Un grido da San Donà di Piave per Attilio Manca, don Ciotti: ”È stato ucciso! Ucciso!”
Nella cittadina veneta l’evento in onore del medico assassinato da Cosa nostra e non solo.
“Attilio Manca è stato ucciso! Ucciso! Chiaro?!”.
La voce di don Luigi Ciotti è decisa, perentoria. La verità sulla morte di Attilio Manca, trovato morto nel suo appartamento a Viterbo il 12 febbraio del 2004, è la grande protagonista del convegno tenuto sabato scorso a San Donà di Piave (VE) presso l’auditorium Leonardo Da Vinci.
Una verità che è ormai diventata il ‘segreto di pulcinella’. Tutti, o quasi, la conoscono: la società civile, i giornalisti, i cittadini e persino la politica. Il grande assente resta la magistratura. D’altronde “è difficile imporre alla giurisdizione di accettare la realtà” ha ricordato il legale della famiglia Manca Fabio Repici, presente sul palco assieme a Gianluca Manca (fratello di Attilio), Angela Gentile (la madre), don Luigi Ciotti e la giornalista tedesca Petra Reski, moderatrice della serata.
Oltre ottocento persone hanno ascoltato le voci di chi, da anni, aspetta che l’autorità giudiziaria smetta di ripiegare sulla facile (indotta?) pista del suicidio per droga, e cominci a trattare questa morte per quella che è, un omicidio di mafia, maturato nel contesto di Barcellona Pozzo di Gotto e direttamente collegato alla latitanza di Bernardo Provenzano.
È stata la stessa commissione parlamentare antimafia della scorsa legislatura a scriverlo nero su bianco in una relazione votata all’unanimità.
“Ma Attilio – ha ripreso don Ciotti – secondo lo Stato, è morto come un drogato. E allora lasciatemi dire che la logica mafiosa non è solo quella delle organizzazioni criminali, ma anche quella del potere quando si nasconde dietro manipolazioni e menzogne”. “Storia di ieri e storia di oggi” ha ribadito il sacerdote indicando Angela Manca. Storie che hanno sempre in comune una cosa: il dramma di una verità negata o manipolata. Per questo “l’ottanta per cento dei familiari delle vittime innocenti della violenza criminale e mafiosa non conosce la verità nel nostro Paese” ha detto don Ciotti, eppure, ha aggiunto, “le verità passeggiano per le vie delle città. C’è chi sa, c’è chi ha visto. L’omertà uccide la verità, la speranza di tante e tante persone”. Anche la “neutralità” gioca un ruolo chiave: “Ma come si fa ad essere neutrali? Io sono stanco di vedere i professionisti della lamentela. Mi piacerebbe vedere che ci impegniamo di più tutti, cominciando dalle piccole cose, perché ci sono dei momenti nella vita in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo morale e una responsabilità civile”.
Angela Manca: “Ci hanno estromessi dal processo”
Lo ricordiamo sin da subito: il processo istruito dalla procura di Viterbo per la morte di Attilio Manca si è concluso con un colossale buco nell’acqua. L’unica imputata era una donna, tale Monica Mileti, accusata di aver ceduto la dose letale di eroina ad Attilio. In secondo grado i giudici hanno assolto la donna con la formula ‘perché il fatto non sussiste’ facendo cadere del tutto il bislacco teorema messo in piedi dai magistrati viterbesi. Ma un fatto ha destato attenzione più di tutti: l’avvocato di Mileti, Cesare Placanica, intervistato dal giornalista Paolo Borrometi, aveva dichiarato che la procura di Viterbo gli aveva chiesto di ‘far confessare la sua assistita’: “Ma falla confessare (alla Mileti, ndr) perché noi lo qualifichiamo 5° comma ed il 5° comma si prescrive a breve”. In seguito l’allora imputata non confessò.
L’avvocato Placanica non è stato mai convocato da nessun magistrato in merito a questa vicenda.
La lista delle incongruenze del processo istruito a Viterbo è ancora lunga e Angela Manca, durante il convegno, ne ha ricordate altre: le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia? Corbellerie, non ammesse; la ‘cacciata’ della famiglia Manca dal processo stesso, “hanno fatto il processo solo con le persone che accusavano Attilio” ha detto Angela precisando che i magistrati dissero che “la morte di Attilio non ha prodotto danno”.
