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Il magistrato antimafia Di Matteo nel mirino della destra

Rossella Guadagnini il . Costituzione, Giustizia, Istituzioni, Mafie, Politica

“Il colpo di spugna. Trattativa Stato-Mafia: il processo che non si doveva fare” è il libro per cui il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri ha chiesto a Nordio un provvedimento disciplinare nei confronti del magistrato antimafia Nino Di Matteo. Un attacco che può costituire un grave precedente per l’indipendenza della magistratura.

I libri passati al vaglio dai rappresentati dell’attuale destra in Italia sono dei più vari. Tra questi non ci sono solo romanzi, racconti e testi degli autori – come nel caso, clamoroso, di Antonio Scurati – narratore assurto di recente agli onori delle cronache. Ha vinto il Premio Strega nel 2019 per “M. Il figlio del secolo”, trilogia dedicata a Mussolini, con una rappresentazione avvincente della società italiana durante il periodo storico tra caduta del regime socialista a creazione del Partito Nazionale Fascista. Il libro ha fatto il giro del mondo, ma il suo autore è stato censurato dalla Rai per un monologo sull’antifascismo, previsto in occasione della festa della Liberazione, lo scorso 25 aprile.

Anche un altro testo della scrittrice Nadia Terranova ha subìto un trattamento di censura nella tv pubblica, nello stesso programma su Rai Tre Che sarà: non è andato in onda il suo monologo, che per argomento aveva le cariche dei poliziotti contro gli studenti di Pisa, causa la loro partecipazione a un corteo pro-Palestina. Ragazzi e ragazze che protestavano, antesignani dei loro coetanei che ora animano le contestazioni negli atenei americani da costa a costa: dalla Columbia University di New York all’Ucla, Università della California di Los Angeles.

Fin qui stiamo parlando di intellettuali, artisti e studenti. A cui occorre aggiungere anche il professor Luciano Canfora, filologo di chiara fama, di recente rinviato a giudizio, che il 7 ottobre prossimo dovrà recarsi in tribunale per una causa di diffamazione intentatagli dalla presidente del Consiglio Meloni, definita “neonazista nell’animo” dal docente durante un discorso tenuto in un liceo di Bari. La presidente del Consiglio che si è sentita offesa ha chiesto 20mila euro di risarcimento e ha sottolineato che sarà presente in aula.

Quello che sorprende, invece, nel caso dell’attacco censorio di Maurizio Gasparri, capogruppo di Forza Italia al Senato, è che il suo bersaglio è un magistrato, attualmente in carica alla Direzione nazionale Antimafia e antiterrorismo. E in precedenza consigliere togato indipendente del Csm e, prima ancora, sostituto procuratore della Repubblica a Caltanissetta e poi a Palermo. Cosa ha fatto Di Matteo di tanto grave da dover meritare un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia Nordio, affinché intervenga con un provvedimento disciplinare per punirlo?

Ha scritto un libro-intervista con il giornalista Saverio Lodato, “Il colpo di spugna. Trattativa Stato-Mafia: il processo che non si doveva fare”, pubblicato a fine gennaio dalle edizioni Fuori Scena. E allora? Secondo Gasparri, Nordio dovrebbe verificare quali responsabilità disciplinari ci sono a carico di Di Matteo, a tutela della magistratura della Corte di Cassazione e dell’eventuale sussistenza di reati che derivano dalle esternazioni contenute nel volume. Parole davvero incendiarie, evidentemente, a cui il senatore ha pensato di controbattere per via della indignazione che gli hanno causato.

“Sembrerebbe che il senatore Gasparri abbia invocato il vaglio di responsabilità disciplinari e penali su Di Matteo in conseguenza del fatto che quest’ultimo ha manifestato la propria opinione in senso critico rispetto alla sentenza della Cassazione che ha assolto gli ufficiali del Ros Mori, Subranni e De Donno, oltre che Dell’Utri, già senatore di Forza Italia, tutti imputati nel cosiddetto processo Trattativa Stato – mafia, insieme agli esponenti di Cosa nostra”. È quanto afferma una ‘terza’ parte in questa vicenda, il Movimento delle Agende Rosse, fondato da Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo, in una lettera aperta indirizzata in aprile a Meloni.

“Arduo è ritenere – scrive il Movimento – come l’atto del senatore non possa realmente costituire un precedente grave per tutti i magistrati che vorranno continuare a pensare con indipendenza. Quasi impossibile non scorgere un abuso nell’atto di sindacato ispettivo e uno sfregio alla memoria di servitori dello Stato come Falcone e Borsellino. Preoccupante l’ulteriore tentativo di boicottaggio, isolamento e delegittimazione di magistrati che mortificano la propria vita per alto senso dello Stato e della giustizia. Tanto basterebbe affinché il senatore Gasparri avvertisse il dovere di fare un passo indietro”.

Il Movimento ha chiesto inoltre “che governo e parlamento si schierino decisamente a tutela di chi subisce continui attacchi e delegittimazioni”, che “sono terreno fertile per il proliferare del pensiero e dell’agire mafioso”.

Il risultato? Gasparri ha deciso di denunciare le Agende Rosse per questa difesa di Di Matteo. “Trovo fuori dalle regole costituzionali il delirio di chi vorrebbe impedire il corretto uso dello strumento parlamentare dell’interrogazione che ho usato per la incredibile vicenda del magistrato Nino Di Matteo, che contesta in modo infondato e arbitrario la sentenza che smontando la sua tesi accusatoria ha assolto dopo anni di ingiusti processi gli eroi del Ros carabinieri Mori, Subranni e De Donno – ha sostenuto il senatore – Non mi farò intimidire da questa azione arrogante, minacciosa e basata su una pericolosa intolleranza. Difendo la legalità e i protagonisti della lotta alla mafia. Attaccati e denigrati da chi dovrebbe giustificarsi dei propri errori di Caltanissetta e di Palermo. Biasimo queste minacce nei miei confronti che ovviamente segnalerò alle autorità giudiziarie, con motivata denuncia”.

Insomma un putiferio. L’articolo 21 della Costituzione afferma: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Perché dunque non potrebbe farlo Nino Di Matteo? Del resto il suo libro parla della Trattativa Stato-Mafia, di cui il magistrato è stato uno dei protagonisti, seguendola fin dal suo inizio con l’udienza dibattimentale del 27 maggio 2013 alla conclusione, avvenuta un decennio dopo. “Le sentenze, dice un vecchio adagio, non si commentano – scrive nel volume Di Matteo – ma non è proibito paragonarle tra loro. Ci avvarremo di questa facoltà”. E poi “Rivendico, adesso che la vicenda processuale si è conclusa, il mio diritto a parlare”.

Lo scrittore Leonardo Sciascia una volta dichiarò che “se lo Stato italiano volesse davvero sconfiggere la Mafia dovrebbe suicidarsi”. Qualcosa più di una battuta, un giudizio. Ed è quantomeno ovvio che un processo di tre gradi, in cui ogni volta si è ribaltato l’esito precedente, facendo passare gli imputati da “colpevoli” a “tutti assolti per non aver commesso il fatto” faccia scalpore e crei un dibattito. Quanto è in discussione è il sale delle democrazie e vediamo chi è in grado di affermare il contrario.

Fonte: MicroMega, 06/05/2024

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