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L’origine del Pubblico Ministero Europeo (EPPO: European Public Prosecutor Office)

Francesco De Angelis * il . Costituzione, Diritti, Giustizia, Internazionale, Istituzioni, Politica

Il testo descrive il cammino che ha condotto alla creazione del Pubblico Ministero europeo, oggi pienamente operante. L’autore ha vissuto da protagonista il percorso interno alla Commissione europea che ha condotto all’elaborazione dell’idea di uno spazio giudiziario unificato per la protezione degli interessi finanziari dell’Unione Europea (PIF). Il Corpus iuris recante disposizioni penali per la protezione degli interessi finanziari dell’UE, elaborato da un gruppo di eminenti accademici europei esperti in diritto penale, sotto la sua conduzione, è il risultato di approfondite discussioni circa un modello di sintesi di norme che tengano conto delle tradizioni delle Nazioni europee.

Sommario: 1. Gli antecedenti / 2. Verso il cammino del “Corpus Juris”: un testo unificatore /2.1. Le associazioni di giuristi penalisti europei nel settore della PIF /2.2. Lo studio del Corpus Juris /2.3. Il Corpus Juris 2000 (versione di Firenze) / 2.4. I dibattiti intorno al Corpus Juris / 3. Il Libro Verde /4. IL cammino verso la decisione finale / 5.  La decisione del Consiglio del 2017 /6.  Nuove competenze per la Procura europea? /7.  Rafforzare gli strumenti a disposizione della Procura europea /7.1. Unificazione del diritto penale materiale /7.2 Unificazione del diritto penale processuale /7.3 La formazione: un ulteriore strumento di convergenza per la Procura europea /8. Alternative al carcere: una dimensione dell’attività della Procura europea

1. Gli antecedenti

Si era alla fine del 1989, l’OLAF (Office lutte anti fraudes), servizio della Commissione attualmente incaricato della lotta antifrode a danno dei fondi dell’Unione Europea, non era ancora stato creato. Ogni servizio di gestione della Commissione nei settori agricolo, sociale, regionale, ecc., aveva una propria unità per condurre la lotta contro le frodi a danno del bilancio comunitario. In qualità di direttore della Direzione generale per il controllo finanziario, ero incaricato di rappresentare la Commissione dinanzi al Parlamento europeo coordinando dette unità. Il Parlamento era molto critico nei confronti della Commissione sul modo in cui essa affrontava la lotta contro le frodi. Anche la stampa nazionale formulava seri rimproveri nei confronti delle istituzioni europee. Di fatto non esisteva una strategia globale né a livello degli Stati membri responsabili della gestione dei fondi sul proprio territorio, né a livello europeo. La Commissione non aveva una visione complessiva dei diversi aspetti relativi al fenomeno dei reati finanziari.

Al fine di gettare maggiore luce sul fenomeno, la Direzione generale del Controllo finanziario decise di organizzare nel novembre 1989 a Bruxelles, un seminario di tre giorni, che riunì più di duecento rappresentanti degli Stati membri interessati alla gestione e al controllo dei fondi comunitari, nonché membri del mondo giudiziario e accademico nazionale ed europeo.

Contemporaneamente lo stesso servizio della Commissione intraprendeva iniziative di formazione per le magistrature nazionali nel campo della tutela penale degli interessi finanziari della Comunità europea e, ciò nonostante, l’opinione dominante di allora in seno alla Commissione, secondo la quale la formazione dei giudici nazionali era responsabilità esclusiva degli Stati membri.

Le iniziative di formazione erano dettate a suo tempo dalla constatazione di una situazione allarmante. Durante i controlli sul territorio degli Stati membri, si era constatato che l’applicazione del diritto comunitario nel settore della tutela degli interessi finanziari della Comunità europea, incontrava ostacoli significativi, non solo a livello delle amministrazioni nazionali responsabili della gestione e del controllo dei fondi, ma anche e soprattutto, dell’autorità giudiziaria.

Per quanto riguarda queste ultime, era emerso che i casi di frode a scapito dei fondi comunitari non erano considerati una priorità per i pubblici ministeri nazionali. Le ragioni addotte riguardavano la complessità della legislazione europea, la mancanza di assistenza tecnica da parte dei servizi nazionali responsabili della gestione e del controllo dei fondi europei e la difficoltà di cooperare con i colleghi in altri Stati membri in caso di frodi transnazionali. ‘Bruxelles’ era percepita come un concetto molto vago. Il denaro europeo era considerato res nullius e non come avrebbe dovuto, res omnium.

Pertanto, i pubblici ministeri nazionali non davano agli interessi pubblici comunitari lo stesso livello di priorità di quando i danni riguardavano i fondi nazionali. L’enorme difficoltà di indagare sui casi di frode comunitaria, il basso livello di interesse pubblico, il tempo eccessivo impiegato per istruire i casi fraudolenti e la bassa probabilità di portarli a termine, conducevano ad un tasso di condanna estremamente esiguo.

Emergeva con chiarezza che l’importanza del bilancio europeo, bene comune dei cittadini della Comunità europea, richiedeva una risposta più efficace che tenesse conto delle caratteristiche specifiche della criminalità finanziaria che colpiva i fondi comunitari.  Per altro, dalle constatazioni effettuate, relative ad importanti casi di frode, emergeva che le tecniche utilizzate e la complessità degli ingranaggi messi in atto, rivelavano il coinvolgimento di organizzazioni criminali.

L’eterogeneità delle legislazioni e delle procedure amministrative nazionali, nonché le carenze degli strumenti di cooperazione transnazionale esistenti, costituivano i principali ostacoli alla lotta contro tale criminalità organizzata a livello multinazionale. L’apertura delle frontiere fisiche avrebbe potuto accentuare il fenomeno se i confini giudiziari fossero rimasti.

Infatti, da un lato, la scomparsa dei controlli alle frontiere riduceva la possibilità per le autorità nazionali competenti di individuare i criminali quando attraversavano le frontiere; dall’altro, il mantenimento del dogma della territorialità del diritto penale perpetuava i confini giuridici. Tale situazione impediva quindi alle autorità di uno Stato membro di perseguire, senza ricorrere a una complessa procedura di estradizione, la persona che aveva commesso un reato sul suo territorio e poi si era rifugiata in un altro.

