Sull’imparzialità dei magistrati
L’editoriale del direttore di Questione giustizia numero 1-2/2024 dedicato all’imparzialità dei magistrati.
Se il magistrato non è – non può essere – l’être inanimé vagheggiato da Montesquieu, ma è persona carica di esperienze, animata da convinzioni, ispirata da ideali, come può essere e apparire imparziale agli occhi dei cittadini nei cui confronti amministra giustizia?
Quale condotta deve tenere nella vita sociale, quali limiti di parola deve accettare, a quali regole di etica professionale deve attenersi per salvaguardare il patrimonio di credibilità e di legittimazione che gli derivano dalla promessa e dall’aspettativa di un uso equilibrato e non parziale dei suoi poteri?
A queste domande – antiche quanto lo è il potere di giudicare – ogni epoca e, nell’accelerazione dei tempi presenti, ogni generazione dà le sue risposte, anche contrastanti tra di loro.
Nella loro molteplicità, nella pluralità e varietà dei toni, degli accenti, delle sfumature, le risposte racchiuse in questo volume sono, insieme, un documento del nostro tempo e una testimonianza destinata a durare.
Le diverse risposte compongono infatti, nel loro complesso, una sorta di istantanea.
Ma una istantanea dotata di una straordinaria profondità di campo, capace di fotografare, con chiarezza e sin nei dettagli, un vasto panorama di pensieri sulla questione dell’imparzialità.
Nella presentazione di questo numero della Trimestrale di Questione giustizia, intitolato Essere e apparire imparziali, Rita Sanlorenzo ed Enrico Scoditti, che ne sono stati i curatori, hanno rappresentato le ragioni della scelta di promuovere un’ampia riflessione a più voci sul tema dell’imparzialità dei giudici e dei magistrati del pubblico ministero.
La Rivista ha voluto chiamare a un impegnativo confronto su teoria e prassi dell’imparzialità esponenti autorevoli e prestigiosi di mondi diversi: l’università, la politica, l’informazione, l’avvocatura, la magistratura.
L’impulso a ridiscutere apertamente il nodo cruciale dell’imparzialità è scaturito da polemiche politiche contingenti, nate da decisioni giudiziarie sgradite al Governo in materia di immigrazione.
L’immigrazione: ovvero la questione più complessa e politicamente spinosa del nostro tempo, sulla quale la politica gioca molto del suo futuro in tutti Paesi ricchi e avanzati investiti da flussi migratori incontrollati.
Con il rischio che, quando le soluzioni politiche presentate come risolutive si rivelino impraticabili alla prova dei fatti, nasca la tentazione di cercare dei responsabili del fallimento e di darne la colpa ai sabotatori.
Parte allora la ricerca dei nemici interni, dei responsabili del boicottaggio, degli avversari delle politiche del Governo, agevolmente individuabili nei magistrati che, in nome del diritto e dei suoi principi, non si mostrino integralmente e supinamente adesivi agli input della politica governativa.
Non è dunque casuale che proprio sull’immigrazione si sia sviluppato – a partire dal noto “caso Apostolico” – il più grave e insidioso attacco alla magistratura di questi ultimi anni, mirato sul punto più delicato e sensibile della sua funzione: l’imparzialità.
Del resto, anche al di là del campo minato dell’immigrazione, nei confronti dei magistrati sono divenute assai frequenti accuse di parzialità che investono tanto il merito dei provvedimenti quanto le opinioni manifestate o i comportamenti tenuti nella vita sociale.
Accade, così, che politici assai poco interessati a garantire ai cittadini il loro disinteresse personale – id est: l’assenza di propri corposi “interessi” economici – nell’attività istituzionale svolta, al punto di ignorare vistosi conflitti di interesse e di rinviare continuamente una nuova e più adeguata regolamentazione di tali conflitti, non esitino a lanciare pesanti accuse di parzialità a magistrati rei di sostenere tesi giuridiche o di esprimere “idee” non allineate alle loro convinzioni.
Ad avviso di chi scrive, al fondo di queste contestazioni – quando esse non siano puramente strumentali e dettate da ragioni personalissime – sta una concezione errata e irrealistica dell’imparzialità.
Essa è infatti considerata come un “dato” della personalità del magistrato esistente una volta per tutte, come un a priori rispetto alla sua attività, come una (impossibile) condizione di atarassia e non come un “risultato”, da realizzare faticosamente all’atto del decidere facendo la tara alle proprie idee e convinzioni per aderire alla lettera e allo spirito delle norme da interpretare e applicare.
In altri termini, l’imparzialità come la più alta prestazione professionale del magistrato e come indipendenza del decisore “anche da se stesso”, frutto di una consapevole tensione verso l’obiettività nello svolgimento della propria attività professionale.
Navigando in queste acque agitate, un foglio “promosso” da un gruppo di magistrati non poteva non vedere la gravità e i rischi delle contestazioni mosse all’imparzialità di giudici e pubblici ministeri e non avvertire il bisogno di dare delle risposte.
Si è deciso, però, di non attardarsi nelle dispute di corto respiro che quotidianamente avvelenano il dibattito sulle cose della giustizia e di replicare alle polemiche contingenti mettendo in campo il progetto, riflessivo e ambizioso, di stimolare pensieri meditati sul modo di concepire e vivere l’imparzialità di chi giudica e di chi accusa nell’attuale contesto italiano ed europeo.
Scorrendo l’indice del volume e la lista degli Autori, si constaterà che, nell’impostare il lavoro collettivo, la Rivista ha scelto con decisione il pluralismo – una peculiare forma di imparzialità intellettuale –, interpellando intelligenze e competenze diverse ed esplorando differenti aree del vasto campo di problemi connessi all’imparzialità.
Saranno i lettori a dire se il progetto ambizioso coltivato dalla Rivista ha raggiunto i suoi scopi e se ha effettivamente recato un contributo di chiarezza su una problematica non facile.
Resterà apprezzabile comunque lo spirito con cui la Rivista e gli Autori coinvolti nell’opera – ai quali va la nostra gratitudine ed un sincero ringraziamento – hanno lavorato: volontà di dialogo, passione per il confronto delle idee, desiderio di comprensione e di approfondimento di una questione decisiva per la giustizia.
In tempi come questi, non è un risultato da poco.
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