino la storia si è ripetuta contro magistrati come Sebastiano Ardita, Nino Di Matteo, Nicola Gratteri, Antonio Ingroia, Giuseppe Lombardo, Roberto Scarpinato, Luca Tescaroli ed altri che ne hanno raccolto l’eredità cercando di andare avanti anche evidenziando quegli ibridi connubi che la mafia intesse con il Potere.

Da martedì Lodato torna in libreria con una nuova edizione, “Cinquant’anni di mafia” (edito dalla Bur – Rizzoli).

Un libro necessario per conoscere e comprendere un fenomeno criminale che esiste da ben oltre un secolo e che ha nei legami con la politica, l’imprenditoria e segmenti di potere, un aspetto centrale della propria forza.

Del resto Lodato, ancora oggi, continua ad essere un testimone autorevole di quel tempo ed ha avuto modo di scrivere tante altre pagine di storia.

Al compianto Andrea Purgatori, durante la trasmissione Atlantide, per la prima volta ha rivelato a chi si riferiva il giudice Falcone quando, immediatamente dopo il fallito attentato all’Addaura, gli parlò di “menti raffinatissime”, indicando il nome di Bruno Contrada (ex numero tre del Sisde). Dichiarazioni che Lodato ha ribadito quando è stato ascoltato come testimone nel processo sul duplice omicidio Agostino-Castelluccio.

In questo libro di 50 anni di fatti e di storie si possono trovare molte risposte alle domande sulla mafia che ciascuno si pone: basta andarle a cercare leggendo bene le righe e tra le righe, facendo le connessioni tra i fatti. Oppure semplicemente leggendo quei fatti come fossero il romanzo, tristemente attuale e vero, di un pezzo importante della nostra storia.

Siamo alla vigilia del 32esimo anniversario della strage di Capaci.

Anche per questo fa bene rileggere queste storie per cercare di capire meglio ciò che è stato prima e il dopo: sino all’attualità.

E nell’ultimo anno di cose ne sono successe parecchie.

Lodato non si è fermato. Ha raccontato il processo sulla trattativa Stato-Mafia ricordando i fatti e andando oltre le tre difformi sentenze che prima hanno condannato e poi assolto gli imputati eccellenti del processo.

Inoltre, in questa nuova edizione del libro, analizza anche l’occasione fallita dell’arresto di Matteo Messina Denaro che non ha prodotto quelle confessioni tanto auspicate per chiarire la stagione stragista degli anni 1992-94.

Giovanni Falcone credeva fermamente, con ottimismo, che la mafia, in quanto fatto umano, ha avuto un principio e, prima o poi avrà anche una fine. Accadrà un giorno.

Intanto, anche se sono morti capimafia storici (da ultimo proprio Matteo Messina Denaro), siamo ancora qui nella consapevolezza che, come disse Lodato proprio in quella prima presentazione del libro a Modena del 1990, ci sono “storie che si ripetono” e guardando alla guerra alla mafia, per ora, “lo Stato sicuramente la guerra non l’ha vinta” e resta più di un sospetto che “non l’abbia voluta combattere”.

* Fondatore e direttore AntimafiaDUEMILA

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