Le istituzioni comunitarie avevano di certo lavorato per diversi anni per sviluppare un sistema di sanzioni, in collaborazione con gli Stati membri. Tuttavia, le soluzioni individuate apparivano insoddisfacenti. Tra queste, il ricorso al cosiddetto principio di «assimilazione» che per le finanze comunitarie era stato sancito dall’articolo 209 A del trattato di Maastricht, dopo una sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, e con il quale veniva estesa l’applicazione delle sanzioni penali nazionali ai reati previsti dalle norme comunitarie. Questo approccio non garantiva una repressione efficace, poiché non superava l’ostacolo derivante dall’estrema eterogeneità delle sanzioni nazionali.

Tale constatazione rendeva anche scettici circa l’attuazione dei vari strumenti già in vigore volti a promuovere la cooperazione tra gli Stati membri. Si trattava certamente di atti giuridici che compivano progressi rispetto alla precedente situazione di cooperazione amministrativa e giudiziaria classica, dimostrando così uno sforzo da parte degli Stati membri di conseguire una cooperazione giudiziaria rafforzata. Tuttavia, si trattava di testi del terzo pilastro che richiedevano per entrare in vigore la ratifica da parte degli Stati membri, così come i testi precedentemente adottati nel quadro della cooperazione politica europea. Pertanto, l’efficacia della repressione non era garantita. L’idea di una giurisdizione estesa a tutto il territorio della Comunità non si rifletteva in questi atti giuridici. Ciò faceva sì che, nel campo della cooperazione giudiziaria, lo strumento obsoleto e inadeguato della rogatoria internazionale rimanesse sovrano.

Era quindi necessario arrendersi all’evidenza che le differenze esistenti tra gli ordinamenti giuridici nazionali costituivano ostacoli quasi insormontabili alla cooperazione interstatale in grado di far fronte alla nuova situazione di uno spazio economico integrato. I giudici nazionali potevano solo opporre un muro di carta al crescente crimine, che approfittava della scomparsa delle frontiere fisiche e beneficiava del loro mantenimento a livello penale, per garantirsi l’immunità.

La soluzione veramente efficace era quindi quella di realizzare il passaggio dal concetto di assimilazione e armonizzazione delle legislazioni nazionali al concetto di unificazione del diritto, che portasse alla creazione di uno spazio giudiziario europeo, unica soluzione coerente con il processo di integrazione. Non si trattava di ignorare la diversità nazionali, ma di superarne le differenze quando esse impedivano una collaborazione efficace.

Questo fu l’obiettivo del mio servizio in quanto responsabile del controllo dei fondi europei, benché nell’ambito della Commissione vi fosse molta reticenza al riguardo. Di fatto la Commissione aveva più volte dichiarato che il diritto penale non era di competenza della Comunità europea e quindi le altre direzioni generali coinvolte erano contrari a qualsiasi iniziativa in materia penale riguardante il settore PIF (Protezione interessi finanziari).  Un esempio è dato dal fatto che, dopo uno studio comparato approfondito sulle norme del settore in vigore negli Stati membri, la Commissione propose al Consiglio un progetto di convenzione anziché di una direttiva nonostante la posizione in tal senso dell’OLAF e della Direzione generale del controllo finanziario.

2. Verso il cammino del “Corpus Juris”: un testo unificatore   

2.1. Le associazioni di giuristi penalisti europei nel settore della PIF       

Alla luce di quanto sopra, mi ero convinto che invece di procedere passo dopo passo, la proposta più ambiziosa dovesse essere messa sul tavolo al fine di affrontare un dibattito globale sulle questioni di diritto penale europeo. Così lanciai lo studio noto come “Corpus Juris”.

Il Corpus Juris nasce sulla scia delle attività delle associazioni di giuristi europei per la tutela degli interessi finanziari dell’Unione Europea, create a seguito del grande seminario di tre giorni a Bruxelles nel novembre 1989, sopra citato.

Dette associazioni hanno istituito una rete estesa su tutto il territorio dell’Unione europea, comprendente rappresentanti di organi giudiziari, dogane, ministeri finanziari, organismi di controllo interni ed esterni, polizia economica, mondo accademico, avvocati e altre professioni legali. Le associazioni hanno pubblicato un bollettino trimestrale con il nome di ‘Agon’, evocativo di “impegno”, “lotta”, “coinvolgimento totale” nell’apprensione di un fenomeno che coinvolge il diritto finanziario (penale, civile, amministrativo, materiale e processuale), le istituzioni nazionali ed europee, nonché l’opinione pubblica e i media.   AGON fu concepito come uno spazio di scambio di informazioni e di collegamento tra le associazioni. AGON è stata sostituito nel 2009 da EUCRIM, una pubblicazione diretta dall’Istituto Max Planck di Friburgo (Germania) molto apprezzata nel mondo accademico e istituzionale degli Stati membri e dell’Unione.

Il dinamismo delle associazioni e il ritmo della loro costituzione negli Stati membri e nei paesi candidati sono stati la prova del grande interesse suscitato da questa forma di integrazione delle diverse professioni nel processo evolutivo che porta all’Europa della sicurezza e della giustizia.

2.2.  Lo studio del Corpus Juris  

Nel 1994, i Presidenti delle associazioni per la tutela penale degli Interessi finanziari dell’Unione Europea si riunirono, su mia iniziativa, presso l’Università di Urbino (Italia) per celebrare, in una cerimonia solenne, l’assegnazione della Laurea honoris causa in Scienze politiche alla Sig.ra Diemut Theato, Presidente della commissione per il controllo del bilancio del Parlamento europeo. La signora Theato dava un notevole contributo alla promozione del diritto penale europeo nel campo della PIF e sosteneva con determinazione le attività delle associazioni. Con la sua presenza regolare ai seminari iniettava lo slancio vitale per il loro successo.

