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”Giovanni Aiello anello di collegamento tra servizi e mafia”

Karim El Sadi * il . Corruzione, Forze dell'Ordine, Giustizia, Mafie, Memoria, Sicilia

Al processo Agostino il focus su “Faccia da mostro” – Parte 2

Giovanni Aiello era “legato a doppio filo a Bruno Contrada, al quale faceva capo come uomo di collegamento fra le cosche della ‘Ndrangheta e pezzi deviati dei servizi segreti. Ruolo identico a quello che ha rivestito con riguardo a Cosa nostra”. A sostenerlo è la procura generale di Palermo nell’ambito del processo, in corso davanti alla Corte d’Assise di Palermo (presidente Sergio Gulotta, giudice a latere Monica Sammartino) per l’omicidio del poliziotto Antonino Agostino e della moglie incinta Ida Castelluccio avvenuto a Villagrazia di Carini il 5 agosto 1989.

Martedì la procuratrice generale Lia Sava e il sostituto Umberto De Giglio hanno concluso la requisitoria chiedendo la condanna all’ergastolo per il boss Gaetano Scotto (accusato di duplice omicidio) e l’assoluzione per Francesco Paolo Rizzuto, al tempo amico di Agostino (accusato di favoreggiamento personale).

Nel corso dell’udienza, Lia Sava ha approfondito l’identikit dell’ex agente di polizia ed ex agente segreto Giovanni Aiello (deceduto nell’agosto 2017), meglio conosciuto come “Faccia da mostro”, una figura chiave nel processo, già indagato e archiviato nel 2016. Due ore fitte in cui la procuratrice generale ha riassunto, punto per punto, il passato di Aiello, i suoi rapporti con mafiosi e uomini dei servizi deviati, le vicende buie in cui è stato indagato, a partire dalla vicenda Agostino. “Aiello è figura poliedrica che ha sollecitato diversi interrogativi e merita di essere analizzata nelle molteplici sfaccettature che essa presenta”.

Aiello e Contrada erano “culo e camicia”

Uno di questi interrogativi riguardava i presunti rapporti tra Aiello e Bruno Contrada, ex capo della mobile di Palermo, poi ex numero tre del Sisde, condannato a 10 anni per concorso esterno, con sentenza definitiva poi dichiarata ineseguibile e improduttiva di effetti penali dalla Cassazione. Secondo l’accusa, i rapporti tra i due non sono affatto presunti, ma certi.

Di Contrada e Aiello hanno parlato, anzitutto, diversi collaboratori di giustizia ritenuti attendibili, a partire da Vito e Giovanna Galatolo. Ma il rapporto fra i due ex poliziotti è confermato anche da ufficiali di polizia giudiziaria come Mario Speranza, ex dirigente della “Squadra Antirapina” della Mobile ai tempi di Contrada e da Giulio Martino, ex appartenente alla “Criminalpol” di Palermo.

Martino dichiarava – ha ricordato Lia Sava – “di aver conosciuto Aiello perché glielo presentò proprio Contrada, capo della Mobile, perché voleva che lavorassero insieme nonostante Aiello prestasse servizio alla ‘Catturandi’”. Contrada “gli disse in specie che: ‘Aiello era persona di sua massima fiducia. Era uno in gamba e che mi avrebbe aiutato nella mia attività e diceva che aveva molte conoscenze a Palermo’. Precisava che l’Aiello aveva rapporti con Contrada strettissimi: ‘Erano culo e camicia, li vedevo molto spesso insieme’”. Ancora. Di Aiello e Contrada aveva parlato anche il collaboratore di giustizia reggino Antonino Lo Giudice che “ha riferito di aver conosciuto negli anni duemila ‘Faccia da mostro’”. A presentarglielo sarebbe stato Saverio Spataro Tracuzzi, già ufficiale dell’Arma dei carabinieri. Aiello avrebbe detto al Lo Giudice “di aver fatto parte di un gruppo di poliziotti con doppio incarico che in realtà prendevano solo e direttamente ordini dal dottore Contrada”. “Passaggio, questo, di importanza fondamentale”, ha commentato Lia Sava.