Ma la rabbia più grande è stata quando “hanno fatto sparire l’ultima telefonata” ha detto in rifermento a quando il figlio la chiamò il giorno prima di morire dicendogli di andare a controllare una motocicletta che stava a Tonnarella. A fare riferimento a quel territorio furono le parole registrate da un’intercettazione ambientale del 13 gennaio 2007 (confluita nell’operazione antimafia di Messina denominata “Vivaio”), di Vincenza Bisognano, sorella del boss barcellonese Carmelo Bisognano (oggi collaboratore di giustizia), mentre si trova in auto assieme al suo convivente Sebastiano Genovese e a una coppia di amici. I quattro iniziarono a parlare della vicenda di Attilio Manca, collegandola alla presenza di Provenzano a Barcellona Pozzo di Gotto. Uno degli uomini in macchina, Massimo Biondo, affermò con estrema certezza che il capo di Cosa Nostra si nascose per un periodo proprio nella cittadina messinese e, riferendosi ad Attilio Manca, aggiunse: “Però sinceramente, stu figghiolu era a Roma a cu ci avia a dari fastidio? (questo ragazzo era a Roma, a chi doveva dare fastidio?)”. A quel punto, Vincenza Bisognano rispose: “Perché l’aveva riconosciuto”. Il soggetto a cui si sta facendo riferimento era evidentemente il boss Bernardo Provenzano, tanto che Biondo subito dopo incalzò: ‘Lo sanno pure le panchine del parco che Provenzano era latitante a Portorosa… cioè lo sanno tutti’”.
Eppure la magistratura ha continuato a ripetere che la latitanza di Bernardo Provenzano non centrasse nulla con il caso di Attilio. Anche per questo c’è rabbia da parte di Angela. Ma la parte peggiore fu quando gli dissero che quella telefonata se l’era inventata: “Quale madre c’è in tutta Italia, nel mondo, che non ricorda l’ultima volta che ha parlato con il figlio?” ha aggiunto chiedendo ai presenti e a chi ascoltava di non dimenticare Attilio.
Fabio Repici: “Omicidio di Attilio ha la matrice a Barcellona Pozzo di Gotto”
La morte di Attilio Manca, seppur avvenuta a Viterbo, “ha una matrice che trova origine nella sua città di adozione, che è la seconda città della provincia di Messina, si chiama Barcellona Pozzo di Gotto”, la “Corleone del terzo millennio”, in cui risiedeva l’associazione “Corda Fratres” a cui erano iscritti soggetti davvero imbarazzanti: “Antonio Franco Cassata, il procuratore generale di Messina”, “Domenico Nania” vicepresidente del Senato della Repubblica dal 6 maggio 2008 al 15 marzo 2013, “Giuseppe Buzanca sindaco della città di Messina, un tale Giuseppe Gullotti, cioè il capo di Cosa Nostra a Barcellona Pozzo di Gotto” e “Rosario Pio Cattafi” l’eminenza grigia condannato con sentenza definitiva per associazione mafiosa.
C’è un collegamento tra i Corda Fratres e l’omicidio Manca?
Il 13 ottobre 2015, il collaboratore di giustizia Carmelo D’Amico aveva completato la sua narrazione di quanto a lui era noto in merito alla morte del medico siciliano, aggiungendo anche alcuni fatti appresi da Salvatore Rugolo, cognato di Giuseppe Gullotti. D’Amico aveva spiegato come Rugolo avesse accusato Rosario Cattafi di aver avuto un ruolo nella vicenda dell’omicidio dell’urologo, avendo indicato il medico al latitante Bernardo Provenzano, che necessitava di cure alla prostata.
Come già spiegato un processo si aprì, ma nessun collaboratore di giustizia venne mai ascoltato. Un fatto inquietante se si pensa che addirittura la difesa dell’allora imputata decise di non convocare i pentiti che, con le loro dichiarazioni, avrebbero potuto scagionare Monica Mileti.
Durante il suo intervento l’avvocato Repici ha parlato anche del Convento di Sant’Antonio da Padova, luogo dove, in base ad una fonte confidenziale dei carabinieri, Bernardo Provenzano si sarebbe nascosto contando sull’assistenza di un non meglio indicato frate.
Il convento è un altro tassello di questa vicenda, circondato anch’esso da stranezze.
Ricordiamo che in base alle risultanze dei Carabinieri del Ros era già stata ‘accertata’ la presenza di Salvatore Massimo Ferro nel suddetto Convento e che quest’ultimo era uno dei fratelli Ferro (in totale sono cinque: Salvatore Massimo, Giuseppe, Angelo, Roberto e Gioacchino).
Sempre rimanendo nell’ambito delle indagini su Salvatore Massimo, i Carabinieri del R.O.S. di Messina avevano richiesto all’autorità giudiziaria di Palermo, nella persona dell’allora sostituto procuratore Michele Prestipino di eseguire delle intercettazioni sulle tre utenze in uso al frate Salvatore Massimo Ferro (una al Convento Sant’Antonio da Padova di Barcellona Pozzo di Gotto, l’altra al Convento Santa Maria degli Angeli di Messina e una utenza mobile intestata allo stesso Ferro).
Un dato, questo, che il legale ha detto di aver “scoperto 15 anni dopo” grazie al lavoro del pool che ha redatto la relazione della commissione antimafia che, nell’ambito dell’inchiesta, aveva recuperato le carte del processo ‘Grande Mandamento’ a Palermo.
