Articolo uno (fondata sul lavoro)
La tutela della dignità del lavoro, di una retribuzione equa, della sicurezza nei luoghi di lavoro e della protezione sociale va ogni giorno riaffermata.
Il lavoro non è una merce e non può essere considerato semplicemente un costo di produzione.
Il lavoro è fonte di dignità e di benessere personale e familiare, è sorgente di autostima e di soddisfazione.
Troppo spesso il lavoro viene inteso unicamente come una necessità economica, come uno strumento per ottenere un reddito, ma il lavoro è molto di più.
Il lavoro è soprattutto l’ambito in cui la persona esprime la propria personalità, sperimenta la propria creatività, sviluppa i legami sociali.
La persona che non ha un “lavoro dignitoso” ha un lavoro “povero”.
Un lavoro può essere “povero” per colpa del salario troppo basso ma esiste anche una povertà di tipo non economico: la solitudine, l’assenza di relazioni interpersonali, la bassa qualità della convivenza collettiva, la deprivazione culturale e spirituale.
La povertà, la non “salubrità” in senso ampio, è un problema democratico che non si risolve senza cultura dei diritti.
Quelli garantiti dall’art. 23 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e dall’art. 2 della Costituzione -per i quali la dignità del lavoro e del lavoratore è un diritto fondamentale- dall’art. 36, comma 1 della Costituzione -che individua in una «esistenza libera e dignitosa» il contenuto minimo essenziale dei diritti del lavoratore e della sua famiglia- dall’art. 41, comma 2 della Costituzione che pone la dignità umana come limite alla libertà di iniziativa economica privata.
Possiamo quindi senz’altro affermare che lavoro e dignità costituiscono il binomio sul quale si basa il nostro assetto costituzionale.
Ma la rivendicazione di un lavoro dignitoso e sicuro si scontra con l’esperienza quotidiana.
Da un lato la conta inarrestabile delle vittime – 119 morti nel primo bimestre 2024: 19 in più rispetto allo stesso periodo del 2023, 5 in più del 2022, 15 in più del 2021- da un altro un contesto produttivo che deve ora cimentarsi con sfide nuove e complesse.
Prima vi erano lo sfruttamento del lavoro nero e minorile, seguiti dal caporalato, poi si è entrati nell’era del precariato (contratti a termine; collaborazioni coordinate e continuative; lavori a progetto; contratti accessori o intermittenti; apprendistato; stage), ammantato dall’aura retorica della flessibilità.
Si tratta di straordinarie armi negoziali di ricatto nei confronti del lavoratore, che oramai si trovano calate nelle dinamiche delle somministrazioni, degli appalti e dei subappalti, dei distacchi e dei comandi, nelle quali la figura del datore di lavoro non coincide più con quella dell’utilizzatore, mentre intanto la retribuzione si parametra a tabelle di contratti collettivi meno credibili.
Assistiamo al sopravvenire di logiche ben più evolute: nella logistica, nei trasporti e persino in alcuni comparti dell’edilizia, le piattaforme digitali sostituiscono le strutture materiali dell’impresa e gli algoritmi dettano i tempi della prestazione.
Il futuro è già tra noi. Sarebbe superficiale, però, inseguirlo dimenticando il passato. Entrambi coesistono nel nostro presente: l’operaio metalmeccanico lavora a fianco del fattorino guidato da un chip.
Da questa complessità sorge la sfida per dare sicurezza e dignità a chi lavora, per dare ancora un senso a questa giornata del 1° MAGGIO 2024.
Il gruppo ‘Lavoro’ di AreaDG
Il Coordinamento nazionale di Area Democratica per la Giustizia
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