Decaro, Piantedosi e le invasioni politiche
Nella contingente maggioranza di governo sta dilagando la tentazione di andare per le spicce quando si tratta di far male agli avversari, spesso considerati non antagonisti politici da contrastare democraticamente, ma nemici della patria da colpire duro in ogni modo possibile, anche scorretto.
I mezzi sono svariati: dalle Commissioni d’inchiesta, usate o minacciate come clave per compiti decisamente sopra le righe (come l’Antimafia, diventata palestra per randellare Cafiero De Raho e demolire la DNA ideata e voluta da Giovanni Falcone);- alle norme escogitate per ridurre il controllo sugli organismi indipendenti (come la Corte di Conti: in attesa della “separazione delle carriere” che avrà come conseguenza inesorabile la fine dell’indipendenza del Pm rispetto al potere esecutivo).
L’elenco completo sarebbe molto più lungo ma concentriamoci oggi sul fatto che – ormai a pochi mesi dalle elezioni regionali ed europee – il Ministro degli Interni avrebbe in animo di istituire una Commissione per valutare l’eventuale scioglimento del Comune di Bari per infiltrazioni mafiose. Un atto dovuto? Un siluro per azzoppare un avversario politico temibile? Una tempistica sospetta che sfocia nella tanto vituperata giustizia ad orologeria?
Allo stato degli atti dobbiamo limitarci a fissare alcuni punti desunti dalla cronache, per poi unirli con una linea da usare come possibile indirizzo.
Il punto di partenza è una inchiesta della Procura di Bari che ha portato all’arresto di 130 persone, al centro della quale ci sono gli affari del clan Parisi-Palermiti in una società comunale dei trasporti e il reato di voto di scambio politico-mafioso. Per quest’ultimo reato è indagata una consigliera comunale (eletta col centrodestra e poi imbarcata dalla maggioranza di Decaro), ma è lo stesso PM che ha parlato di «caso circoscritto» che «non incide sulla attività dell’amministrazione».
Inoltre agli atti c’è una intercettazione dove un’esponente del clan dice che «Decaro non dà niente…».
Per di più il Pm ha sottolineato che «l’amministrazione comunale di Bari in questi anni ha saputo rispondere alla criminalità organizzata». Va ricordato anche che Decaro non ha esitato (nel 2015) a vietare il concerto di un cantante “neomelodico”, Tommy Parisi, che ora figura tra i 130 arrestati ed è figlio di uno storico boss barese.
Quando si profila il caso di un Comune che potrebbe essere infiltrato dalla mafia è sempre il Prefetto che informa il Ministro, dopo aver convocato il Comitato Provinciale Ordine Sicurezza Pubblica (CPOSP) di cui fa parte anche il Pm che ha condotto l’indagine, il quale sicuramente avrebbe ribadito la sua opinione di «caso circoscritto», come del resto risultante dagli atti che già aveva trasmesso al Prefetto. Invece nel caso in esame è il Ministro a prendere l’iniziativa incaricando il Prefetto di informarlo. L’evidente anomalia si spiega forse con una specie di assedio che sembra abbia dovuto subire il Ministro ad opera di “pezzi grossi” pugliesi appartenenti alla maggioranza di governo, tra i quali un fedelissimo della premier e il Viceministro della giustizia.
È vero: si tratta di un’inchiesta preliminare che potrebbe concludersi in nulla. Ma ci vorrà qualche mese. Intanto lo ”sfregio” è consumato con gli applausi di chi l’ha voluto. E a Decaro non resta che piangere protestando la sua onestà e il suo costante impegno sul versante antimafia anche come Presidente dell’Anci, l’associazione nazionale dei Comuni d’Italia.
E qui il famigerato “colpiscine uno per educarne cento” potrebbe sentirsi inaspettatamente riciclato. Ma Decaro è anche una persona arguta e sottolinea l’ossimoro di chi da nove anni lo fa scortare per proteggerlo dalla mafia e nello stesso tempo sospetta che il suo Comune possa trescare con la mafia.
Vale moltissimo – anche per me – la difesa pubblica di Luigi Ciotti di fronte ai 100.000 giovani di Libera accorsi a Roma per la giornata in ricordo di tutte le vittime innocenti di mafia: Decaro è un galantuomo; ha sempre lottato contro le mafie; occhio alle speculazioni, tocca a noi difendere gli onesti.
Fonte: La Stampa
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