Colsi dunque l’occasione per sottoporre ai Presidenti delle associazioni l’idea di una ricerca che godeva del sostegno del Parlamento europeo, circa uno spazio giudiziario europeo unificato. Dopo mesi di intensi dibattiti, Mireille Delmas-Marty, Professoressa all’Università della Sorbona redasse il rapporto finale col titolo “Corpus Juris contenenti disposizioni penali per la protezione degli interessi finanziari dell’Unione europea” sintetizzando le proposte elaborate da un gruppo di esperti in materia di diritto sostanziale e procedurale.

Attingendo ai principi guida sanciti dalla tradizione giuridica comune degli Stati membri, le proposte contenute nel Corpus Juris miravano a garantire, in uno spazio ampiamente unificato, una protezione più equa, più semplice e più efficace del bilancio europeo.

Il gruppo di esperti ha dovuto affrontare il dibattito molto complesso circa la scelta tra l’armonizzazione delle legislazioni nazionali e l’unificazione del diritto, essendo stata esclusa fin dall’inizio la via dell’assimilazione della protezione del diritto europeo ai diversi diritti nazionali, in quanto non idonea a realizzare una tutela efficace degli interessi comunitari.

Va da sé che ho spinto con determinazione verso l’unificazione, poiché nemmeno l’armonizzazione poteva garantire una protezione omogenea delle finanze europee a causa dell’eccessivo margine lasciato al legislatore nel recepimento dei testi comunitari negli ordinamenti giuridici nazionali. Gli esperti, anche se provenienti da mondi giuridici diversi, hanno potuto proporre, senza troppe tensioni tra loro, reati e sanzioni comuni, nonché principi generali comuni, che si ricollegano ai principi fondamentali del diritto penale in vigore negli Stati membri.

Le discussioni sono state molto intense quando si è trattato di elaborare le proposte relative alla parte procedurale. Era necessario dimostrare una reale capacità di immaginazione per progettare strumenti idonei a creare uno spazio giuridico unico, consentendo al pubblico ministero, responsabile dell’indagine, di muoversi liberamente in tutta Europa. Le categorie della cooperazione intergovernativa convenzionali dovevano essere abbandonate.

La soluzione proposta trova il giusto equilibrio tra l’idea della creazione di una nuova autorità europea che coordina le indagini e la designazione di autorità nazionali che persegue i reati a danno degli interessi finanziari europei.

Il Corpus juris si compone di due parti che seguono la tradizionale distinzione tra diritto penale sostanziale (articoli da 1 a 17) e procedura penale (articoli 18-35). Per quanto riguarda il diritto materiale, le proposte si basano su tre principi fondamentali: il principio della legalità dei reati e delle pene, il principio di colpevolezza e il principio di proporzionalità delle pene. La constatazione di disparità tra gli Stati membri per quanto riguarda i comportamenti illeciti finanziari ha indotto gli esperti a prendere in considerazione una definizione specifica comune dei reati più frequenti.

Mentre per alcuni di questi reati le proposte del Corpus Juris si basano sui documenti europei già adottati nel settore, il resto del testo rappresenta un notevole passo avanti su alcuni reati per i quali propone, per la prima volta, una vera e propria definizione specifica comune.

Le proposte più innovative, tuttavia, emergono dalla parte procedurale. È qui che troviamo l’idea fondamentale del rapporto finale secondo cui “ai fini dell’indagine, dell’azione penale, del giudizio e dell’esecuzione delle sentenze, tutti i territori degli Stati membri dell’Unione costituiscono uno spazio giudiziario unico”.  Il secondo elemento innovativo è la proposta di creare una Procura europea, indipendente dalle autorità nazionali e dagli organismi europei e competente per l’intera Europa. Secondo gli esperti, doveva consistere in una struttura leggera in cui la maggior parte delle attività sarebbe stata svolta da procuratori itineranti, i procuratori europei delegati, nominati da ciascuno Stato membro tra i propri procuratori nazionali. Il procuratore europeo è abilitato a spostarsi da uno Stato membro all’altro, mentre un procuratore generale europeo, con sede a Bruxelles, coordinerebbe le procedure di indagine. L’efficacia di questo ufficio del pubblico ministero sarebbe garantita anche dal principio di indivisibilità e solidarietà e da un obbligo di assistenza imposto a tutti i procuratori nazionali nei confronti dei membri dello stesso ufficio del procuratore. È il principio della legalità dell’azione penale, con alcune flessibilità, che caratterizza l’attività della procura, tenuta ad esercitare l’azione pubblica quando viene commesso uno dei reati previsti dal testo.

Il Corpus Juris stabilisce inoltre una serie di principi relativi allo svolgimento della procedura. Per quanto riguarda la fase preparatoria della sentenza, essa propone essenzialmente una sintesi tra tradizioni inquisitorie e accusatorie, in quanto coniuga l’elemento del monopolio dell’autorità pubblica per le indagini e le azioni penali, tipico della tradizione inquisitoria, e il rafforzamento della garanzia giudiziaria, inerente al modello del contraddittorio. Si propone inoltre di creare una “Camera preliminare europea”, formula ispirata dallo Statuto della Corte penale internazionale, che ha il compito di autorizzare tutti gli atti suscettibili di violare le libertà individuali dei testimoni o degli imputati, dopo averne controllato la legalità e la regolarità, nonché il rispetto dei principi di necessità e proporzionalità. Detta proposta, che riguarda la fase preparatoria, diventa tanto più interessante se si considera che è per quanto riguarda la fase preliminare al giudizio che sono state rilevate le maggiori disparità tra gli ordinamenti giuridici nazionali.

Proposte importanti e innovative vengono fatte anche per quanto riguarda i vari mezzi di prova. Si tratta di un campo che richiede norme minime comuni, in quanto l’eterogeneità può portare a disparità significative tra le parti in causa. Pertanto, pur specificando che le norme proposte non escludono l’ammissibilità di altre forme di prova conformemente alla legge dello Stato in cui il caso è trattato, si prevede oltre alla testimonianza diretta, l’ammissibilità dell’audizione mediante trasmissione  audiovisiva dei testimoni in un altro Stato membro e la redazione di un verbale europeo dell’udienza  che garantisca che sia stato fatto dinanzi a un giudice e in presenza della difesa e che l’operazione sia registrata mediante video.

