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La mozione del 36° Congresso ANM

Associazione Nazionale Magistrati il . Brevi, Costituzione, Diritti, Giustizia, Istituzioni, Politica

L’interpretazione è l’essenza della giurisdizione. Senza adeguate garanzie di libertà della interpretazione nessun ordinamento può ambire a definirsi democratico.

La magistratura italiana si impegna quotidianamente a praticare e a rispettare il principio costituzionale che vuole il giudice soggetto soltanto alla legge e che costituisce il presupposto dell’autonomia e dell’indipendenza della giurisdizione.

La legge alla quale diamo osservanza quotidiana non si limita al singolo precetto normativo, perché questo è inserito in un sistema giuridico, che si compone delle altre norme e dei sovraordinati principi costituzionali e sovranazionali. Se le disposizioni di rango primario si pongono in frizione con i diritti e le libertà fondamentali garantiti dalla Costituzione, e dalle fonti del diritto dell’Unione, quindi, è dovere di ogni magistrato ricorrere, con la dovuta ponderazione e prudenza, agli strumenti che l’ordinamento pone a tutela dei diritti che devono essere assicurati ad ogni persona.

Ma più il dettato normativo è confuso e carente di tassatività, più esso è disorganico rispetto al corpo complessivo delle norme nelle quali viene incluso, più si pone in contrasto con i principi della legislazione internazionale e della Costituzione e più si amplia lo spazio concesso all’interpretazione giudiziaria.

La magistratura italiana denuncia pubblicamente la condizione di ipertrofia normativa in cui si trova a operare e lo scadimento qualitativo della produzione normativa, sempre più spesso improntata alla soluzione del contingente, senza un adeguato sforzo di coerenza sistematica. Così come denuncia la persistente assenza di una disciplina chiara e puntuale su importanti ambiti che toccano nel profondo le vite dei cittadini.

La giurisdizione non si sottrarrà mai al dovere di rispondere alla domanda di giustizia formulata dai cittadini, anche risolvendo in via interpretativa le aporie del quadro normativo, ispirandosi a prudenza e misura nell’esercitare la sua discrezionalità, ma chiede che altrettanto senso di responsabilità venga assunto dagli altri poteri dello Stato nel rispondere alle attese dei cittadini.

La magistratura italiana conferma anche il suo impegno volto ad assicurare che la risposta alla domanda di giustizia sia sempre più tempestiva, ma va mantenuto fermo il principio che l’attività del giudicare non può mai essere demandate all’intelligenza artificiale, che può e deve servire per assicurare più efficaci strumenti di organizzazione, non per supplire all’attività del giudicare, che è e deve restare prerogativa esclusivamente umana.

Il tema della libertà dell’interpretazione è intimamente connesso con quello della imparzialità del magistrato, anch’esso oggetto della riflessione congressuale.

Dell’ampia discrezionalità immanente all’attività interpretativa i magistrati italiani danno quotidianamente conto al popolo, nel cui nome amministrano la giustizia, con le motivazioni dei loro provvedimenti, che costituiscono il cuore pulsante dell’attività giurisdizionale.

Non vi è dubbio che la dialettica tra i poteri tragga alimento dalla critica, che può e deve avere a oggetto anche i provvedimenti giudiziari, ma va ribadito che tale critica deve muovere dal rispetto reciproco, ispirarsi a continenza ed essere sempre motivata e ragionata, nell’interesse dello Stato e della fiducia che tutti i cittadini devono riporre nelle istituzioni democratiche.

È dannosa per le istituzioni una critica che non parta dalle motivazioni del provvedimento giudiziario, e che sia fondata sulla ricerca nella vita privata del magistrato, di dichiarazioni o meri comportamenti che, talvolta travisati e comunicati ad arte, possano dare, all’opinione pubblica, l’impressione di un pregiudizio, di una partigianeria che ne ha guidato la penna.

Questo modo di muovere critiche alle decisioni dei giudici va contrastato con grande fermezza, perché inquina il dibattito pubblico intorno alla giustizia e genera sfiducia verso la magistratura.

