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Lia Pipitone fu vittima di mafia. Ma fu vittima colpevole

Saverio Lodato il . Giovani, Mafie, Memoria, Politica, Sicilia

E 40 anni dopo, è parola di Cassazione. Lia Pipitone fu uccisa dalla mafia. I tempi, a volte, sono quelli.

Lia Pipitone? Ma chi era costei?

Forse l’ammazzarono perché se l’andò a cercare.

E questo verrebbe da pensare vista la decisione di un mese fa della regione siciliana, di mettere nero su bianco che Lia Pipitone: “Non ha lo status di vittima innocente della mafia”.

Par di capire, infatti, che secondo i raffinati giuristi di Palazzo d’Orleans, sede della Regione siciliana, ci sono le “vittime colpevoli”.

Di conseguenza, niente riconoscimenti istituzionali in nome della sua memoria.

Niente nome scolpito nel granito di una lapide; nessuna data di nascita e di omicidio, essendosi Lia ribellata per amore alle leggi del clan, causale non prevista dai ministeri che si occupano dei finanziamenti per le vittime colpite dalla ferocia di mafia.

Una pagina sporca dell’antimafia.

Stiamo scrivendo di una grande storia che grida vendetta.

Ciò che accadde – e che qui è stato ricapitolato bene da Jamil El Sadi – può essere riassunto così: Lia Pipitone fu uccisa il 23 settembre 1983, a 25 anni, durante la messinscena di una finta rapina in via Papa Sergio, all’Arenella, borgata marinara di Palermo dove abitava, per mano dei mafiosi della borgata, e con il tacito assenso del padre, il vecchio boss Antonino Pipitone.

Lia era colpevole, agli occhi di Cosa Nostra e dei familiari di Cosa Nostra, di una vicenda extraconiugale.

Era quella la stagione della grande guerra di mafia, quando le vittime cadevano a decine per le vie di Palermo, e figurarsi se si andava per il sottile nel cercare gli autentici moventi delle singole esecuzioni.

Anni e anni di indagini confuse, aperte chiuse e riaperte, di depistaggi, voci spifferate dai collaboratori di giustizia, sin quando, il 17 luglio 2018, il gup di Palermo, Maria Cristina Sala, con rito abbreviato, condanna a 30 anni di carcere, quali mandanti del delitto, i boss Vincenzo Galatolo e Antonio Madonia.

La giudice scrive in sentenza: “L’omicidio di Lia Pipitone maturò dentro Cosa Nostra… con modalità tali da fare apparire la morte della ragazza come l’epilogo tragico di una rapina, allo scopo di occultare le reali ed effettive motivazioni del delitto”.

Parole analoghe, altrettanto definitive, le adopererà, il 10 giugno 2020, la seconda sezione della corte d’assise d’appello di Palermo, presieduta da Fabio Marino, confermando le condanne di primo grado.

Infine, il verdetto della Cassazione che risale al 2022, con ennesima conferma delle condanne. Il padre di Lia, invece, fu assolto dall’accusa di avere acconsentito al sacrificio della figlia decretato dai boss.

Bene, a questo punto, si conclude, dopo decenni, il percorso investigativo e giudiziario. Era ora.

Logica vorrebbe che dove Lia fu assassinata, in via Papa Sergio 1, all’Arenella, venisse apposta una lapide a ricordo del suo sacrificio.

E così, meritoriamente, avevano proposto i ragazzi di Libera, di don Luigi Ciotti.

Ma sembra facile, in Italia, mettere una lapide.

Titolare dell’immobile, è nel frattempo diventato Giovanni Benfante, ufficiale dei carabinieri oggi in pensione, il quale dichiara: “Dalla lapide potrei subire un grosso danno economico. E’ un magazzino che sto ristrutturando per cercare di trarne profitto per venderlo o affittarlo. E ho già una proposta di affitto per questa estate”.

Insomma, intende avvalersi del suo diritto a opporsi alla presenza della lapide.

I ragazzi di Libera a questo punto hanno allora proposto almeno una pietra di inciampo. Niente da fare. La musica è sempre quella: ne avrei un danno economico.

La presenza di quel nome – Lia Pipitone, nata a Palermo il 16 agosto 1958, uccisa a Palermo il 23 settembre 1983 – pregiudica il valore di mercato dell’immobile.

Un po’ come le case che leggenda vuole siano infestate dai fantasmi. Storie che si sono sempre sentite, sin dalla notte dei tempi.

Rimangono sfitte per anni. Nessuno vuole andarci ad abitare. La gente ha paura. Periodicamente i proprietari abbassano i prezzi, magari cercano disperatamente di vendere sotto costo. Niente da fare. Quelle case nessuno le vuole e vanno in malora.

Ma Lia Pipitone era un fantasma? Dipende dai punti di vista.

Nell’Italia di oggi, forse sì. Nella Sicilia e nella Palermo di oggi, forse sì.

Per l’Italia di certi giornali e di certi intellettuali, forse sì.

E cosa ne pensano dell’intera vicenda, scegliamo a caso, il presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, o il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla?

Lo dicano.

Ci piacerebbe ascoltare le loro parole. Forse, più semplicemente, potrebbero prendere l’iniziativa di liquidare economicamente Giovanni Benfante, “proprietario”, e riconoscere Lia come vittima di mafia.

Suo figlio, Alessio, aveva quattro anni il giorno del delitto. E’ da allora che non ottiene la riabilitazione della memoria della madre.

Secondo me, ne ha pieno diritto, esattamente come tanti altri familiari di vittime di mafia più illustri di Lia, che quando scendono in piazza per gli anniversari magari si ritrovano a fianco proprio Schifani e Lagalla, sempre per scegliere a caso.

La rubrica di Saverio Lodato

Fonte: AntimafiaDuemila

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Palermo, una targa simbolica per ricordare Lia Pipitone

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