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L’abuso dei Decreti Legge e la revisione della Costituzione

Rocco Artifoni il . Costituzione, Diritti, Istituzioni, L'analisi, Politica

Sono 55 in 17 mesi, con una media di 3,44 al mese (fonte OpenPolis). Questi numeri si riferiscono ai Decreti Legge emanati dal Governo presieduto da Giorgia Meloni. Si tratta di un record tra gli ultimi 9 governi nelle precedenti 4 legislature (dal 2008 ad oggi).

Nemmeno durante il periodo del Covid 19 si era arrivati a tanto. Questi dati esprimono un’evidente e preoccupante tendenza: le leggi sono sempre meno prerogativa del Parlamento e sempre più materia prioritaria del Governo.

A peggiorare la situazione – se possibile – sono le recenti proposte di revisione costituzionale per aumentare da 60 a 90 giorni il tempo a disposizione del Parlamento per eventualmente convertire in Legge i Decreti varati dal Governo. Queste ipotesi di modifiche costituzionali vengono motivate con la necessità di dare più tempo al Parlamento per valutare il contenuto dei sempre più numerosi Decreti Legge.

È il caso di ricordare che il Decreto Legge è uno strumento che andrebbe utilizzare soltanto “in casi straordinari di necessità e urgenza” (art. 77 Costituzione). Anche perché un Decreto Legge ha immediatamente valore di legge, ma perderebbe efficacia sin dall’inizio se il Parlamento non lo convertisse in legge entro 60 giorni, creando non pochi problemi per l’incoerente continuità normativa.

Il Governo, anziché utilizzare lo strumento del Decreto Legge con parsimonia, ne abusa abbondantemente e continuamente, con un’evidente invasione di campo e con un notevole condizionamento dell’agenda dei lavori parlamentari. Ne consegue che l’organo legislativo non abbia più tempo per le proprie iniziative, dovendo rincorrere la scadenza dei troppi Decreti emanati dal Governo.

Il rimedio sarebbe – secondo i promotori del progetto di revisione costituzionale – l’allungamento dei tempi per l’approvazione definitiva dei Decreti attraverso la conversione in Legge. Ma in questo modo si amplierebbe lo spazio del “limbo”, cioè del periodo in cui le norme volute dal Governo sono vigenti, ma condizionate dall’eventuale conferma del Parlamento pena l’annullamento retroattivo.

Tutto ciò pare illogico e tendenzialmente anticostituzionale. Perché la Costituzione è anche il principale strumento di limitazione del potere, compreso quello del Governo in carica. Anziché concedere più tempo al Parlamento per esaminare e approvare i Decreti Leggi per evitare il rischio che decadano, sarebbe più sensato che il Parlamento esercitasse pienamente in autonomia la propria funzione legislativa (art. 70 Costituzione), evitando l’attuale esproprio attuato dal Governo attraverso i Decreti Legge.

In tal caso si potrebbe ipotizzare persino una riforma di segno opposto, per ridurre i tempi del pronunciamento del Parlamento in relazione ai Decreti Legge, dando più certezza ai cittadini sulle norme effettivamente vigenti. Ma a quanto pare il Governo in carica e la colazione che lo sostiene stanno andando in direzione opposta. Perciò risuona oggi sibillina una frase di Malesherbes, magistrato francese del 18° secolo: “Quando gli abusi vengono accolti con la sottomissione, il potere usurpatore non tarda a convertirli in legge”.

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