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La stabilità delle Nazioni minacciata dalla criminalità organizzata transnazionale

Piero Innocenti il . Criminalità, Economia, Forze dell'Ordine, Internazionale, Istituzioni, Mafie, Società

Quando si parla di criminalità organizzata transnazionale non ci si riferisce ad un semplice problema di ordine pubblico e di sicurezza sociale sia pure da gestirsi a livello internazionale, ma a una realtà che può mettere in pericolo la sopravvivenza delle democrazie, delle istituzioni e delle strutture della società civile di tutti i paesi del mondo. Nessuna delle molteplici facce del fenomeno può essere sottovalutata o trascurata: le prospettive sono ancor di più minacciose e preoccupanti.

Il primo approccio con la criminalità organizzata è senz’altro quella dell’azione di contrasto, del controllo repressivo, di polizia.

Stando alle informazioni che abbiamo dalle relazioni periodiche degli organismi competenti, a livello interno (DCSA, DNAA, DIA, relazione annuale dell’Intelligence) e nelle sedi di confronto internazionali (EMCDDA, UNODC, Europol), la situazione non è rosea. L’efficienza delle forze di polizia nell’ambito dei singoli paesi, al di là della buona volontà degli individui, dei successi che pure si registrano, non riesce a controllare se non una percentuale minima delle attività illecite che si svolgono, anche nelle nazioni ritenute più civili, ricche e organizzate.

In queste, i problemi possono consistere, riduttivamente, nella pluralità ( per altri versi necessaria) e nella conseguente frammentazione operativa degli organismi competenti, nelle carenze del coordinamento, nella insufficienza degli stanziamenti di bilancio, nella inadeguatezza delle tecniche di investigazione e così via. Ma queste, che sono deficienze già relativamente gravi, diventano passivi enormi nei paesi del terzo e quarto mondo, dove i mezzi finanziari sono inconsistenti e il grado di preparazione degli addetti è minimo.

Un discorso molto simile può svilupparsi per quanto riguarda il piano legislativo: i codici penali dei singoli paesi, come d’altronde i sistemi di valori, le sensibilità relative alla coscienza di ciò che è male e bene, le culture, insomma, divergono notevolmente. Ciò significa che le definizioni dei reati, le sanzioni, le procedure, la possibilità di collaborazione giudiziaria tra Stati diversi sono variabili che dipendono da fattori e ostacoli contingenti che non sempre si riesce a controllare o a rimuovere.

Non bastano, poi, le leggi e i regolamenti, occorre la volontà di attuarli e un sistema giudiziario efficiente. E qui, come al solito, i problemi sono gravissimi nei paesi più poveri o che solo di recente hanno acquisito strutture democratiche. Per non parlare di quelli in cui vigono sistemi autoritari, dittatoriali, a volte violenti, dove i diritti umani vengono calpestati ogni giorno e non esiste una legalità qualsivoglia, ma il semplice esercizio della forza da parte del potere. Perché le leggi siano giuste, perché giudici e poliziotti possano adempiere ai loro doveri, occorrono, è naturale, condizioni politiche soddisfacenti. E si possono conseguire soltanto laddove le istituzioni sono caratterizzate da un buon livello di democrazia, situazione che non è di tutti i paesi del mondo.

Per giunta, anche dove le Costituzioni garantiscono l’esercizio dei diritti civili e politici fondamentali, è noto come le mafie locali riescono spesso a instaurare un condizionamento delle politiche governative, oltre che a corrompere giudici, funzionari pubblici, banchieri, imprenditori. Diversi paesi dell’Africa, dell’Asia, del Medio Oriente, dell’America Latina, presentano una situazione politica di instabilità endemica che favorisce enormemente i giochi e gli interessi delle multinazionali del crimine; sono, tra l’altro, il terreno ideale per il traffico di droghe e di armi.

La corruzione, poi, ci porta diritto alle potenzialità economiche e finanziarie del crimine organizzato che sono enormi. L’inquinamento dell’economia e della finanza mondiale sono i problemi più gravi indotti  dal riciclaggio dei profitti illeciti. Su questo versante si registrano due dinamiche perverse che impediscono un contrasto soddisfacente.

Da una parte, l’esistenza, tollerata, dei cosiddetti “paradisi fiscali”, zone grigie dove non esistono regole e obblighi per i responsabili del sistema bancario disponibili per ogni tipo di operazione di lavaggio o di investimento del danaro sporco.

Dall’altra, la resistenza dei governi di paesi ad applicare realmente le misure e regolamenti per contrastare il fenomeno del riciclaggio, per il timore che le restrizioni comportino, a livello finanziario e sociale, ripercussioni negative, fuga di capitali, caduta della domanda interna, aumento della disoccupazione, disordini sociali.

Se veramente si vuole ridurre l’internazionale del crimine, il terreno è quello della solidarietà, della cooperazione leale, della lotta agli squilibri nei livelli di sviluppo, di ricchezza tra gli Stati del mondo.

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