Sempre a conferma del legame, professionale o di amicizia, tra Aiello e Contrada, la procuratrice Sava ha ricordato alla corte una conversazione del 2015 intercettata nel carcere di Santa Maria Capua Vetere proprio tra Spataro Tracuzzi, condannato a 9 anni per concorso esterno, e il maresciallo dei carabinieri Arturo Lametta, che alcuni anni prima (dall’aprile 2008 al 2 febbraio 2009) era detenuto con Contrada, sua personale conoscenza. “Il Lametta, rispondendo alle insistenti domande del Tracuzzi, spaventato a morte circa quello che doveva dire ai magistrati, gli diceva espressamente di ‘non toccare l’amico di Bruno’. Con evidente riferimento ai rapporti Contrada-Aiello”. “Devi valutare la tua vita., ti passa per il cazzo degli altri, intanto tu stai pagando”, diceva Lametta al Tracuzzi. “Hai fatto già cinque anni di carcere, ovviamente tutte le valutazioni che devi fare… se tu non tocchi l’amico di Bruno, va beh, a posto!”. Secondo la Procura Generale “‘Bruno’, è Bruno Contrada e l’’amico di Bruno’ è Aiello”.

I teste e la paura per il “mostro”

La conversazione intercettata contiene un aspetto che poi la procura generale riscontrerà più e più volte nella deposizione di alcuni testi nel corso del dibattimento: la paura.

Il caso più eclatante, in questo senso, è quello di Vito Lo Forte. Il collaboratore di giustizia, ha ricordato Lia Sava, “aveva precisato che solo nel 2013-2014 aveva indicato Aiello come partecipe all’omicidio in quanto: ‘Temeva per la sua vita e che Scotto lo aveva cercato mentre era ai domiciliari a Viterbo dopo la sua collaborazione’”. Aggiungendo che per anni “non aveva parlato di omicidi, di poliziotti e di servizi segreti perché aveva paura”.

Interrogato dagli inquirenti nel 2013 “Lo Forte ricordava – ha riassunto la magistrata – che nel dicembre 1989, allorquando fui scarcerato, il Vegna (Gaetano Vegna, elemento di spicco dell’Arenella, ndr) mi disse che l’Aiello (che aveva conosciuto nel 1987, presentatogli da Scotto, ndr) aveva avuto un ruolo nell’omicidio dell’agente di polizia Agostino e della moglie. In particolare, mi disse che Aiello era andato a prendere in auto gli autori del delitto, Gaetano Scotto e Antonino Madonia”. Ancora, dichiarava il collaboratore di giustizia: “Subito dopo l’omicidio, li aveva aiutati a bruciare la moto utilizzata e li aveva portati via. Vegna alla mia richiesta del motivo per cui era stata uccisa una donna incinta, rispose che il duplice omicidio era stato commesso per fare un favore a degli importanti funzionari di polizia e che sicuramente la moglie di Agostino era stata uccisa perché sapeva qualcosa”. Tuttavia queste dichiarazioni di primaria importanza, ritenute “riscontrate in molti punti” dalla procura generale, non vennero più ripetute quando Lo Forte venne chiamato a deporre in aula nel settembre 2022. Un’udienza nella quale, improvvisamente, il collaboratore di giustizia affermava di non sapere e di non ricordare più nulla in merito all’Aiello.

Negazioni e reticenze che, secondo la procura generale, sarebbero figlie della paura. Una paura enorme, ha precisato. “Ha avuto paura allorché è stato escusso in questo dibattimento per la presenza di Gaetano Scotto videocollegato”, ha aggiunto. Paura che, secondo Lia Sava, hanno avuto anche gli ex poliziotti Spataro Tracuzzi e Francesco Belcamino. “Abbiamo l’impressione tangibile di trovarci in presenza di fili scoperti ad altissima tensione che generano timori incontrollabili da parte di soggetti, pur appartenenti ad ambienti diversi, chiamati a riferire”.