Per quanto riguarda la fase processuale, si prevede che essa si svolga secondo le norme nazionali dello Stato in cui si trovi il giudice competente, in presenza del Procuratore europeo al fine garantire la continuità della procedura e la parità di trattamento delle persone perseguite nonostante le differenze nei procedimenti giudiziari nazionali.

Una proposta importante è quella relativa all’intervento della Corte di Giustizia, la cui competenza è stabilita sia per quanto riguarda l’interpretazione dei testi sia per la risoluzione di eventuali controversie relative alla loro applicazione e di conflitti di giurisdizione che potrebbero sorgere nei confronti della Procura europea.

2.3. Il Corpus Juris 2000 (versione di Firenze)       

A seguito delle osservazioni di molti penalisti europei  che sostenevano che le proposte del Corpus Juris avrebbero richiesto riforme molto profonde delle costituzioni nazionali, dei codici penali e dei codici di procedura penale, nonché delle norme relative all’organizzazione giudiziaria, la Commissione lanciò un nuovo studio, con il sostegno del Parlamento europeo, noto come “Follow-up del Corpus Juris” circa le condizioni di fattibilità delle raccomandazioni ivi contenute,  volte a conseguire, conformemente al trattato, gli obiettivi di una tutela efficace, dissuasiva e proporzionata degli interessi finanziari della Comunità, negli ordinamenti giuridici nazionali.

Le proposte contenute nel Corpus furono ampiamente discusse nel corso di un incontro presso la sede dell’Università di Firenze dai ricercatori, dai rappresentanti delle associazioni dei giuristi europei e dai rappresentanti del ‘Defense Rights Group’, creato a tal proposito dai servizi competenti della Commissione.

La versione del 2000 fa quindi seguito al progetto del 1997, realizzato analizzando il Corpus Juris, il quadro giuridico globale e la compatibilità con gli ordinamenti giuridici nazionali. Il documento finale si compone di quattro volumi e di una relazione di sintesi che apporta una serie di adattamenti al Corpus Juris del 1997 sulla base di una valutazione critica delle proposte, sia nella loro coerenza interna che nella loro rilevanza esterna, elucidandole, integrandole o modificandole. La struttura originale dei 35 articoli rimane tuttavia invariata.

2.4. I dibattiti intorno al Corpus Juris

In occasione di numerose conferenze di esperti, nella stampa e negli ambienti politici, fu prestata grande attenzione alle proposte contenute nel testo, negli Stati membri ed in ambito europeo. Il Corpus Juris ha certamente assolto una funzione: tenere un dibattito pubblico sul ruolo del diritto penale e della procedura penale nell’integrazione europea. Quali sono gli interessi europei meritevoli di protezione penale e come può essere organizzata tale protezione in modo tale che la sua efficacia sia garantita nello spazio europeo?

È proprio necessario adottare un progetto suscettibile di stravolgere le tradizioni giuridiche nazionali e che sembra andare contro una moderna politica di prevenzione e depenalizzazione? Il Corpus Juris è fattibile, conoscendo la diversità dei sistemi di diritto penale e processuale nazionali inidonei dunque ad essere armonizzati, ancora meno unificati?

Il Corpus Juris e in particolare la configurazione di una Procura europea sono stati, per diversi anni, oggetto di un intenso dibattito nel Parlamento europeo e negli Stati membri, a livello dei parlamenti nazionali, dei rappresentanti di governi e università. Esso ha suscitato grande interesse da parte di accademici in America Latina e in Cina. I ricercatori dei paesi candidati dell’Europa centrale e orientale l’hanno tradotto nella loro lingua e utilizzato per promuovere le appropriate riforme prima dell’adesione all’Unione europea.

3. Il Libro Verde     

Nel dicembre 2001 la Commissione europea, su iniziativa dell’OLAF, compie un passo importante verso la creazione della Procura europea con il ‘Libro verde sulla tutela penale degli interessi finanziari dell’Unione europea e la creazione della procura europea’. Il Libro verde ricerca soluzioni pratiche per l’attuazione del progetto ambizioso e innovativo della Procura europea. La Commissione osserva che gli autori del Corpus Juris hanno proposto un elevato livello di armonizzazione del diritto penale materiale. Essa ritiene che l’armonizzazione debba essere proporzionata agli obiettivi specifici della tutela degli interessi finanziari dell’Unione. Pertanto, la Commissione concentra il dibattito circa i requisiti minimi perché la Procura europea possa operare in modo efficace.

4. IL cammino verso la decisione finale  

Dopo che il Consiglio europeo aveva respinto l’idea di inserire il progetto del procuratore europeo nel trattato di Nizza, la riforma dei trattati del 2007 ne fornisce la base giuridica. Ai sensi dell’articolo 86 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (trattato di Lisbona), il Consiglio può istituire all’unanimità, previa approvazione del Parlamento europeo, la Procura europea a partire da Eurojust. L’articolo prevede la possibilità per un gruppo di almeno nove Stati membri di chiedere una decisione del Consiglio per la creazione di una Procura europea attraverso una cooperazione rafforzata.

Nonostante i dibattiti controversi negli Stati membri sulla necessità di un procuratore europeo dopo l’entrata in vigore del trattato, la Commissione continuerà a sostenere il progetto. Sotto l’egida dell’OLAF e della Direzione generale «Giustizia», condurrà ulteriori lavori di preparazione, riunioni di esperti, consultazioni web, e ricerca scientifica.

Nel luglio 2013 la Commissione presenta una proposta di regolamento per l’istituzione di una procura europea. Quest’ultima è concepita sotto forma di un organo dell’UE competente a dirigere, coordinare le indagini penali e perseguire gli indagati dinanzi ai tribunali nazionali, conformemente a una politica comune in materia di azione penale negli Stati membri.

