La par condicio e la manomissione delle parole
Tra martedì 9 aprile e il successivo venerdì 12 sui Regolamenti della par condicio nei media in campagna elettorale vi è stata una vera e propria manomissione delle parole. Per citare un fortunato libro di Gianrico Carofiglio.
Infatti, un emendamento imposto dalla maggioranza di destra ha sporcato il testo della Commissione parlamentare sulla Rai, a differenza di ciò che ha deciso qualche giorno dopo l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, maggiormente fedele allo spirito della legge n.28 del 2000 (nonché all’antecedente l.515/93).
Ciò che è successo, come ha sottolineato l’esponente dell’Agcom Elisa Giomi, incrina una storica consuetudine – sancita dalla stessa norma- in base alla quale le due entità decidono previa consultazione tra di loro.
Per la prima volta dopo ventiquattro anni ciò non è avvenuto. La Commissione parlamentare ha subito un’imboscata emendatoria (che forse non era neppure a stretto rigore ammissibile) da parte di una destra bulimica, priva di una vera cultura di governo.
Infatti, la forzatura si è tradotta, come ha rilevato il manifesto nella cronaca sulla vicenda, in un inglorioso e sgrammaticato comma 6 dell’articolo 4 del testo varato: in cui nei programmi di approfondimento informativo si espunge dal computo delle presenze politiche l’attività istituzionale e governativa. E si usa lo scudo delle leggi vigenti, che si riferiscono – se mai- alle news e non ai talk. Come scrivere che si può passare con il semaforo rosso, ma nel rispetto del codice della strada.
Coloro che hanno parlato di Regolamenti fotocopia rispetto agli omologhi varati prima della consultazione europea del 2019 vadano a rileggersi gli scritti e facciano un confronto. Troveranno la parola approfondimento a definire la tipologia dei programmi: ecco, i citati onnipresenti talk, che sono il vero oggetto del desiderio di Giorgia Meloni e colleghi dell’esecutivo. Pensiamo allo scempio per la povera e vilipesa par condicio se, con la scusa di una riunione a Bruxelles o di un ponte da inaugurare, dovremo assistere ad un’invasione degna della televisione di Orban.
Non è certamente l’unico punto disdicevole della delibera parlamentare. Anzi. Bene hanno fatto il sindacato dei giornalisti della Rai e il comitato di redazione di Rainews a protestare con una dura presa di posizione trasmessa da tutti i telegiornali contro un’altra ferita inferta all’indipendenza dell’informazione. Si recita al comma 4-ter del solito articolo 4 che sono lecite le dirette di convegni e comizi elettorali, basti premettere un’apposita sigla.
Come se si trattasse di un’inserzione pubblicitaria, alla faccia dell’autonomia di chi lavora in una testata.
E così in un ulteriore passo la presenza paritaria diviene solo equilibrata, con un’altra manomissione delle parole.
Insomma, un pasticcio dalle conseguenze pratiche inimmaginabili, essendo inedito ciò che è accaduto, con una situazione piena di rischi per l’attuazione concreta dei testi.
Il Presidente della Repubblica ha ricevuto l’Autorità e, magari, qualche messaggio implicito vi era, ancorché il massimo responsabile dell’Agcom Giacomo Lasorella abbia tenuto un profilo assai prudente.
Ora, però, al netto della delicatissima campagna elettorale iniziata, il problema si è aperto.
La vecchia legge del 2000, pensata in un’altra età tecnologica e a fronte di un sistema politica centrato sul bipolarismo, merita una rivisitazione.
La riflessione va fatta alla luce del sole e non a colpi di maggioranza su di una materia che dovrebbe essere condivisa, essendo uno dei primi gradini del confronto democratico.
Non si dica, poi, che uno strumento simile esiste solo in Italia. C’è, eccome, in svariati paesi europei e pure negli Stati Uniti: chiedere agli staff di Biden o di Trump.
Di italiano c’è il contesto, che va ben al di là del testo.
L’attacco alla par condicio è una sequenza di un assalto generale all’articolo 21 della Costituzione, ivi comprese le drammatiche storie in corso: dalle agenzie Dire e Agi, alla vendita del Secolo XIX, alla crisi di testate come la Repubblica.
E in tutto questo la Rai perde pezzi e credibilità.
Fonte: il manifesto
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