Spoleto, in scena Cosa nostra spiegata ai bambini: la storia di Elda Pucci
Se non fossi chiamata a scrivere una recensione lascerei il foglio in bianco. Non per protesta ma in segno di ringraziamento e di solidarietà.
Si è svolto lunedì sera, 4 marzo 2024, presso il Teatro Nuovo “Gian Carlo Menotti”, Cosa nostra spiegata ai bambini, l’ottavo spettacolo della stagione di prosa, tappa della tournée, organizzato dal Teatro Stabile dell’Umbria in collaborazione con il Comune di Spoleto (con, tra gli altri, Argot Produzioni e Officine della Cultura).
Il testo di Stefano Massini con la regia di Sandra Mangini ha visto l’interpretazione di Ottavia Piccolo insieme ai Solisti dell’Orchestra Multietnica di Arezzo che dal vivo hanno eseguito le musiche composte da Enrico Fink. Massini, già vincitore di cinque Tony Award nel 2022 con l’opera Lehman Trilogy, dopo che a Piazzapulita su La7 ha raccontato storie di alcune vittime di mafia tra cui quella del giornalista Pippo Fava e del piccolo Giuseppe Di Matteo, mette qui in scena un’altra importante narrazione: siamo a Palermo quando nel 1983 Elda Pucci viene eletta sindaco della città.
Quella che viene raccontata “come ai bambini” nel teatro deve trovare parole semplici per esprimersi anche perché questa è una storia vera e nulla, soprattutto per chi non l’ha vissuta, può essere lasciato al caso. Quando la ribalta si apre le parole risuonano nell’oscurità: rabbia, potere, denaro, eroina, assassinio, controllo, silenzio. Il buon governo che si rimpasta tra la droga e gli appalti. Non c’è onore, inteso nell’etimologia mafiosa del termine, non c’è rispetto della vita altrui; c’è una criminalità organizzata che ancora spara e quando vuol farsi sentire minaccia oppure, come nel caso di Elda Pucci, fa saltare in aria la sua villa con l’esplosivo (dall’attentato si salva e morirà nel 2005, ndr.).
Ma come sappiamo il suo non è un caso isolato: negli anni Ottanta si sta consumando il massacro della seconda guerra di mafia nella quale il clan dei Corleonesi, guidati da Provenzano e Riina, cercano di imporsi sui mandamenti di Cosa nostra. E siccome non è un film ma delinquenza vera che trova nello Stato persino un compromesso e una garanzia chiunque si metta di mezzo anche solo per capire, anche solo per cambiare, viene fatto fuori.
La lista di nomi è infinita ma quelli che pronuncia Ottavia in palcoscenico fa applaudire il pubblico anche durante lo spettacolo: Carlo Alberto Dalla Chiesa, Piersanti Mattarella, Pio La Torre, Rocco Chinnici. Quella di Elda Pucci, la “Signora Dottoressa” come voleva essere chiamata, lei che aveva una laurea in Medicina e che voleva curare e non semplicemente lasciare le cose affondare in un’apparente normalità, era una vera rivoluzione che passava dal linguaggio e dalle scelte: come quella di costituire parte civile la città di Palermo, il Comune, nel processo di mafia per l’uccisione del giudice Chinnici.
La prima volta di una donna sindaco, la prima volta di una donna sindaco che sceglie con cognizione che cosa è meglio per la città che è chiamata ad amministrare e che infine la investe del massimo potere civile e cioè quello di scegliere da che parte stare. “Questa è la storia di una donna, di una città e di un anno – esordisce Ottavia Piccolo alle prime battute – Un anno in cui tutto andò come doveva andare. E proprio qui sta il punto”.
Doveva e così è andata perché forse, essendo donna, sottovalutarono la sua libertà di pensiero e di azione. “Elda Pucci era pediatra e fu portata alla guida della città dalla Democrazia Cristiana, per dare un segnale di cambiamento – spiega Sandra Mangini nelle note di regia -, ma si trattava evidentemente di uno specchietto per le allodole. Elda, dal canto suo, commise l’errore di operare con coscienza e onestà, nel rispetto del ruolo istituzionale che le era stato affidato, andando a mettere il dito su un sistema di interessi, saldamente intrecciati tra Cosa nostra e la politica stessa. Per questo motivo non arrivò a governare nemmeno un anno e fu sfiduciata”. Nemmeno un anno infatti, solo 359 giorni di mandato. Sottovalutata prima e tentato di cancellarla poi, come si fa con le storie che sembra non accadano mai.
Lo spettacolo, scandito dalla musica, è diviso in dieci capitoli che raccontano di bambini che Elda Pucci ha curato, gli stessi che se sopravvissuti alla miseria potranno imbracciare quella pistola: nelle immagini di tutti i giorni non c’è retorica, c’è solo il bene che si fa morte.
Gli applausi di intermezzo, eseguiti non solo dagli adulti che vi riconoscevano un vissuto non troppo lontano ma anche da diversi ragazzi presenti in sala, fanno quindi ben sperare. Appena fuori con questo bagaglio di parole nella mente siamo portati a credere che la cultura e la conoscenza risveglieranno l’identità collettiva; che la sopraffazione della legalità e l’angheria sono solo le risposte più facili alle problematiche del quotidiano, perché creano una sottocultura che per sua stessa natura è illusoria e sul lungo periodo può solo determinare la viltà di qualcuno e non il suo coraggio; che la memoria, la legalità e l’uguaglianza saranno riconosciuti come perno della democrazia.
Perché forse, questa volta, l’applauso che smuove la coscienza può davvero riuscire a salvare il bambino con la pistola in mano o con la droga in corpo; una storia che va raccontata con parole semplici, proprio come voleva la Signora Dottoressa.
Lo spettacolo è andato in scena, inaugurando questo mese, in occasione di almeno due ricorrenze: l’autodeterminazione e l’emancipazione delle donne qui rappresentate da Elda Pucci e dalla sua narratrice Ottavia Piccolo con l’8 marzo, in cui si celebra la Festa Internazionale della Donna; e il 21 marzo, Giornata dedicata alla memoria e all’impegno in ricordo delle vittime di mafia, quale riflettore di pensiero e di azione in contrasto di tutte le mafie.
Fonte: ClassiCult.it, 05/03/2024
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