Dobbiamo, tuttavia, interrogarci sul fondamento e i limiti della libertà di manifestazione del pensiero del magistrato, che è un cittadino e deve poter dare il suo apporto alla discussione pubblica, offrendo un punto di vista che è anche il portato della sua qualificazione tecnica. La partecipazione al discorso pubblico, pur con la cautela imposta dal ruolo, può contribuire a una più consapevole considerazione delle implicazioni delle scelte che il decisore politico intende assumere, soprattutto quando vengono in rilievo possibili compressioni dei diritti fondamentali, nell’ottica del perseguimento delle finalità previste dalla Costituzione.

La magistratura italiana ha conquistato un patrimonio di credibilità e di fiducia presso i cittadini, anche pagando un prezzo di sangue tra i più alti al mondo, ed è consapevole del fatto che esso va difeso nel quotidiano anche con le condotte dei singoli, perché costituisce un capitale sociale inestimabile

Proprio per questo dobbiamo interrogarci su quali siano i temi, le modalità e i contenuti più idonei a prevenire strumentalizzazioni e a evitare che le nostre voci si confondano con il rumore di fondo di un dibattito, spesso confuso e sgrammaticato, e finiscano per ingenerare ancora più confusione e disorientamento nei cittadini.

Non si tratta, ovviamente, di ribadire i precetti disciplinari ed i principi deontologici, quanto invece di riflettere sulle regole imposte dalle nuove forme di comunicazione attraverso la rete e dalle dinamiche connesse ad eventuali disfasie tra le intenzioni e le conseguenze di quanto espresso dai magistrati.

In primo luogo, è necessario comprendere che tutto ciò che viene affidato alla rete internet, mediante qualsiasi media e social network, è destinato ad essere sempre nel tempo reperibile ed è suscettibile di essere portato a conoscenza del pubblico nonostante l’apparente riservatezza o l’iniziale selezione dei destinatari.

Più in generale è necessario prendere atto che, per una parte dell’uditorio, le dichiarazioni rese dal magistrato vengono percepite quali espressioni di pensieri e valori riferibili all’intera magistratura e la comunicazione deve quindi adeguarsi a questo dato quanto a scelta dei temi, stile e contenuti.

Siamo consapevoli della difficoltà di perimetrare un ambito predefinito dei temi, ma certamente ne fanno parte quelli attinenti alla funzione, al ruolo e alle attribuzioni della magistratura, così come quelli correlati alle leggi sostanziali e processuali che ne governano l’operato, comprese quelle che definiscono, accrescono o restringono il catalogo dei diritti. Né possono esserne esclusi i temi che, essendo pertinenti all’equilibrio tra i poteri definito dalla Costituzione, incidono, anche indirettamente, sul ruolo della giurisdizione rispetto agli altri poteri pubblici.

Non vi è dubbio che, in ogni caso, il magistrato debba sempre interrogarsi se vi sia un interesse a ricevere le sue opinioni e valutazioni e se la sua cultura e la sua esperienza possano arricchire in modo qualificante il dibattito pubblico sul tema specifico, ovvero essere di pari valore rispetto a quelle espresse da ogni altro cittadino.

Proprio perché riteniamo che il contributo del magistrato possa essere particolarmente qualificato per l’apporto delle specifiche ed uniche peculiarità professionali, è importante che queste traspaiano nella scelta del linguaggio e dell’argomentazione, evidenziando così anche le differenze rispetto alla comunicazione pubblica del politico o di portatori di diverse culture. Questo, ne siamo consapevoli, è l’aspetto più delicato e difficile, considerando altresì quali siano ormai diventati gli standard della comunicazione pubblica, tutta incentrata sui tempi ristretti e le frasi ad effetto. Ciò non di meno riteniamo imprescindibile questo aspetto che, più di altri, richiede non solo una profonda conoscenza dei temi ma anche un’adeguata capacità di renderli in modo chiaro e fruibile.