5. La decisione del Consiglio del 2017  

Il testo del Consiglio, adottato col Regolamento (CE) n. 2017/1939 “Regolamento EPPO”, attraverso una cooperazione rafforzata, si distacca dalla proposta della Commissione, in quanto il modello monocratico è trasformato in una struttura articolata. E’ giocoforza rilevare che il principio guida del legislatore è stato ispirato dalla preoccupazione che i sistemi giuridici e le tradizioni degli Stati membri siano rappresentati nella Procura europea al fine di mantenerla sotto la loro stretta supervisione e la giurisdizione nazionale sotto il loro controllo. In effetti, il processo di indagine spetta alle autorità nazionali. Tuttavia, il concetto di Procura europea operante sul territorio degli Stati membri partecipanti è salvaguardato, sebbene sia associato a meccanismi operativi complessi.

Va tenuto presente, tuttavia, che la Procura europea non ha ricevuto l’accordo di tutti gli Stati membri. Oltre alla Danimarca, all’Irlanda e che godono di un regime speciale nei settori della libertà, della sicurezza e della giustizia, la Svezia, la Polonia e l’Ungheria non hanno aderito alla Procura europea. Nello stesso tempo, i parlamenti di dodici Stati membri hanno espresso perplessità avviando la procedura del “cartellino giallo” nei confronti della proposta della Commissione. In sostanza, le obiezioni più importanti riguardano il rispetto del principio di proporzionalità (articolo 5 TUE).

6. Nuove competenze per la Procura europea?         

Si pone quindi la questione se la creazione della Procura europea non ecceda quanto necessario per conseguire gli obiettivi dei Trattati, qualora il campo d’azione rimanga limitato alla tutela del bilancio. Il rispetto del principio di proporzionalità potrebbe essere rimesso in discussione poiché quello che è stato creato è un meccanismo complesso, lontano dalla linearità del Corpus Juris e dalla sobrietà della proposta della Commissione. Il conferimento di nuove responsabilità appare quindi auspicabile per corroborare la «ragion d’essere» di questo nuovo organismo.

La tutela del diritto ambientale europeo sembra essere un campo adeguato di estensione dei poteri. A questo proposito, è significativo notare che dal 2005 in poi il consolidamento della politica penale dell’Unione europea ha avuto luogo principalmente in materia di diritto dell’ambiente.

Il diritto ambientale europeo rappresenta un corpus legislativo imponente ed è uno straordinario laboratorio per l’integrazione europea. Concepito in assenza di una base giuridica, l’intervento delle istituzioni europee copre quasi l’intero spazio giuridico. Si tratta di una legislazione ampia, complessa e coinvolgente. Il concetto di ambiente si riferisce all’intero spettro di elementi naturali e artificiali che circondano la vita. Per legge ambientale si intende tutta la legislazione volta a combattere l’inquinamento atmosferico, la proliferazione dei rifiuti, l’inquinamento delle acque e i cambiamenti climatici. Essa contribuisce alla protezione della biodiversità. La legislazione europea sostiene la democrazia ambientale e la ripartizione delle responsabilità in caso di danni. Se all’inizio può essere stata concepita in una visione antropocentrica, oggi è la natura che viene protetta come tale. La legislazione dell’Unione europea è composta di oltre 700 atti legislativi, settoriali e trasversali. Essa Interagisce con il diritto nazionale e internazionale. Il diritto dell’Unione funge da motore per lo sviluppo delle norme internazionali.

Come nel settore della tutela degli interessi finanziari dell’Unione, i reati ambientali sono puniti dalla legislazione nazionale. Ispirata alla giurisprudenza della Corte di giustizia, la direttiva 2008/99/CE sulla protezione dell’ambiente mediante il diritto penale, mira a conseguire l’armonizzazione del diritto penale nazionale. Come nel campo della PIF, il legislatore europeo si è limitato ad un intervento minimalista. I reati ambientali sono normalmente crimini gravi, spesso transfrontalieri, perpetrati da reti di criminali che operano nei 27 territori degli Stati membri i cui strumenti giuridici e operativi variano da uno all’altro. Europol ed Eurojust hanno poteri limitati e non esiste un organismo come l’OLAF (l’Ufficio per la lotta antifrode della PIF) con l’autorità di agire nel settore. Come la PIF, la lotta contro la delinquenza ambientale non sembra essere una priorità per le autorità giudiziarie nazionali. Come nel campo della PIF, i crimini contro la natura sembrano essere considerate ‘senza vittime’.

È quindi giunto il momento di avviare un dibattito per ampliare i poteri della Procura europea al fine di proteggere l’ambiente nel territorio dell’Unione europea. L’ambiente, come il bilancio dell’Unione, può essere considerato un “bene europeo”. Senza dubbio i reati ambientali sono paragonabili ai reati elencati nella sezione 83 del TFUE.

Vi è consenso negli ambienti competenti in materia sul fatto che i reati ambientali dovrebbero essere considerati tra i settori da promuovere nel contesto di una futura estensione dei poteri della Procura europea, sia per la loro natura che per l’importanza della protezione ambientale nelle politiche dell’Unione europea. La Corte di giustizia europea ritiene che l’ambiente sia una questione di interesse generale per l’Unione, un obiettivo essenziale dell’ordine europeo. Inoltre, gli accademici ritengono che, in casi concreti, quando un reato ambientale è collegato ad un reato PIF, la Procura europea è già competente per indagare, perseguire e portare in giudizio sospetti criminali.

Questa iniziativa potrebbe essere collegata al dibattito in corso all’interno delle istituzioni delle Nazioni Unite, su iniziativa della società civile in Europa e nel mondo, sul crimine di ecocidio. Questo concetto si riferisce all’impatto distruttivo dell’umanità sul suo ambiente naturale e all’enorme danno agli ecosistemi. L’obiettivo è quello di aggiungere il reato di ecocidio a quelli previsti dallo Statuto di Roma, consentendo così alla Corte penale internazionale di avviare azioni penali.

7. Rafforzare gli strumenti a disposizione della Procura europea 

7.1 Unificazione del diritto penale materiale   

La Procura europea costituirà una componente importante dell’attuale architettura giuridica per la tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea.

