Terrorismo, guerra, mafie: la Russia in affanno
La soddisfazione di Vladimir Putin per la sua recente rielezione a presidente della Russia con un’altissima percentuale di voti, è stata presto accantonata per la strage compiuta alcuni giorni fa a Mosca al Crocus City Hall, da un commando di quattro terroristi dell’Isis arrestati poche ore dopo insieme ad altri presunti fiancheggiatori.
Un duro colpo alla Russia che prosegue ormai da oltre due anni nella sfiancante guerra con l’Ucraina, mentre segnali di allarme arrivano anche sul fronte della criminalità mafiosa diventata con il passar degli anni un problema molto serio per la società russa.
Il crimine nell’Europa orientale, finché è stato solido il socialismo reale, non aveva mai assunto – almeno ufficialmente – la qualità di “organizzato”, perché i vari regimi comunisti si erano sempre vantati di aver svolto un’efficace azione preventiva e repressiva. In realtà, magari in dimensioni più modeste, gruppi criminali già esistevano e prosperavano controllando il mercato nero, parallelo a quello ufficiale, che è stato pur sempre presente.
Alcuni studiosi sostengono che la mafia da queste parti è nata propriamente negli anni Ottanta, sempre grazie all’“economia ombra” che si era sviluppata in contrapposizione a quella ufficiale della perestroika di Gorbaciov. Assicuratosi solide basi finanziarie, la criminalità organizzata iniziò a penetrare nelle strutture dell’economia ufficiale attraverso investimenti nell’ambito delle cooperative o in joint-ventures.
Del resto in questi paesi è mancata quasi completamente la preparazione (gli strumenti culturali), oltre che le strutture, necessarie ad affrontar correttamente, per esempio, il dilagare degli stupefacenti, sia a livello preventivo (inadeguatezza delle autorità sanitarie e scolastiche,del mondo dell’informazione), sia sul terreno della repressione (legislazione carente, organi di polizia insufficienti o non attrezzati con risorse adeguate).
Di conseguenza il territorio dell’ex Unione Sovietica è diventato con il passar degli anni una nuova frontiera per le mafie internazionali.
Le nuove rotte della droga (e del denaro da riciclare) lo hanno attraversato sistematicamente, collegando le zone di produzione con i mercati europei (si pensi al sequestro, aprile 2023, a Mosca, di 700kg di cocaina provenienti dall’America Latina e nel porto di San Pietroburgo, a gennaio scorso, di altri 800kg di “polvere bianca”). Molti russi sono rimasti coinvolti nel lucroso traffico di stupefacenti, nella produzione (droghe sintetiche), nel consumo (fonti giornalistiche parlano di oltre 10 milioni di consumatori abituali e più di 20 milioni quelli occasionali).
Sebbene non ci sia ancora unanimità nel definire il grado e il tipo di strutturazione interna della criminalità organizzata russa, si afferma, da tempo, che questa sarebbe in grado di esercitare un ruolo determinante nella politica nazionale. La parola “mafia” è entrata nell’uso quotidiano tanto da essere sentita come termine locale, per indicare associazioni criminali di un certo livello, connesse al potere politico.
Sarebbero oltre tremila le organizzazioni che operano in Russia, in grado di manovrare il 40% del prodotto interno lordo e, secondo fonti giornalistiche, controllerebbero circa l’80% delle aziende commerciali e il 60% delle banche private. Bisogna dire che, se c’è stata una sottovalutazione del fenomeno e un ritardo nell’approntare strategie per cercare di contrastarlo, tale responsabilità è anche attribuibile ai paesi occidentali, che si sono attivati soltanto per favorire le riforme economiche e controllare il rischio legato ai contrasti interni, per le implicazioni che avrebbero potuto avere a livello internazionale.
Ciascuno dei capi mafiosi controllerebbe quattro diversi settori (la droga, la prostituzione, i legami con la sfera politica, il gruppo dei sicari), attraverso un elemento di sua fiducia chiamato “brigadiere”. Altre due figure (le “spie”) aiuterebbero il boss a controllare che il brigadiere sia leale, non prevarichi le sue funzioni e non diventi troppo potente.
Accanto alla criminalità organizzata russa esiste, a causa di una forte immigrazione dal sud caucasico, una serie di gruppi strutturati in clan a carattere etnico: in prevalenza si tratta di georgiani, seguono azeri, daghestani, ceceni, ingusci e osseti, popolazioni di diverse etnie e per lo più di religione musulmana che sono stanziate nei territori compresi tra il Mar Nero, il Caspio e la catena del Caucaso (e nella regione caucasica si trova anche una minoranza islamica radicale).
Soltanto a Mosca si contano circa mezzo milione di immigrati caucasici, considerati un vivaio della criminalità organizzata. Probabilmente, però, la loro pericolosità viene esagerata dai media russi per ragioni di xenofobia. L’inquinamento mafioso in Russia è giunto a livelli molto alti come evidenziava, già circa venti anni fa, un rapporto delle autorità governative russe secondo cui un’alta percentuale degli imprenditori pagava la “tassa di protezione”, il “pizzo”, alle organizzazioni criminali.
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