Sudan, oltre un anno di distruzione. In Darfur ripresa la pulizia etnica delle Rsf
Mentre il mondo è in apprensione per la possibile escalation del conflitto in Medio Oriente, dopo l’attacco contro Israele lanciato dall’Iran, in Sudan a un anno dall’inizio del conflitto tra l’esercito regolare fedele al generale Abdel Fattah al Burhan, presidente del Consiglio Sovrano, e le Forze di supporto rapido, milizie militari fedeli all’ex vice di Burhan, Mohamed Dagalo detto Hemedti, si registra il più alto numero di sfollati interni al mondo, oltre 8milioni.
La situazione va progressivamente peggiorando e al momento almeno 25 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria per sopravvivere.
In un paese dove si contano oltre 20 mila morti e centinaia di migliaia di feriti, il 70% della popolazione non ha accesso ad assistenza sanitaria e l’80% delle strutture ospedaliere non è più funzionante.
Se la situazione nella capitale Khartoum è disastrosa e gran parte delle infrastrutture sono distrutte, nelle aree periferiche come la regione del Darfur, si registrano veri e propri massacri di stampo etnico, A denunciarlo Amnesty International che ha raccolto innumerevoli testimonianze sui crimini di guerra commessi nel conflitto tra le Forze di supporto rapido.
In un dettagliato rapporto l’organizzazione per i diritti umani ha documentato uccisioni di civili e stupri di massa a seguito di attacchi deliberati e indiscriminati portati a termine contro la popolazione del Darfur. Documentati anche attacchi mirati contro strutture civili, quali ospedali, scuole, chiese, e vasti saccheggi.
Gran parte di queste azioni violente e illegali costituiscono crimini di guerra.
“Ogni singolo giorno, mentre le Fsr e le Fas combattono per il controllo del territorio, la popolazione civile sudanese soffre orrori inimmaginabili”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.
“I civili vengono uccisi all’interno delle loro abitazioni o mentre cercano disperatamente cibo, acqua e medicinali. Finiscono in mezzo al fuoco incrociato quando provano a fuggire e vengono intenzionalmente assassinati in attacchi mirati. Decine di donne e ragazze, alcune di soli 12 anni, sono state stuprate o sottoposte ad altre forme di violenza sessuale. Nessun luogo è sicuro”, ha sottolineato Callamard.
“La violenza dilagante nella regione del Darfur fa venire in mente la campagna di terra bruciata dei decenni scorsi, in alcuni casi ad opera dei medesimi responsabili di oggi”, ha aggiunto Callamard.
La segretaria di Amnesty si riferisce in particolare alle Forze di supporto rapido che dal 2003, all’epoca conosciute come “janjaweed”, letteralmente “diavoli a cavallo”, ma accusa di violenze e crimini anche le Forze armate sudanese e lancia un appello: “Tutte le parti in conflitto, compresi i gruppi armati affiliati alle une e alle altre, devono porre fine agli attacchi contro i civili e garantire percorsi sicuri in uscita per chi cerca salvezza. Occorrono misure urgenti per assicurare giustizia e riparazione per le vittime e le persone sopravvissute”, ha proseguito Callamard.
Da quando il 15 aprile 2023 le Fas e le Fsr si stanno scontrando per il controllo del Sudan.
Data la dimensione dei combattimenti e l’organizzazione delle due parti, ai sensi delle Convenzioni di Ginevra quello in corso è un conflitto armato non internazionale. Ai combattimenti, dunque, si applicano tanto il diritto internazionale umanitario, il cui scopo è proteggere i civili, quanto quello dei diritti umani. Determinate violazioni delle loro norme costituiscono crimini di guerra, dei quali singoli soldati e comandanti possono essere chiamati a rispondere sul piano giudiziario. Come è già avvenuto per il genocidio del Darfur, ordinato dall’ex presidente Omaha Hassan al Bashir, incriminato per i massacri perpetrati dai janjaweed nella regione occidentale sudanese dalla Corte penale internazionale.
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