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Omicidio Agostino: chiesto l’ergastolo per Scotto, ”il boss fu mandante ed esecutore”

Karim El Sadi * il . Forze dell'Ordine, Giustizia, Mafie, Memoria, Sicilia

Francesco Paolo Rizzuto, invece, secondo l’accusa ha dichiarato il falso ma non è punibile e va assolto.

Ergastolo per Gaetano Scotto e assoluzione per Francesco Paolo Rizzuto. Sono queste le richieste fatte ieri dalla procura generale di Palermo ai giudici della corte d’Assise di Palermo (presidente Sergio Gulotta, giudice a latere Monica Sammartino) nell’ambito del processo per il duplice omicidio del poliziotto Nino Agostino e della moglie incinta Ida Castelluccio, avvenuto il 5 agosto 1989 a Villagrazia di Carini.

Quella di ieri era l’ultima udienza dedicata alla requisitoria. L’accusa ha riassunto la grande mole di prove raccolte a carico degli imputati: il boss dell’acquasanta Scotto (accusato di duplice omicidio aggravato in concorso) e Rizzuto, al tempo amico di Agostino (accusato di favoreggiamento). Presenti in aula i familiari del poliziotto, le sorelle Nunzia e Flora e il padre Vincenzo Agostino, che non si è mai perso un’udienza e che la procuratrice generale Lia Sava ha definito “eroe del nostro tempo” per questi 35 anni di instancabili sforzi nella richiesta di verità e giustizia.

Nelle quattro ore di requisitoria la procura generale, ieri rappresentata anche dal sostituto Umberto De Giglio, ha affermato che gli elementi raccolti “in questo processo dimostrano con certezza che l’agente di polizia Antonino Agostino è stato assassinato da soggetti appartenenti a Cosa nostra”. E nello specifico da Gaetano Scotto, oltre che da Nino Madonia, capo mandamento di Resuttana (già condannato all’ergastolo in primo e secondo grado nel processo che si svolge con la formula del rito abbreviato).

Secondo la procura generale – che ha esposto alla corte le risultanze emerse (tutte depositate agli atti) dalle intercettazioni, dalle testimonianze e dai riscontri – “Scotto ha eseguito materialmente l’omicidio come ci riferiscono concordemente Vito Lo Forte, Vito Galatolo e Oreste Pagano in base alle informazioni che gli stessi hanno appreso da fonti e in contesti diversi”.

Tutte le direzioni delle diverse visuali dalle quali si può analizzare il duplice omicidio si incrociano proprio sulla posizione della figura di Scotto. Tutte le traiettorie probatorie ci portano a Scotto”, ha spiegato De Giglio alla corte. Non solo. L’accusa ritiene addirittura il boss dell’Acquasanta – che ha depositato una memoria e nominato un secondo legale (Giuseppe D’Acquì) – quale “uno dei mandanti dell’omicidio”.

E ciò “non solo in quanto esponente di vertice del mandamento di Resuttana, in stretti rapporti con Nino Madonia, ma anche in ragione dei rapporti particolari che Scotto intratteneva con uomini delle istituzioni come il maresciallo Salzano e Giovanni Aiello (alias “Faccia da mostro”, l’ex poliziotto sul cui coinvolgimento nel delitto la pg Lia Sava dedicherà poi ampio spazio nella sua requisitoria, ndr). E quindi in ragione di quella particolare posizione occupata da Scotto proprio in quello spazio di complicità tra mafia e istituzioni. Quello stesso spazio in cui si era introdotto Agostino nella sua attività di raccolta di informazioni. E in cui si deve collocare l’omicidio di Agostino”.

