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“Per fare inchiesta: passione, rigore e umiltà”

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Reporter, autrice e produttrice radiofonica per la redazione Podcast di RAI Radio1, Michela Mancini è nella squadra di tutor giornalistici della 13′ edizione del Premio Roberto Morrione per il giornalismo investigativo.

Specializzata in “creative radio” e “audio documentary” alla Goldsmiths University of London. Ha collaborato con diverse testate, tra cui il Venerdì di Repubblica e la BBC, occupandosi principalmente di temi legati alla criminalità organizzata. Dal 2016 lavora per la radio e la televisione pubblica italiana, Rai Radio3, Report Rai3 e Giornale Radio Rai. Con il suo audio dramma “Goldfish and Soldiers” in lingua inglese ha vinto il Prix Europa Rising Star nel 2020. La serie audio “Gli Ammutati” è stata selezionata allo UK International Radio Drama Festival ed è stata tra i finalisti al Prix Europa del 2023 nella sezione “audio investigation”.

Perché hai accettato il ruolo di tutor del Premio Morrione? Che cosa significa per te?

Il fatto che un gruppo di persone, perbene e senza interessi, ti supporti umanamente, professionalmente ed economicamente per fare un’inchiesta è qualcosa di raro e prezioso. Il mondo del giornalismo è feroce lì fuori. È bello poter fare la differenza in un contesto così pulito.

Cosa ti aspetti dagli under 30 che seguirai nella realizzazione dell’inchiesta? 

Passione, rigore e umiltà.

Quale consiglio su tutti ti senti di dare agli under 30 arrivati in finale, ora alle prese con il progetto di inchiesta?

Non cadere nel tranello dell’attivismo e delle tesi precostituite. Siamo solo cronisti.

Quando hai capito che il giornalismo sarebbe stato il tuo mestiere?

Quando ho cominciato a prendere appunti mentre una signora del Senegal mi stava facendo le trecce ai capelli. Aveva una storia incredibile, fu il mio primo vero pezzo per un giornale.

C’è una inchiesta che consideri un esempio da seguire? Se si, quale e perché?

Il lavoro sul campo che la giornalista Anna Politkovskaja ha condensato nel libro “Cecenia. Il Disonore Russo”. Era uno dei testi da studiare per sostenere l’esame di giornalismo di inchiesta all’università. Mi sbalordì pensare che tanto coraggio, rigore
e potenza narrativa potessero coesistere in una sola voce. Da allora ho sempre pensato che le parole della Politkovskaja dovessero essere la regola aurea di questo mestiere: «L’unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede». Sembra facile, ma è la sfida più grande che ci troviamo ad affrontare.

Quale podcast d’inchiesta suggerisci di ascoltare?

Ne ho due da consigliare: “The Retrievals”, un podcast di Serial productions e del New York Times scritto e narrato da Susan Barton, mentre in italiano, anche se non propriamente di inchiesta, uno dei racconti neri più belli degli ultimi anni “La città dei vivi” di Nicola Lagioia per ChoraMedia.

Che libro consiglieresti di leggere a chi vuole fare del giornalismo il proprio lavoro, il proprio futuro?

Senza dubbio “Il cinico non è adatto a questo mestiere” di Ryszard Kapuscinski.

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