Lo Stato delinquente nel carcere minorile
Le violenze consumatesi ai danni dei minori nel carcere minorile Cesare Beccaria di Milano non sono una semplice macchia sul tessuto delle istituzioni. Si tratta piuttosto di una ferita inferta nella coscienza sociale del Paese e nella vita di quei ragazzi.
Proprio il giurista illuminato di cui porta il nome quell’istituto, teorizzò la definitiva messa fuorilegge della pratica della tortura. Teoria e proposta motivate dalla ragione, ovvero senza scomodare nobili principi e credi religiosi. “Infame crociuolo della verità” fu la sua definizione della tortura in “Dei delitti e delle pene”. Bandita sia per estorcere confessioni che per infliggere una pena ulteriore.
Per questo le violenze operate dagli agenti del Beccaria non sono soltanto un grave errore personale di poche persone ma il tradimento di un patto tra lo Stato e i suoi cittadini, la delinquenza delle istituzioni, la violazione delle norme da parte di chi deve garantirle, una pugnalata infame alla Costituzione che chiede di riabilitare.
E penso alla voragine che si è aperta nella coscienza delle vittime, giovani ai quali è stata vidimata in ceralacca la licenza di compiere il male, di usare violenza e di obbedire alla legge del più forte. Ora la sfida è di curare quelle ferite tanto nelle vittime che nei carnefici.
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Il carcere, un dispositivo chiuso in cui ci si abitua a tutto
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