Il ruolo di Agostino e il movente del delitto

In questo senso, questi tre anni di dibattimento hanno consentito alla procura generale di delineare con ancor più precisione il prezioso servizio svolto dal giovane poliziotto che, “al di fuori dei compiti che gli venivano formalmente assegnati” al Commissariato di San Lorenzo, svolgeva un’attività segreta ad alto rischio di ricerca e cattura di latitanti di mafia. Attività che ben presto lo avrebbe condotto nel mirino di Cosa nostra. Agostino, ha ricordato la procura generale, “era entrato in contatto con soggetti legati a servizi segreti instaurando rapporti quantomeno di collaborazione operativa” con costoro. Era entrato in contatto con il giudice Giovanni Falcone – avendo fatto servizio di protezione per l’estremista Alberto Volo, al tempo sentito da Falcone – e “aveva cercato di raccogliere informazioni sull’attentato all’Addaura” in cui sarebbe dovuto morire Falcone.

Tutto questo – ha spiegato De Giglio – lo aveva introdotto in quello spazio di contiguità in cui si verificavano le connessioni illecite tra mondo mafioso ed apparati dello Stato. Aveva visto incontri tra mafiosi ed esponenti delle istituzioni. O comunque aveva compreso il significato illecito delle relazioni sistemiche tra i due mondi. Manifestando la volontà di non finire in questo calderone, Agostino aveva guadagnato l’ostilità non solo di Cosa nostra ma anche interna del suo mondo. In particolare di coloro nelle istituzioni che temevano che Agostino potesse rivelare quanto aveva vissuto e soprattutto quanto aveva visto”.

Il giovane poliziotto “è stato ucciso anche per evitare che potesse rivelare quelle informazioni che aveva raccolto in merito ai rapporti esistenti tra esponenti mafiosi ed alcuni uomini dello Stato, appartenenti alla Polizia o ai servizi segreti”. L’accusa osserva in questo senso che, “sebbene non sia possibile affermare con certezza che nella decisione di uccidere l’agente Agostino abbiano concorso soggetti esterni a Cosa nostra, né è stato possibile individuare con certezza questi soggetti, risulta accertato che uno di quei personaggi che si trovava in quello spazio di connessioni illecite, svolgendo una funzione di collegamento operativo tra mafie e servizi, è Giovanni Aiello. Il quale ha partecipato all’organizzazione dell’omicidio dell’agente Agostino”.

Alla procura generale risulta “ancora accertato che in alcuni ambienti della polizia e dei servizi l’eliminazione di Agostino fu salutata con favore. Risulta infine provata che soggetti legati o appartenenti a servizi di sicurezza realizzavano azioni depistanti, dirette a sviare le indagini sul duplice omicidio allo scopo di nascondere l’attività effettivamente svolta da Agostino”.

La premeditazione nell’esecuzione di Ida Castelluccio

Eliminare Agostino, però, non bastava. Chi aveva organizzato il delitto, secondo la procura generale, voleva assicurarsi che anche la moglie venisse eliminata “in quanto persona a lui più vicina, quella che poteva  conoscere, forse l’unica, quanto Nino aveva fatto e vissuto”. In questo senso, ha osservato l’accusa, l’omicidio di Ida Castelluccio è stato premeditato tanto quanto quello del marito. Un omicidio “deliberato con cura in un certo lasso temporale, organizzato e infine realizzato con ferma e costante determinazione” da parte degli esponenti del mandamento mafioso di Resuttana (di cui erano membri di vertice Madonia e Scotto), al tempo incaricati delle eliminazioni dei cacciatori di latitanti (come Giacomo Palazzolo, Gaetano Genova e Andrea Piazza).

Tornando a Ida Castelluccio, la giovane sposa “è stata uccisa per evitare che potesse anche lei rivelare l’attività realmente svolta da Nino Agostino e soprattutto rivelare le informazioni che le erano state confidate dal marito”, ha ribadito De Giglio.

La premeditazione sarebbe comprovata non solo dalla motivazione in sé del delitto (quella del pericolo che Castelluccio fosse a conoscenza di informazioni delicate) “ma anche dalle specifiche modalità con cui è stato eseguito, con particolare riferimento alla scelta da arte degli assassini di organizzare l’agguato in circostanze, in tempi e in luogo in cui Agostino si trovava in compagnia della moglie”.