“Fili ad alta tensione – ha precisato – che sembrano percorrere alcune vicende strettamente connesse al duplice Omicidio Agostino-Castelluccio”. Il “ruolo inquietante ed assolutamente centrale” di Aiello – ha riassunto Lia Sava – “nelle dinamiche connesse al duplice omicidio, e non solo”, “evidentemente suscita ancora tantissimo timore, verosimilmente per i segreti che con la sua morte ‘Faccia da mostro’ ha portato con sé”.

Ad Aiello, amico di Scotto, “mancava solo la punciuta”

Sempre nel corso della requisitoria la procura generale ha approfondito il rapporto tra Aiello e l’imputato Gaetano Scotto. “Possiamo ribadire che la figura del ruolo di Aiello assume una evidente importanza per chiarire quei legami tra apparati deviati dello Stato ed organizzazioni mafiose, anche terroristiche, ed il significato eversivo di tali rapporti che si sono sostanziati con specifico riferimento all’omicidio Agostino-Castelluccio proprio attraverso il suo legame con Gaetano Scotto”, ha dichiarato Lia Sava alla corte.

Quindi la procuratrice ha parlato delle frequentazioni di Aiello con gli ambienti mafiosi di Vicolo Pipitone. Il collaboratore di giustizia Francesco Onorato dichiarava: “Diverse volte sono stato a vicolo Pipitone, Gaetano Scotto era sempre di casa”, affermava il collaboratore di giustizia. “Diverse volte ho visto anche Aiello. Successivamente ho saputo che si chiamava Aiello ma l’ho riconosciuto perché diverse volte l’ho incontrato lì a vicolo Pipitone, non so se sono state 2, 3 o 4 volte. Quello che è certo è che era molto amico di Gaetano Scotto. Amico perché addirittura questo faccia da mostro lo chiamavano perché aveva il viso sfregiato. Tante volte l’ho visto anche con la moto, una Harley-Davidson proprietà di Scotto. Che veniva a Vicolo Pipitone, io sono stato lì così per andare a incontrare qualcuno dei Galatolo per motivi di Cosa nostra’”.

E ancora, il pentito sosteneva che “Aiello era uno della polizia, che era molto intimo sia con Gaetano Scotto che con i Galatolo, Enzo Galatolo, Pino Galatolo, diciamo che gli mancava solo la ‘punciuto’ (il rito di affiliazione della mafia, ndr), perché ne capiva di più di quelli che erano in Cosa nostra’”, ebbe a affermare Onorato. “‘Che discuteva e si atteggiava meglio di un uomo d’onore’”. Lo chiamavano così (“Faccia da mostro”, ndr) “perché aveva tutto il viso sfregiato, aveva buoni rapporti con Scotto e con i Madonia insieme con i Galatolo. Era una persona molto fidata che serviva a tutti’”.

Contrada riprende Paolilli: “Perché hai parlato di Aiello?”

Altra vicenda affrontata in aula riguarda la conversazione telefonica intercettata dalla procura di Caltanissetta l’11 maggio 2014 tra Contrada e Guido Paolilli, l’ex poliziotto che si occupò delle prime indagini sul delitto e che venne indagato (poi prescritto) per favoreggiamento con l’accusa di aver distrutto una grossa mole di carte trovate nell’armadio di casa Agostino. I due parlarono dell’intervista rilasciata da Paolilli (l’ex agente pensava di non essere registrato) al giornalista Walter Molino, poi pubblicata in una puntata di “Servizio Pubblico” il 27 aprile del 2014, nella quale Paolilli aveva rivelato a questi che Aiello “era un fango e vendeva informazioni alla mafia”. Parlando dell’accaduto con Contrada, Paolilli, ha ricostruito Lia Sava, “ammetteva ‘di averla fatta grossa questa volta’”. Di essersi “‘lasciato andare perché pensavo che quelle cose là morivano senza registrazione’”. E alla domanda preoccupata di Contrada su cosa avesse detto, riferiva di aver parlato di “‘quell’Aiello che pigliava dentro e portava fuori’”. E Contrada “indispettito lo rimproverava” – ha ricordato ancora la magistrata – “chiedendogli ‘ma per quale motivo le hai dette?’”.