Essa è istituita a livello centrale e decentralizzato. La struttura comprende il procuratore generale europeo e un procuratore europeo per Stato membro, che formano il Collegio, organizzato in camere permanenti, che lavorano presso la sede centrale, situata a Lussemburgo. L’ufficio centrale dirige e supervisiona i procuratori europei delegati che operano negli Stati membri partecipanti e porterà in giudizio i casi dinanzi ai tribunali nazionali competenti.

La “ratio materiae” della Procura europea è definita con riferimento alla direttiva (UE) 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione (direttiva PIF), quale attuata dalla legislazione nazionale.

Si tratta di reati relativi alle frodi che ledono gli interessi finanziari dell’UE: appalti e spese non connesse agli appalti, entrate diverse dall’IVA, entrate provenienti da risorse proprie IVA, riciclaggio di denaro, corruzione passiva e attiva, appropriazione indebita.  Le società possono essere ritenute responsabili per i suddetti reati penali.

Sono previste sanzioni, che giungono fino alla reclusione per le persone fisiche e alla chiusura permanente della struttura per le società. Il congelamento e la confisca dei beni sono ammessi. La direttiva PIF comprende anche norme sulla definizione del tribunale competente e sulla prescrizione dei reati.

La Procura europea sembra quindi, a prima vista, essere una risposta adeguata ai problemi della frammentazione e dell’eterogeneità dello spazio giudiziario europeo nel settore della PIF. Tuttavia, l’architettura ibrida della Procura della Repubblica (il Procuratore generale, il Collegio dei procuratori europei, le Camere permanenti, i Procuratori europei delegati) rischia di rendere il suo funzionamento assai complesso, poiché la ripartizione delle funzioni tra i vari attori che, per quanto riguarda i procuratori nazionali delegati applicheranno fondamentalmente il rispettivo diritto nazionale , rappresenterà una vera e propria sfida, a scapito della qualità e della rapidità dei procedimenti. Pertanto, è essenziale prendere in considerazione “strumenti di convergenza” per l’EPPO che possano semplificare e rendere efficiente il loro funzionamento.

L’obiettivo dichiarato della direttiva PIF è quello di ravvicinare le leggi penali degli Stati membri razionalizzando la tutela degli interessi finanziari dell’Unione offerta dal diritto amministrativo e civile contro i tipi più gravi di atti connessi alla frode, evitando nel contempo incoerenze tra questi settori giuridici. Tuttavia, questo obiettivo della direttiva PIF, così come attuato dalle legislazioni nazionali, combinato con le inesattezze e il carattere vago di alcune disposizioni, non migliorerà in modo significativo la coerenza del quadro giuridico in cui dovrà lavorare la Procura. A causa del margine di discrezionalità concesso agli Stati membri, il modo in cui viene attuato il recepimento della direttiva può compromettere gravemente l’efficacia dell’azione del procuratore.

L’armonizzazione auspicata dalla direttiva PIF non è quindi sufficiente. Naturalmente ci saranno elementi di confluenza delle legislazioni nazionali. Tuttavia, permarranno disparità significative. Solo un diritto unificato di sintesi può superarli. Solo un regolamento può raggiungere l’obiettivo desiderato. La Procura europea sarà così in grado di operare in modo più efficace nel quadro di disposizioni materiali unificate.  L’unificazione garantirà, per definizione, l’equivalenza della protezione in tutta l’Unione. Ciò è richiesto dal Trattato. Inoltre, per quanto riguarda gli attori del processo, l’unificazione fornirà maggiori garanzie in merito alla legge applicabile ed eviterà disuguaglianze tra gli operatori economici nonché il rischio di forum shopping.

In altri settori della legislazione dell’UE in cui è stato utilizzato lo strumento della direttiva, gli studi effettuati hanno dimostrato che dopo il recepimento permangono differenze significative tra le legislazioni nazionali. Diversi legislatori nazionali hanno gravemente affievolito le esigenze delle direttive, compromettendo così la chiarezza e la possibilità di applicare sanzioni armonizzate nello spazio giudiziario europeo. Inoltre, le conclusioni delle relazioni degli studi evidenziano il fatto che la realizzazione dell’obbligo degli Stati membri di stabilire sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive nel contesto del recepimento delle direttive, è difficile da valutare. Ne risulta che i sistemi sanzionatori nazionali sono deficitari rispetto alla necessità di una risposta reale alla criminalità transnazionale.

Appare dunque evidente che nel settore della PIF le condizioni siano riunite per giudicare che lo strumento del regolamento è l’unico in grado di consentire l’applicazione efficace e uniforme delle sanzioni negli Stati membri. È tempo che i rappresentanti degli Stati e la Commissione diano prova di coraggio e ambizione per adottare strumenti che ne garantiscano l’effetto utile.  Soluzioni minimaliste dettate da un’errata interpretazione del concetto di “identità nazionale” conducono ad uno spreco di tempo ed energie a scapito dell’efficacia dell’azione europea.

Un regolamento che fornisca uno strumento legislativo unificante può trovare la base giuridica, individualmente o congiuntamente, nell’articolo 83, nell’articolo 86, paragrafo 3, nell’articolo 325 e nell’articolo 82, paragrafo 1 (cooperazione giudiziaria penale necessaria per la Procura europea) del Trattato.

7.2 Unificazione del diritto penale processuale   

Ai sensi dei regolamenti EPPO, gli atti investigativi si basano sul diritto nazionale. Negli affari transfrontalieri, il procuratore europeo delegato dovrà chiedere al suo omologo nel rispettivo Stato membro di svolgere le indagini necessarie sulla base del suo diritto procedurale nazionale. Si pone la questione se l’EPPO costituirà un reale valore aggiunto se sarà obbligato a svolgere le sue funzioni in un quadro giuridico così articolato.

È pertanto opportuno fare riferimento alle proposte di un gruppo di accademici, sotto la responsabilità dell’Università del Lussemburgo, in merito alle “norme modello europee ‘applicabili alle indagini della Procura europea. Dette norme procedurali forniscono una sintesi delle varie tradizioni giuridiche degli Stati membri. Esse possono essere prese in considerazione per una proposta volta a unificare il diritto penale della procedura applicabile alla Procura europea. Queste ‘norme modello’ rappresentano un sistema autosufficiente di integrazione verticale della giustizia penale, un processo da promuovere quando, come in questo caso, offre un valore aggiunto. Ancora una volta, si tratta di superare i falsi concetti di identità nazionale per evitare sprechi di risorse finanziarie e umane, dando priorità all’efficacia dell’azione.

