Schiavone e il pentimento
Il pentimento è un’altra cosa e non può essere confuso con la collaborazione con la giustizia. I titoli dei giornali definiscono sbrigativamente pentimento la decisione di Francesco Schiavone, meglio noto come Sandokan, di cominciare a riferire di tutte le sue azioni criminali con dettagli circostanziati sulla fitta rete di complicità e corruzione.
Il primo segnale che i magistrati avranno valutato è sicuramente il riferimento ad attività illecite o eventi delinquenziali per i quali non è mai stato né indagato, né condannato.
L’atto di pentirsi è piuttosto un processo interiore che scava nella coscienza, fruga nella volontà di un riscatto personalissimo, è ricerca delle falde di umanità più pura che sopravvivono anche alle più crudeli condotte criminali.
Di Schiavone finora sappiamo solo della sua volontà di collaborare, che è da verificare con riscontri precisi e attuali. Del suo percorso nulla è stato reso pubblico e pertanto nulla conosciamo. Piuttosto lo auspichiamo perché non farebbe fare un passo avanti solo alla giustizia e alla ricerca della verità ma anche all’umanità. E non solo alla sua.
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