Sentito in aula, Contrada, ha spiegato Lia Sava, “ha tentato di allontanare da sé il suo rapporto stretto con Aiello. Non sa dare alcuna spiegazione del perché Paolilli chiamò proprio lui per riferirgli dell’intervista rilasciata a Walter Molino, né spiega che significato aveva la frase su Aiello ‘che pigliava dentro e portava fuori’. Si è limitato a negare senza spiegare in alcun modo il senso della contestazione”. Un atteggiamento simile lo ebbe anche Paolilli, sentito a processo sull’episodio prima di Contrada. Sia il pg Domenico Gozzo che Fabio Repici, legale della famiglia Agostino, gli avevano chiesto il motivo per cui si sentii in bisogno di informare Contrada di quell’intervista. “Era un amico, oltre che un capo. E gli devo rispetto. Con lui mi confidavo di tutto e spesso ci raccontavamo degli anni belli. La mia preoccupazione era di dire che mi sono fatto infinocchiare. Che ero stato un fesso”. E alla domanda di Repici sul perché si è dovuto giustificare con Contrada relativamente all’argomento “Giovanni Aiello” ebbe a aggiungere: “Non me lo ricordo. Non era nelle mie frequenze”.

Confronto all’americana

Ultimo punto affrontato da Lia Sava in aula, ancora una volta rispetto a Giovanni Aiello, riguarda il riconoscimento dello stesso fatto nel 2016 da Vincenzo Agostino, padre della vittima, proprio nell’aula bunker dove si sta svolgendo il processo. Si trattava di un confronto all’americana in cui Agostino riuscì a individuare quell’uomo “con la faccia da mostro” che prima del delitto venne a casa sua a chiedere informazioni del figlio mentre questi era in viaggio di nozze con la moglie. “A riguardo è opportuno ricordare – ha affermato la procuratrice – che la prima volta che Agostino ricordò la visita dell’episodio di due uomini che cercavano il figlio risale addirittura al 19 agosto 1989, quando quel dolore era ancora lancinante (l’omicidio avvenne il 5 agosto, ndr)”.

Ad Agostino, in passato, vennero mostrati, in foto, i volti di due soggetti presumibilmente simili all’Aiello, uno dei quali di Salvatore Termini, attore del film “Mery per sempre”. Sebbene entrambi avessero fattezze che potevano ricordare “Faccia da mostro”, “il riconoscimento di Agostino non venne comunque fatto in termini di certezza”, ha ricordato Lia Sava. Il padre della vittima, che da 35 anni combatte per avere verità e giustizia, aveva espressamente chiesto di poter far un riconoscimento di persona e non in fotografia. “Potrei riconoscere l’individuo qualora mi si desse la possibilità di vederlo di persona, in fotografia non ci riesco con chiarezza”, questa era la richiesta del padre dell’agente ucciso. “Li volevo vedere di persona perché non volevo abbottare nessuno”, affermava. “Questo è lo scrupolo di quest’uomo”, è il commento di Lia Sava.

Così quando finalmente Aiello venne portato in aula, insieme a due attori, per il confronto all’americana, Agostino non ebbe alcuna titubanza nel riconoscerlo. “E’ quello ‘Faccia da mostro’, l’uomo che cercava mio figlio”, disse indicandolo per poi quasi perdere i sensi dall’emozione. “Ti voglio conoscere – aggiunse tra le lacrime – voglio capire perché sei venuto a trovare mio figlio”. “Sono dati, che unitamente alla genuinità e piena credibilità delle dichiarazioni di Agostino rivelano l’assoluta affidabilità del riconoscimento dell’Aiello che solo attraverso l’attività certosina della procura generale di Palermo e dell’attività di puntellamento, altrettanto certosina, della difesa di parte civile consentono – ha concluso la procura generale – di arrivare a sistema”.

