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Il Nordio Girevole. E i pugnalatori di Leonardo Sciascia

Saverio Lodato il . Corruzione, Giustizia, Informazione, Istituzioni, Mafie, Memoria, Politica

Un giorno sarebbe bello che qualcuno si togliesse lo sfizio di far l’elenco degli opinionisti e giornalisti (quelli di punta sono di origine siciliana) che van per la maggiore in Italia, i quali, e da decenni, usano il nome di Leonardo Sciascia come fosse un ideale dolcificante per rendere più accettabili certi abomini garantisti.

Insomma, quando la porcata la stai dicendo, o la stai facendo troppo grossa, usi il nome di Sciascia come apriti sesamo, e il gioco è fatto.

Come si fa a dir male di un “garantista”?

E se lo fai, ti vien cucito addosso l’abito del giustizialista, del carnefice, del colpevolista, o, per adoperare la raffinata espressione coniata a Palermo da certi intellettuali ancor più sottilissimi, di “nemico della contentezza”.

Non sono pochi.

E se ne stanno ben asserragliati nelle redazioni di certi giornali – che in edicola non trovi, ma, in compenso, stanno spaparanzati in bella mostra in tutte le rassegne stampa tv – lautamente finanziati da chissà chi, quando non addirittura dallo Stato.

Ma dicevamo di Sciascia, di Leonardo Sciascia, quello nato a Racalmuto, che un giorno, in un suo libro, risolse in tre-righe-tre quel nocciolo indigeribile che ancora oggi molti chiamano la “questione morale”. Ascoltiamolo. Ma dobbiamo portare un po’ di pazienza.

Traggo dal libro “I Pugnalatori” – Einaudi, 1976 -, ricostruzione veridica di un gran fattaccio nero che andò in scena la notte del 1 ottobre 1862, quando – come si legge nella quarta di copertina: “Tredici persone cadono colpite quasi simultaneamente, in altrettanti punti di Palermo, sotto i coltelli di misteriosi assalitori”.

Sciascia, da par suo, ricostruisce tutto, il perché e il per come dei 13 delitti e delle indagini che ne seguirono; basandosi su tutti gli incartamenti del vero giudice – si chiamava Guido Giacosa – che a quel caso era stato chiamato e che, miracolosamente previdente, ma verrebbe da dire quasi divinatore, decise di custodire gelosamente.

Divinatore: visto il peso che nei decenni futuri avrebbe assunto la questione morale in Italia. E quell’incartamento, più di un secolo dopo, andò a buon fine, affidato da una lontana nipote del Giacosa proprio all’attenzione di Sciascia perché ci ragionasse sopra.

Sciascia non si fa pregare, e coglie in quel fattaccio di nera cronaca il primo esempio di grande strage in Italia decisa dall’alto, ad appena due anni dall’Unità d’Italia, nonché prova da laboratorio di quella che, nei decenni a venire, avremmo imparato a chiamare la “strategia della tensione”, o degli “opposti estremismi”.

Fermiamoci qui.

Allora a pagare furono una dozzina di brutti ceffi del “ventre” di Palermo che, menando i fendenti, avevano ubbidito agli ordini dello squisitissimo principe di Sant’Elia, senatore del Regno, il quale la fece naturalmente franca, a dispetto del povero giudice Giacosa, che invece passò i suoi guai.

Ma era mai possibile che nel Senato di allora non ci fosse eco della scandalosa messa in stato di accusa di una figura tanto adamantina della politica siciliana? Insomma, dell’elegantissimo mandante?

No. Non era possibile.

Infatti Sciascia ricostruisce così il dibattito in Senato: “E il senatore Di Revel ribadisce: ‘Io non mi preoccupo della condizione del nostro onorando collega il principe di Sant’Elia. Tutti coloro che lo conoscono, tutti coloro che ne hanno inteso parlare, sono assolutamente in grado di non poter credere…’”.

Sin qui niente di più della gentilezza che la “casta” riserva alla “casta” da che mondo è mondo, o, meglio ancora, da quando il Parlamento italiano è il Parlamento italiano.

Ma sentite in che modo Sciascia tira le fila: “Quello di cui il senatore Di Revel si preoccupa ‘è dei diritti, della dignità e dei doveri del Senato’; tra i quali doveri assolutamente non ammette quello di non interferire in una istruttoria ancora in corso e di non dare per innocenti le persone che i giudici ritengono colpevoli”.

È questo lo snodo che ai politici italiani non va a genio. E’ da allora, che non va a genio. Da oltre un secolo e mezzo.

Chi può dar per innocente, a istruttoria aperta, le persone che i giudici, inizialmente, a torto o a ragione, considerano colpevoli?

Diversamente che ci starebbe a fare la magistratura? Diversamente a che servirebbero i processi? O le patrie galere?

E veniamo all’attuale ministro della giustizia, Carlo Nordio.

Lo abbiamo visto tutti.

Nell’immediatezza dell’arresto di Giovanni Toti, governatore della Liguria, è stato uno sproloquio di solidarietà alla Di Revel; in un mix di riconoscimenti umani e politici per il Toti e conseguenti dubbietti maliziosi a carico dei magistrati. Ci sta.

Essendo trascorso oltre un secolo e mezzo da quella lontana notte dei Pugnalatori di Palermo, certi corsi e ricorsi della storia non si fa fatica a capirli.

Ma Nordio?

Proprio lui?

Un ministro della giustizia?

Un ministro della giustizia che per di più, su ordine del governo, si candida a fare il castigamatti della sua stessa ex categoria?

E che ieri si è ritrovato, magistrato fa i magistrati, nel convegno nazionale di Palermo della magistratura italiana?

Si, come ha fatto Nordio, a poche ore dalla cattura di Toti a sollevar dubbi su tempistiche e finalità dei giudici genovesi?

Dando per “vittima” di un mostruoso ingranaggio se non persino innocente, a istruttoria ancora aperta – come avrebbe osservato Sciascia – una persona che invece i giudici reputano colpevole?

Questo principio, quello del “non interferire” da parte del guardasigilli, dovrebbe essere considerato sacro in uno stato di diritto.

Si fa sempre un gran parlare delle “porte girevoli” di cui si avvarrebbero i magistrati. E il discorso qui sarebbe infinito.

Ma un ministro della giustizia, dimentico a tal punto del dovere del silenzio al quale è tenuto, obbligato, in casi del genere, non lo avevamo ancora visto.

Che vogliano cambiare l’Italia, non c’è dubbio.

Che sia in meglio, è tutto da dimostrare.

Ma almeno Sciascia venga lasciato in pace.

La rubrica di Saverio Lodato

Fonte: AntimafiaDuemila

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