7.3 La formazione: un ulteriore strumento di convergenza per la Procura europea

Dopo il trattato di Lisbona, il concetto secondo cui la cooperazione giudiziaria in materia penale nell’Unione si basa sul riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie, ha acquisito uno status costituzionale.

Nel programma dell’Aia del 2004, il Consiglio europeo rileva che, affinché il principio del riconoscimento diventi effettivo, è necessario rafforzare la fiducia reciproca. A sua volta, il programma quinquennale di Stoccolma adottato nel 2009 afferma chiaramente che “garantire la fiducia reciproca e la ricerca di nuovi modi per raggiungerla, nonché la comprensione reciproca dei vari sistemi negli Stati membri, rappresentano le sfide più importanti in futuro”.

Le istituzioni europee riconoscono che un’adeguata formazione dei giudici, dei pubblici ministeri e del personale giudiziario su una base europea comune svolge un ruolo essenziale nella promozione e nel consolidamento del riconoscimento reciproco, elemento chiave per la costruzione di un autentico spazio di libertà, sicurezza e giustizia. La promozione di una cultura giuridica europea è considerata fondamentale.

Purtroppo, la cultura giuridica in Europa è dominata dal principio che il diritto nazionale è la base della formazione giuridica. I curricula accademici considerano sacrosanti gli elementi specifici della dottrina penale nazionale ed evidenziano l’orgoglio per concetti giuridici basati esclusivamente sul diritto nazionale. Persiste in Europa un sentimento di nazionalismo esasperato.

La ristrettezza della formazione giuridica è aggravata dall’enfasi posta su sottili dogmi e distinzioni dottrinali tipicamente nazionali, mentre il diritto comparato, il diritto europeo e il diritto internazionale sono generalmente relegati al livello di corsi introduttivi marginali o seminari specializzati.

Pertanto, i giuristi europei sono formati principalmente nel quadro di dottrine e schemi concettuali specifici alle leggi del proprio paese. L’Europa ha tante scienze giuridiche quante sono i sistemi giuridici nazionali. Gli studi universitari sono caratterizzati da una ristrettezza sconosciuta in altre aree dell’istruzione superiore. I “curricula studiorum” tendono a promuovere un atteggiamento da parte dei giovani giuristi fondamentalmente sospettoso nei confronti di altri sistemi nazionali e dell’ordinamento giuridico europeo. Ne consegue che la comprensione reciproca e la fiducia tra gli operatori chiamati ad interagire in Europa, in particolare nel campo della cooperazione criminale, richiedono sforzi estenuanti.

È tempo di elaborare piani di studio che presentino il diritto nazionale nel contesto di concetti giuridici presenti in tutti gli ordinamenti delle nazioni europee, cioè sulla base di principi e istituti giuridici che queste hanno in comune.

Uno ‘jus commune‘ esisteva in Europa fino al movimento di codificazione della fine del diciottesimo secolo quale sintesi di diritto romano e diritto canonico. Questo ‘ius commune’ era una realtà giuridica, un vero sistema normativo comune che sigillava l’unità giuridica dell’Europa. Aveva un tessuto unificato e unitario, un vocabolario comune e un sistema di idee condivise, che faceva sentire ogni giurista europeo in patria ovunque egli si trovasse.

La scienza giuridica europea era un mondo intellettuale unificato dall’uso dello stesso linguaggio giuridico, dello stesso approccio giuridico, della stessa tradizione educativa, a tal punto che accademici formati in una università potevano insegnare nelle università di altri Paesi.

Oggi potrebbe essere più agevole creare una consapevolezza culturale europea nella coscienza dei giuristi, se gli studi iniziassero nei primi due anni con temi transnazionali ed europei. I giovani giuristi apprenderebbero in primo luogo, cosa vi è di comune in Europa e per poi proseguire con lo studio delle peculiarità del diritto nazionale. Gli studenti prenderebbero così coscienza della cultura giuridica europea sviluppatasi nel corso dei secoli come risultato di influenze reciproche.

A livello degli operatori del diritto penale c’è un urgente bisogno di agire.  È quindi impellente elaborare un programma europeo di formazione giuridica basato sulle basi sopra delineate, in particolare nel settore della tutela degli interessi finanziari dell’Unione.

Lo sviluppo di tale programma di formazione può basarsi su ricerche già svolte in materia di diritto penale, come quelle effettuate nel quadro del Corpus Juris, della preparazione della proposta della Commissione per la creazione della procura europea e di altre ricerche che hanno avuto luogo negli ultimi decenni da parte di istituti europei e nazionali di diritto penale.

L’obiettivo è quello di estrapolare gli aspetti comuni più rilevanti degli ordinamenti giuridici nazionali riguardanti le parti generali e speciali del diritto penale materiale e processuale e, alla luce dei testi esistenti di diritto penale europeo e della giurisprudenza delle due Corti europee, elaborare un nucleo di principi e norme comuni agli Stati membri europei. È auspicabile altresì sviluppare una documentazione adeguata di letteratura giuridica comune.

Se gli attori del diritto penale degli Stati membri vengono formati nel quadro dei concetti sviluppati sopra e non sulla base di programmi di formazione tradizionali, la comprensione reciproca ne sarà notevolmente facilitata, nonostante le addotte differenze dei sistemi nazionali nei loro sviluppi storici, nella struttura dei concetti, nello stile operativo delle istituzioni nazionali. Il principio di sussidiarietà sarebbe rispettato, poiché verrebbe insegnato solo il diritto nazionale ed europeo in vigore.

Ciò contribuirà notevolmente a creare le condizioni propizie perché la Procura europea agisca in quanto struttura collegiale grazie ad una visione globale e unitaria del quadro giuridico europeo.

8. Alternative al carcere: una dimensione dell’attività della Procura europea  

Un aspetto particolare della competenza della Procura europea riguarda le misure alternative all’azione penale.