AntimafiaDuemila, 24/02/2024


Al processo Agostino il focus su “Faccia da mostro” – Parte 1

“Riteniamo pienamente provata la poliedricità della figura di Giovanni Aiello e il suo ruolo inequivoco e inequivocabile di anello tra servizi segreti deviati e consorterie di stampo mafioso in particolare Cosa nostra e ‘Ndrangheta. Un ruolo inquietante ed assolutamente centrale nelle dinamiche connesse al duplice omicidio Agostino-Castelluccio, e non solo. E che evidentemente suscita ancora tantissimo timore – per i segreti che con la sua morte ha portato con sé e che costituiscono l’essenza di fili ad altissima tensione – come ampiamente dimostrato dalle titubanze e dalle reticenze di alcuni testi escussi dinanzi a questa corte”.

E’ nettissimo il profilo criminale di Giovanni Aiello, ex poliziotto ed ex agente segreto (deceduto nel 2017 in Calabria), fatto dalla procura generale di Palermo nella requisitoria del processo, ora alle battute finali, che si svolge davanti alla corte d’assise di Palermo (presidente Sergio Gulotta, giudice a latere Monica Sammartino) per l’omicidio del poliziotto Nino Agostino e della moglie incinta Ida Castelluccio, uccisi da Cosa nostra il 5 agosto 1989 a Villagrazia di Carini.

Nell’ultima udienza di martedì, che ha visto la richiesta di condanna all’ergastolo per il boss dell’Acquasanta Gaetano Scotto (accusato di omicidio aggravato) e di assoluzione per Francesco Paolo Rizzuto, al tempo amico dell’agente (accusato di favoreggiamento), la procuratrice Lia Sava ha svolto un’attenta e minuziosa analisi della figura di Giovanni Aiello, la cui importanza è ritenuta fondamentale all’interno dei fatti emersi in questi tre anni di dibattimento.

Una ricostruzione consentita dalla mole di dichiarazioni di collaboratori di giustizia, acquisizioni documentali e intercettazioni. Tutti elementi probatori grazie ai quali “è stato possibile superare, una volta per tutte, tutte le distonie di alcune precedenti letture di chiave minimalista con riguardo al ruolo dell’Aiello” quale “collante strategico tra segmenti dei servizi segreti deviati e criminalità organizzata. In particolare Cosa nostra e ‘Ndrangheta”, ha ribadito la Sava.

Non a caso, di Aiello hanno parlato negli anni cinque collaboratori di giustizia siciliani (Vito Galatolo, Giovanna Galatolo, Vito Lo Forte, Francesco Onorato e Luigi Ilardo) e due calabresi (Antonino Lo Giudice e Consolato Villani). Il ruolo di collante, secondo i magistrati, è “emerso con assoluta e inquietante chiarezza”. La procura generale, infatti, insieme alla “preziosa attività di puntellamento effettuata dalla difesa di parte civile” è riuscita finalmente a realizzare una profilazione chiara di Aiello, conosciuto anche come “Faccia da mostro” per il viso deturpato da un colpo d’arma da fuoco, il cui nome è apparso più volte in alcune delle vicende ancora avvolte da mistero degli anni della Prima Repubblica.

Per fare ciò la procura generale ha proceduto “per scatti fotografici utili a dare contezza delle risultanze acquisite”.