Quel drammatico 5 agosto Ida Castelluccio, dopo le raffiche di colpi che avevano investito il marito, venne a sua volta assassinata dai due sicari a bordo di una motocicletta nel momento in cui, in un rapido momento di lucidità, li avrebbe riconosciuti e avrebbe gridato loro: “Io so chi siete”.

Chiesta assoluzione per Paolo Rizzuto

Successivamente la Procura generale si è soffermata sulle accuse nei confronti di Francesco Paolo Rizzuto.

L’imputato all’epoca dei fatti era minorenne (aveva nemmeno 16 anni) e il giorno precedente al delitto, come risulta in atti, aveva passato la serata a pescare con l’amico Nino Agostino, per poi pernottare in casa di quest’ultimo. Francesco Paolo Rizzuto, detto “Paolotto”, secondo De Giglio “ha dichiarato il falso” in ordine a quanto accaduto nel giorno e nel luogo in cui fu commesso il delitto – al quale avrebbe addirittura assistito secondo il pentito Francesco Marino Mannoia – e in generale, su quanto a sua conoscenza. Falsità che avrebbe reso in un verbale di sommarie informazioni del 9 agosto 1989.

Nello specifico, secondo De Giglio “quelle informazioni risultano false e reticenti nella parte in cui Rizzuto omette di riferire di essersi allontanato con un motorino poco prima dell’omicidio, omettendo di precisare quello che aveva fatto e chi aveva incontrato in quel frangente. Risultano false e reticenti nella parte in cui dichiara di essersi allontanato dal luogo dell’omicidio subito dopo aver visto Agostino a terra, omettendo invece di riferire di essere stato presente al momento dell’omicidio o comunque omettendo di riferire di essersi avvicinato a Nino tanto da macchiarsi la maglietta del suo sangue. E infine risultano false nel momento in cui dichiara di essersi allontanato dal luogo dell’omicidio per tornare a casa invece di riferire di essere scappato a casa dello zio Antonio Castiglione”. Sui fatti del 5 agosto Rizzuto verrà risentito diversi anni dopo sulla base di intercettazioni raccolte dagli inquirenti, il 22 febbraio 2018.

Ancora una volta, sentito a sommarie informazioni, quindi senza l’obbligo di dire la verità, avrebbe (stando all’accusa) dichiarato nuovamente il falso. Nonostante tutto, però, la Procura generale ha chiesto l’assoluzione. Il vulnus è tutto tecnico. “Valutandola a posteriori dobbiamo escludere che nel febbraio del 2018 gravasse nei suoi confronti l’obbligo di dire la verità perché era all’epoca persona sottoposta ad indagine o quantomeno indagabile”, ha affermato De Giglio sottolineando comunque le reticenze e le falsità dette da Rizzuto.

A questo punto – ha spiegato – l’accusa di favoreggiamento personale che consiste nell’aver reso false dichiarazioni agli inquirenti nel febbraio 2018 deve ritenersi non punibile” ai sensi dell’art 384 comma 2. L’articolo prevede la non punibilità, ha spiegato De Giglio, “se il fatto è commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini o assunto come testimonio, perito, consulente tecnico o interprete ovvero non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere o avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni”.

Mentre in relazione al verbale di sommarie informazioni reso nel 1989, dove Rizzuto avrebbe dichiarato il falso, “gli atti devono essere trasmessi alla procura della Repubblica presso il tribunale dei minorenni di Palermo e in quella sede si potrà procedere ad accertare la sua responsabilità nella improbabile ipotesi che l’imputato rinunci alla prescrizione”. La questione della possibilità di non punibilità di Rizzuto è “una questione che noi ci siamo posti ancor prima di esercitare l’azione penale – ha dichiarato De Giglio – ma abbiamo ritenuto che tale verifica richiedesse, in ogni caso, il compiuto accertamento dinanzi a un giudice e il contraddittorio delle parti della prospettata falsità delle dichiarazioni rese dal Rizzuto”. L’udienza è stata rinviata al 12 marzo e sarà il turno delle parti civili.

* AntimafiaDuemila, 21/02/2024


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