Rivendichiamo, quindi, l’importanza della partecipazione di tutti i magistrati al dibattito pubblico, non solo in quanto cittadini dotati di pari diritti rispetto agli altri, ma anche come portatori di esperienza, cultura, principi, ispirati ai valori costituzionali ed alla legalità. Al contempo riteniamo sia altrettanto fondamentale, per tutti noi, dotarci delle specifiche competenze a tal fine necessarie, nonché di una particolare sensibilità che ci consenta di mantenere il nostro contributo al livello di qualificazione alto che l’opinione pubblica si aspetta da noi.

Quanto alle riforme costituzionali in materia di ordinamento giudiziario e di governo autonomo della magistratura, che hanno costituito tema del dibattito congressuale, l’Associazione Nazionale Magistrati ribadisce la propria intransigente contrarietà alla separazione delle carriere e al complessivo indebolimento del CSM che ne costituiscono il contenuto principale.

L’unicità della magistratura è valore fondante del nostro associazionismo: tale sua caratteristica ontologica è incompatibile con ogni possibilità di mediazione e trattativa sugli specifici contenuti delle riforme. La separazione delle carriere non è affatto funzionale a garantire la terzietà del giudice, ma appare piuttosto uno strumento per indebolire in modo sostanziale il ruolo del pubblico ministero e, conseguentemente, la funzione di controllo di legalità rimessa al giudice e lascia presagire che venga agitata come strumento di ritorsione e minaccia nei confronti della magistratura tutta.

Oggi giudici e pubblici ministeri sono uniti nell’esercizio della giurisdizione, hanno una comune cultura e fruiscono delle stesse garanzie costituzionali. Separarli rischia concretamente di attrarre la magistratura requirente nell’orbita del potere politico e del controllo governativo, come avviene, in modo formale o sostanziale, in tutti i Paesi nei quali la magistratura è separata.

Il superamento dell’unica matrice culturale tra giudici e pubblici ministeri si tradurrebbe inevitabilmente nella rinuncia a valori nevralgici per la democrazia, e innanzitutto all’obiettivo della imparziale ricerca della verità che il pubblico ministero deve perseguire, come il giudice. Separare il pubblico ministero dal giudice, quali che siano le modalità di tale separazione, distinguere le carriere all’accesso e dal punto di vista ordinamentale, separare gli organi di autogoverno, porterebbe alla istituzione di una figura professionale di “pubblico persecutore”, molto lontana dall’attuale organo dell’accusa, che, lo ricordiamo, oggi è preposto alla ricerca della verità ed è garante del rispetto delle prerogative dell’indagato, anche nella fase della raccolta delle prove da parte della polizia giudiziaria. Separare il pubblico ministero dal giudice avrebbe gravissime ripercussioni sull’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale indispensabile per l’attuazione del principio di eguaglianza del cittadino dinanzi alla legge.

Alla logica della separazione l’ANM vuole contrapporre la logica della condivisione. La matrice culturale della giurisdizione deve essere strettamente condivisa tra giudici, avvocati e pubblici ministeri, perché solo attraverso una formazione culturale comune e la circolarità delle esperienze potrà realizzarsi una giustizia migliore e più giusta.

L’ANM ribadisce, inoltre, che il CSM è l’unico presidio posto dalla Costituzione a tutela dell’autonomia ed indipendenza della magistratura, che è indispensabile per realizzare l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Le riforme prospettate indebolirebbero fatalmente l’organo di autogoverno dei magistrati, riducendone le competenze, eliminando quelle di maggior rilievo, compromettendone l’autorevolezza e alterando la proporzione tra componenti laici e togati. Tale indebolimento pregiudica la realizzazione dell’uguaglianza formale e sostanziale dei cittadini.

L’ANM, in armonia con il deliberato dell’Assemblea generale straordinaria del 26.11.2023, è determinata ad assumere ogni utile iniziativa per informare l’opinione pubblica in ordine alla propria argomentata opposizione a tale riforma, ed invita da subito tutti gli iscritti ad una mobilitazione culturale e comunicativa che faccia comprendere i rischi che questa comporta per l’effettiva tutela dei diritti dei cittadini e per la scrupolosa osservanza delle loro garanzie costituzionali.

Palermo, 12 maggio 2024

Associazione Nazionale Magistrati

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“Il vincolo di soggezione alla legge è ineludibile per l’indipendenza della magistratura”

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