La vera identità del “mostro”

Il primo scatto fotografico è quello della reale identità di Giovanni Aiello, nato a Montauro (Catanzaro) nel 1946, ufficialmente arruolato in polizia nel 1964 (appena diciottenne) è stato congedato nel maggio 1977 per inidoneità al servizio “per turbe nevrotiche post-traumatiche”. Per quindici anni in Polizia, alcuni trascorsi a Palermo a partire dal 1973, Aiello ha ricevuto una valutazione professionale inferiore alla media. “La sua scheda matricolare – ha ricordato Lia Sava – ci descrive un personaggio poco significativo, un ex poliziotto calabrese, protagonista di una carriera che, alla stregua delle risultanze ufficiali, non appare memorabile”. In pratica, “un’insignificante meteora della polizia di Stato”, ha riassunto la Pg ricordando i dati ufficiali del ministero degli Interni. Dopo il congedo, però, Aiello “sparisce dai radar”. Fino a quando “negli anni 2000, risulterà residente in Calabria”. Sono almeno 23 anni di buio. Nel frattempo, in Sicilia, dove aveva prestato servizio e dove aveva negato di aver rimesso piede dopo il congedo, è successo di tutto: il fallito attentato all’Addaura contro il giudice Falcone, l’omicidio Agostino e le stragi di mafia. Tutte vicende dove il nome di Aiello, come si è dimostrato in requisitoria, è spuntato più e più volte. Nei primi anni 2000, dunque, Aiello riappare. E’ un umile pescatore e risiede in una baracca in riva al mare nella sua Montauro. “Ma qualcosa non torna – ha subito osservato il magistrato – in questa ricostruzione in chiave minimalista della figura di Aiello, che trae in inganno ed ha determinato troppi rallentamenti nel percorso ricostruttivo del ruolo di ‘faccia di mostro’ in questo duplice omicidio”.

La procura generale ha parlato di “ambiguità inquietante del soggetto”. Aiello, infatti, “sparisce per lunghi periodi e nessuno sa dove va”. Questo dato, secondo Lia Sava, “è assolutamente incompatibile con la figura di semplice pescatore, pensionato e dedito a una vita semplice. Ed è invece uno dei molteplici e inquietanti indici del suo ruolo di anello di congiunzione tra consorterie mafiose e pezzi deviati dei servizi segreti”. Ne è indice il fatto, a detta dell’accusa, “che per lunghi periodi, a dispetto delle sue affermazioni, si è recato in Sicilia oltre il suo congedo dalla polizia di Stato”. Tra le varie stranezze raccolte nei riguardi di “Faccia da mostro” sono state ricordate le due utenze telefoniche a lui riconducibili che “stranamente venivano contattate”, negli anni in cui, ufficialmente, era pensionato, da “un’utenza intestata al Decimo Reggimento Trasmissioni” e da una “intestata all’Aeronautica Militare 31° stormo”. “Quella che effettua i voli di Stato”. Alla procura generale, inoltre, risulta che “tutte le informazioni di natura più strettamente personale non appaiono del tutto congrue ad un uomo con un profilo così modesto”. Aiello, infatti, era “sposato con un’ex giudice di pace, ha una figlia che insegna in un’università di San Diego, Stati Uniti, e a fronte di un reddito dichiarato di 22.000 euro l’anno possedeva titoli per un miliardo e centonovantacinque milioni delle vecchie lire”. “Cosa c’è di modesto in questo?”, si è chiesta Lia Sava. E’ probabile che il suo profilo sia in realtà un camuffamento. Come lo fu la necessità di “cambiare aspetto” tingendosi frequentemente i capelli. Un modo, questo, per tentare di rendersi irriconoscibile data l’inconfondibilità del viso butterato a causa, non di un colpo di fucile accidentalmente partito dall’Aiello stesso come questi sosteneva, ma da un proiettile arrivato durante uno scontro a fuoco in Sardegna nel corso della cattura di un latitante. Un “dato che costituisce un ulteriore indizio del ruolo di Aiello utilizzato per operazioni rischiose ed estremamente peculiari”. Ben lontano, dunque, dall’immagine di poliziotto semplice.

