Affamati di notizie. Essenziale per realizzare un’inchiesta
Giornalista d’inchiesta Rai, Giulia Bosetti per la seconda volta ha accettato di ricoprire il ruolo di tutor del Premio Roberto Morrione. Da due anni è anche nell’esecutivo dell’associazione Amici di Roberto Morrione.
Oggi realizza le inchieste di Spotlight di Rai News 24, la testata all news della Rai, per cui conduce anche il tg.
Ha lavorato per L’Infedele di Gad Lerner su La7, Annozero, Servizio Pubblico e M di Michele Santoro su Rai Due e multipiattaforma, Frontiere di Franco Di Mare su Rai Tre. Ha collaborato con L’Espresso, Il Fatto Quotidiano, Domani, Left, Il Reportage. Dal 2012 al 2023 è stata inviata e autrice di PresaDiretta su Rai Tre, oggi realizza le inchieste di Spotlight e conduce il telegiornale su Rainews24. Le sue inchieste internazionali sono state premiate con numerosi riconoscimenti. Tra gli altri: il Premio Ischia Internazionale di giornalismo, il Premio Colomba d’Oro per la pace dell’Archivio Disarmo e il Premio giornalistico internazionale Marco Luchetta – Rotta Balcanica.
Dalla Cisgiordania, dove si trova in questi giorni per Rai News 24, ha risposto alle nostre domande.
Hai accettato di nuovo di essere nella squadra dei tutor. Come vivrai questo “secondo mandato”?
La prima esperienza come tutor è stata entusiasmante, con la squadra di due giovanissime colleghe che hanno affrontato una sfida coraggiosa indagando sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Olanda (era il 2017 e le due finaliste erano Alessia Melchiorre e Antonella Serrecchia con l’inchiesta Nei canali della ‘ndrangheta, ndr) senza mai arrendersi di fronte alle difficoltà e con la giusta dose di incoscienza e freschezza che caratterizza chi ama in maniera innata questo mestiere. Più che un secondo mandato – che mi rimanda a un immaginario politico da cui mi tengo volentieri a distanza – il lavoro di quest’anno lo vivo come un nuovo stimolo, arricchito dall’idea di seguire un progetto originale, intelligente, difficile come deve essere una vera inchiesta. Il bello di questo mestiere è che non si smette mai di studiare e imparare, lo farò anche questa volta, pronta a farmi coinvolgere dall’entusiasmo di Iacopo.
Cosa ti aspetti questa volta dagli under 30 giunti in finale?
Uno dei grandi maestri del giornalismo televisivo con cui ho lavorato ci ripeteva sempre: dovete avere fame. Ed è tanta fame di notizie che mi aspetto dai finalisti, fame di crescita, di denuncia. La curiosità, la tenacia e la passione che portano ad accendere la luce sulle zone d’ombra, a svelare i sistemi di potere e le storture della società e a metterli in discussione, a dare voce a chi rimane ai margini. Mi aspetto che gli under30 non abbiano paura e non vogliano fermarsi finché non hanno raggiunto l’obiettivo. Mi aspetto che non si accontentino.
Guardando al giornalismo di inchiesta, secondo te ci sono dei mutamenti, delle sfide nuove che i giovani under 30 dovrebbero considerare?
Prima di tutto l’idea di lavorare in squadra, di fare rete attraverso consorzi e progetti collettivi, ma questo i giornalisti under 30 lo hanno già capito molto più di chi li ha preceduti. E poi che è sempre più necessario saper fare tutto, consumare le suole delle scarpe – come dicevano un tempo i colleghi – ma anche girare, montare, fare data journalism, lavorare in open source, utilizzare strumenti di cui la rete è piena, ma su cui non si può mai smettere di aggiornarsi. Il mercato del giornalismo è sempre più duro, in particolare quello italiano, segnato da sfruttamento e precariato: gli spazi bisogna prenderseli, mettere insieme collaborazioni, partecipare ai bandi, avere sempre nuove idee, esplorare i format e i linguaggi, guardare al panorama internazionale e alle sue proposte. Ma se oggi la parola d’ordine di social e web è velocità, l’inchiesta deve invece pretendere tempo e quel tempo, con la profondità di indagine che lo accompagna, – alla lunga – sarà quello che la renderà vincente e che darà ancora un senso alla nostra professione.
Che libro consigli di leggere a chi ha la passione per l’inchiesta giornalistica?
Anna Politkvoskaya, “La Russia di Putin”: non è un’idea originale, ma era già scritto tutto lì, bastava quel libro per leggere tutto il presente che stiamo vivendo. Ci sono le storie, le vite, le voci di chi non veniva ascoltato e c’è la chiamata in causa del potere, fino alla sua espressione più forte, oppressiva e violenta. Politkvoskaya ha saputo interpretare questo mestiere nella sua forma più alta e il contributo che ha dato è coscienza collettiva, è storia, è sguardo per il futuro.
Un’inchiesta degli ultimi anni da segnalare ai giovani che stanno approcciando al mestiere di giornalista?
EUarms di Lighthouse Reports, sull’export di armi dei paesi europei in violazione delle proprie leggi e dei trattati internazionali, fino a scoprire dove quelle armi sono finite e come sono state utilizzate. Un lavoro monumentale, che ha visto collaborare giornalisti, investigatori ed esperti di nazionalità e profili diversi, mettendo insieme e analizzando dati, video, immagini, geo-localizzazioni. Prendetevi del tempo, perdetevi tra grafiche e storie, lasciatevi ispirare e poi proponetevi, ora tocca a voi.
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