Com’è triste la Rai soltanto un anno e mezzo dopo
Il declino della Rai sta assumendo tinte mostruose e grottesche, nello stesso tempo.
Il grottesco, per affrontare il tema apparentemente secondario, è il disinteresse mostrato dai vertici sulla mancanza di approvazione definitiva del Contratto di servizio, pur siglato nella seduta dello scorso 18 gennaio dal consiglio di amministrazione e dal governo un paio di mesi dopo, e ora all’esame della Corte dei conti.
Eppure, si tratta della carta fondamentale che disegna tratti e perimetri di un servizio pubblico ormai ridotto (con le dovute eccezioni) a mera costola del potere esecutivo. C’è da chiedersi come mai tale disinteresse. Forse, la risposta sta nella tranquilla navigazione sotto la tutela di Palazzo Chigi, che sembrerebbe prevalere persino sugli atti ufficiali.
Del resto, ciò che è accaduto con il crumiraggio esercitato contro il legittimo sciopero proclamato dal principale sindacato dei giornalisti è un ulteriore passaggio verso la distruzione dei principi dello Stato di diritto, in cui svetta il diritto di sciopero. Violare simile garanzia è gravissimo e rinvia non solo ad Orban, bensì ai padroncini delle ferriere di un secolo fa nonché alla malvagità di chi è abituato a regolare le relazioni industriali con la mera affermazione della sopraffazione da parte dei più forti su coloro che hanno potestà asimmetriche.
Insomma, in quest’ultima vicenda è evaporato il residuo sapore di servizio pubblico della Rai, territorio di caccia prelibato per le scorpacciate della destra.
Per fortuna, le reazioni dei mondi associativi, politici e sindacali sono state piuttosto aspre, a dimostrazione della mancanza di capacità egemonica degli occupanti nei e sui complessi luoghi dell’immaginario.
In tutto questo si insinua la vexata quaestio del rinnovo del consiglio di amministrazione.
Il passato 21 marzo fu pubblicato sui siti istituzionali di Camera e Senato e su quello della medesima Rai l’avviso per la presentazione delle candidature, con il termine del 20 aprile. I curriculum inviati sono stati 70 a Montecitorio e 51 a Palazzo Madama. I due rami del parlamento dovrebbero eleggere quattro dei sette componenti dell’organo. Uno spetta ai dipendenti e due al ministero dell’economia e delle finanze (MEF), ivi compreso l’amministratore delegato. Ecco, proprio tale architettura decisionale presenta notevoli elementi di criticità, non essendo immaginati né criteri selettivi né modalità di scelta secondo le modalità peraltro previste in diverse società pubbliche.
Non solo. Va messa in discussione, sottolineandone gli aspetti di palese incostituzionalità, la stessa legge che stabilisce simili procedure, vale a dire la legge n.220 del 2015 (esecutivo Renzi) recepita dal recente decreto legislativo 208 del 2021, che ha aggiornato il vecchio Testo unico dell’età (2005) dell’ex ministro Gasparri.
A tal fine sono stati depositati presso il tribunale amministrativo del Lazio (numeri di ruolo 4840 e 4841) due ricorsi sottoscritti da alcuni dei candidati (Nino Rizzo Nervo, Stefano Rolando, Patrizio Rossano, e Giulio Vigevani al Senato), assistiti dall’avvocato Giovanni Pravisani.
Al riguardo, va ricordata l’efficace conferenza stampa tenutasi nella sala stampa della camera dei deputati il 2 maggio, con la promozione di Articolo21, NoBavaglio, MoveOn, Infocivica, Ucsi, Tv Media Web e l’introduzione di Roberto Zaccaria, docente di Diritto costituzionale e già Presidente della stessa Rai oltre che ex parlamentare.
Ed è stato Zaccaria a sottolineare la novità nell’ordinamento, possibile rafforzamento del percorso avviato, vale a dire il Regolamento europeo sulla libertà dei media (EMFA), che – pur essendo l’entrata in vigore dell’articolo inerente al funzionamento indipendente dei fornitori di media di servizio pubblico prevista tra quindici mesi – imprime tutt’altro indirizzo alla scelta in corso. Il testo in questione, al di là della sua tempistica, chiede una svolta cui i giudici potrebbero ispirarsi per invocare il giudizio della Corte costituzionale.
Per l’intanto si attende l’udienza davanti al TAR il prossimo 29 maggio.
Il cda non s’ha da fare.
Fonte: il manifesto
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