Aiello all’Addaura e in vicolo Pipitone

Quell’immagine di poliziotto semplice viene inoltre smentita dalla presenza di Aiello in due luoghi peculiari nella storia recente di Cosa nostra: la villa all’Addaura di Giovanni Falcone, dove, nel giugno 1989, Cosa nostra aveva piazzato l’esplosivo per uccidere il giudice. E Vicolo Pipitone, dove il gotha della mafia siciliana – specialmente Nino Madonia (condannato in primo e secondo grado proprio per l’omicidio Agostino) – si riuniva in gran segreto, organizzava progetti criminali e talvolta eseguiva omicidi.

Nel primo caso Aiello venne individuato da una donna che ricordava un uomo deturpato con la “faccia da mostro” – era la prima volta che venne coniato questo appellativo – “a bordo di un’auto poco prima del ritrovamento dei 58 candelotti di esplosivo in prossimità del passaggio che conduceva al mare della villa di Giovanni Falcone”, ha ricordato Lia Sava.

Nel secondo caso, invece, Aiello era stato riconosciuto da diversi esponenti della famiglia mafiosa dei Galatolo, che vivevano in Vicolo Pipitone e oggi sono collaboratori di giustizia. Nello specifico Vito e Giovanna Galatolo, entrambi sentiti a processo. “Entrambi hanno raccontato la contestuale presenza di Aiello e Contrada (l’ex numero capo della Squadra mobile ed ex numero tre del Sisde) in Vicolo Pipitone, oltre di aver conoscenza del fatto che Aiello apparteneva ai servizi segreti deviati”, ha affermato la procuratrice generale. “In particolare – ha aggiunto – Vito Galatolo affermava: ‘Io posso dire che c’erano rapporti con appartenenti ai servizi segreti. Nino Madonia li ha avuti sempre. Da noi (a vicolo Pipitone, ndr) venivano Giovanni Aiello, mentre era in certe riunioni con Nino Madonia, con Gaetano Scotto, veniva Contrada’. Inoltre Vito Galatolo afferma di aver riconosciuto Giovanni Aiello come la persona che andava spesso a vicolo Pipitone a incontrarsi con Nino Madonia, tra cui c’era presente anche Gaetano Scotto e una volta sono venuti insieme con Giovanni Aiello. I due camminavano insieme su due lati diversi della strada’”.

E ancora. “Galatolo raccontò che lo zio Pino Galatolo gli disse che Aiello ‘era un uomo appartenente… era nei servizi segreti, era una persona di fiducia di Nino Madonia, era a disposizione e si mettevano fra di loro sia Cosa nostra che appartenenti ai servizi segreti deviati’. E aggiungeva che lo zio pagava quelli delle forze dell’ordine per i propri favori alle consorterie mafiose. Sottolineava poi di aver visto Aiello 1987 fino ad aprile-maggio 1989, prima del fallito attentato all’Addaura. E precisa che quando venne arrestato Nino Madonia, 29 dicembre 1989, già Aiello non si vedeva più a Vicolo Pipitone. E ammonta altresì che Piazza ed Agostino, che andavano in vicolo Pipitone a fare dei controlli di polizia, erano lì in concomitanza con Gaetano Scotto, Aiello, e Contrada”.

Alle parole di Vito Galatolo si aggiungono anche quelle della sorella Giovanna Galatolo che “nel corso degli interrogatori ha più volte riconosciuto in foto un soggetto da lei denominato come ‘lo sfregiato’ conosciuto come Giovanni Aiello. La Galatolo ha confermato di aver visto questo soggetto entrare in Vicolo a piedi con il padre. La Galatolo evidenzia con chiarezza di aver visto molte volte Aiello a Vicolo Pipitone prima dell’attentato all’Addaura. E comunque anche antecedentemente al 1989”. “E’ di tutta evidenza – ha riassunto Lia Sava – che proprio la pluralità di particolari che la Galatolo rammenta in ordine allo sfregiato, costituisce pieno riscontro alle ulteriori e molteplici dichiarazioni in ordine alla presenza di Aiello a Vicolo Pipitone ed alla sua frequentazione stretta con la famiglia Galatolo, spesso in concomitanza con Bruno Contrada”.

AntimafiaDuemila, 22/02/2024



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