Il considerando 82 del regolamento sulla Procura europea recita “i sistemi giuridici nazionali prevedono vari tipi di procedure semplificate di azione penale, che possono includere o meno  il coinvolgimento di un tribunale, ad esempio sotto forma di transazioni con l’indagato o l’imputato. Se tali procedure esistono, il procuratore europeo delegato dovrebbe avere il potere di applicarle alle condizioni previste dal diritto nazionale e nelle situazioni previste dal presente regolamento. Tali situazioni dovrebbero includere i casi in cui il danno finale del reato, dopo l’eventuale recupero di un importo corrispondente a tale danno, non è significativo. Tenendo conto dell’interesse di una politica penale coerente ed efficace dell’EPPO, la Camera permanente competente dell’EPPO dovrebbe sempre essere chiamata a dare il proprio consenso all’uso di tali procedure.  Quando la procedura semplificata è stata applicata con successo, il caso dovrebbe essere definitivamente risolto”.

L’articolo 40 del regolamento è la disposizione di attuazione di detto considerando.

Le politiche dell’UE nel settore delle modalità alternative di risoluzione dei conflitti e di mediazione in particolare risalgono a diversi anni fa. Nel 1999, per facilitare l’accesso alla giustizia, il Consiglio europeo di Tampere chiese la creazione di una procedura alternativa di risoluzione extragiudiziale delle controversie negli Stati membri.

In risposta a questa richiesta, il Libro verde sui modi alternativi di risoluzione delle controversie civili e commerciali fu adottato dalla Commissione europea nel 2002, a seguito di un’ampia consultazione delle parti interessate sul modo migliore per promuoverli.

I modi alternativi di soluzione delle controversie penali, in particolare la mediazione, sono un settore relativamente nuovo nei sistemi giuridici europei. Il concetto di giustizia riparativa si basa sull’idea di porre rimedio al danno coinvolgendo la vittima e l’indagato nel processo decisionale, spesso con l’intervento imparziale di un terzo. Le parti possono chiedere la mediazione, prima e durante il procedimento.

La mediazione ha dimostrato la sua efficacia, come gli altri mezzi di risoluzione dei conflitti (negoziazione, conciliazione, arbitrato, ecc.). È riconosciuto che la mediazione offre un approccio flessibile e autodeterminato. È in grado di sollevare i giudici dall’onere soffocante di risolvere i molteplici e complessi casi quando entrano in aula.

La giustizia negoziata, nelle sue varie forme, trasforma le categorie tradizionali del diritto penale. La distinzione tra diritto pubblico e diritto privato tende ad attenuarsi. Tradizionalmente considerata come la summa divisio, questa distinzione radicale tra diritto pubblico e privato, basata sulla considerazione che il diritto penale riguarda lo Stato per definizione, è messa in discussione dallo sviluppo di un diritto contemporaneo in cui interessi privati e pubblici per la punizione degli illeciti si sovrappongono. Il diritto di punire deve essere rivendicato come mezzo per collegare la volontà dell’individuo al benessere della società in modo diverso dallo strumento della privazione della libertà.

Il modello di diritto penale come intervento autoritario e unilaterale nella difesa dei valori sociali cede gradualmente il passo a un modello maggiormente orientato verso la riparazione del danno causato.

Come risultato delle procedure negoziate, il modello puro del giudice che cerca la verità, determina la responsabilità e condanna a seguito di un dibattito contraddittorio e pubblico sul merito del caso si è eroso. D’altra parte, i reati commessi in campo economico e finanziario sono combattuti in modo più efficace imponendo sanzioni che colpiscono la res piuttosto che la persona. Colpire la proprietà o la vita professionale può essere più efficace e punitivo di una misura di detenzione.

Il Regolamento EPPO attribuisce la responsabilità finale alla camera permanente, che deve acconsentire all’uso di modalità alternative di risoluzione dei conflitti.

A tal fine, è da notare che il Parlamento ha chiesto alla Commissione di valutare la necessità di sviluppare standards minimi europei da mettere a disposizione dei servizi di mediazione nazionali, che assicurino una coerenza globale, pur tenendo conto del diritto fondamentale di ricorso alla giustizia nonché delle differenze nazionali nella cultura della mediazione. Si tratta di promuovere con determinazione in Europa il ricorso a questo modo alternativo di soluzione dei conflitti.

Nell’agenda finale dell’UE per il 2020 (COM) 144, la Commissione, al fine di facilitare la risoluzione delle controversie nell’Unione europea, invita gli Stati membri a promuovere altri tipi di soluzioni extragiudiziali che possano offrire un contributo efficace e meno costoso alla risoluzione delle controversie, come la mediazione.

La Commissione dichiara che continuerà a cofinanziare progetti relativi alla mediazione attraverso il “programma giustizia” [COM (2016) 542 finale]. Essa è disposta a fornire finanziamenti per lo sviluppo di progetti a livello europeo, incentrati su standard di qualità.

Alla luce di quanto procede è di particolare importanza fare riferimento ai dibattiti dei Ministri della Giustizia del 19 luglio 2019 a Helsinki, sul ruolo delle sanzioni alternative al carcere nella politica penale degli Stati membri. I ministri ritengono che un accordo politico su tale questione fornirebbe almeno una soluzione parziale al problema del sovraffollamento carcerario, che incide sulla fiducia reciproca e compromette la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri. Il Consiglio prende atto delle misure alternative già in vigore, ma rileva che occorre colmare significative lacune. Una soluzione operativa va ricercata in collaborazione con il Consiglio d’Europa e altre organizzazioni.

Spetta quindi a tutti gli interessati intraprendere utili iniziative per mettere a disposizione dei componenti della Procura europea una panoramica delle misure alternative all’azione penale, e in particolare della mediazione nelle cause che si svolgono negli Stati membri. Sarebbe auspicabile elaborare proposte normative che stabiliscano un insieme di principi europei che riflettano esperienze e procedimenti comuni agli ordinamenti giuridici degli Stati membri.

Alcune università europee sono già al lavoro sul tema.

* Direttore generale onorario della Commissione europea

Fonte: Questione Giustizia

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