Repici ha infine spiegato di aver chiesto al tempo (2005-2006) all’autorità giudiziaria di “verificare le connessioni fra la latitanza di Bernardo Provenzano, Barcellona Pozzo di Gotto e l’omicidio di Attilio Manca”. Tuttavia le autorità non fecero nulla nonostante i numerosi indizi e le risultanze dei Carabinieri del Ros.
Gianluca: “Hanno gettato fango su mio fratello”
“La vicenda di Attilio – ha spiegato Giancluca Manca dopo l’esibizione del violinista Filippo Belomare – si innesta in un mix di mafia, di mascariamento come diciamo noi in dialetto siciliano, cioè di nascondere ciò che in realtà è emerso. E noi è vent’anni che cerchiamo, dalla morte di mio fratello, di dare non solo verità giuridica alla sua morte, ma soprattutto di restituire dignità a quella persona perché la cosa più brutta non è stata in questi 20 anni assistere al dolore sordo e muto da parte mia e dei miei familiari per la perdita di un nostro congiunto, ma la cosa più brutta è stata l’infamia, il fango che è stato gettato su una persona che non aveva più la possibilità di potersi difendere”.
Ma in cosa consiste il fango?
“Nell’avere detto per tantissimo tempo che Attilio fosse un tossicodipendente e che se la fosse cercata quella morte proprio perché era un tossicodipendente” ha detto Gianluca. Sul punto il fratello di Attilio ha ricordato il dolore della famiglia e la sfibrante attesa di verità. “La campagna diffamatoria che si è perpetrata nel tempo in quel di Barcellona Pozzo Di Gotto è stata terrificante ed è per questo che noi abbiamo lottato e cercato di ottenere quella verità giuridica che ad oggi ancora non abbiamo” ha detto Gianluca ringraziando chi ha reso possibile l’evento: Anna Maria Bardellotto, Lina Bardellotto e Elisabetta Bustreo dell’associazione “Se non ora quando”, più conosciuta come ‘La casa delle donne’; il sindaco Alberto Teso e il consigliere comunale di maggioranza – nonché amico di infanzia di Attilio – Stefano Ferraro.
Piera Aiello: “Andrò dal procuratore Francesco Lo Voi con Angela per chiedergli che intenzioni ha”
L’ex deputata, tra le prime firmatarie della relazione sulla morte di Attilio, parlando dal palco ha assunto pubblicamente l’impegno di contattare “il procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi” e di recarsi da lui per “chiedergli che intenzioni ha” in merito alla riapertura delle indagini sul caso di Attilio Manca. La richiesta è stata fatta ufficialmente alla procura di Roma, con una denuncia ‘circostanziata’ dall’avvocato Fabio Repici ad aprile dell’anno scorso.
Il documento era stato indirizzato anche alla procura nazionale antimafia, per il necessario coordinamento di indagine con le procure di Messina e di Palermo, che hanno trattato in anni recenti procedimenti su personaggi e delitti collegati all’omicidio del giovane medico siciliano.
Aiello ha ricordato che una riapertura dell’inchiesta è un dovere nei confronti non solo della madre di Attilio, ma anche del padre, Gino, venuto a mancare ad agosto del 2023. “Noi – ha ripreso – abbiamo fatto un bel lavoro e ne sono orgogliosa. Per questo oggi ho voluto qui Ascari e Luigi Paolini (membro della precedente commissione antimafia, ndr). Vi garantisco che si vuole arrivare alla verità, non c’è partito o colore o qualsiasi fazione politica, ma bensì tanta voglia di verità, giustizia e legalità”.
Stefania Ascari: “Abbiamo scritto nero su bianco che non è stato un suicidio”
L’onorevole Stefania Ascari, tra le prime firmatarie della sezione sull’omicidio di Attilio Manca, è andata dritta al punto: “Con la nostra consulente Federica Fabretti (presente in sala assieme a Giulia Sarti già presidente della commissione giustizia alla Camera) abbiamo depositato una relazione sulla vicenda” e “abbiamo scritto nero su bianco che non si è trattato di un suicidio, ma di una morte tra l’altro collegata alla mafia”.
Diversamente da altri omicidi i collaboratori di giustizia che hanno anche solo osato parlare della morte di Attilio sono morti in circostanze assai dubbiose. Basti pensare al “primo mafioso che ha parlato del dottore (il boss di Belmonte Mezzagno, fedelissimo di Bernardo Provenzano, Francesco Pastoia, ndr). Si è suicidato in carcere, ma la cosa veramente assurda è che dopo è stata profanata la tomba ed è stato dato fuoco addirittura alla salma”.
Altro esempio può essere Salvatore Rugolo, “morto in un incidente stradale dalle caratteristiche particolari, con accanto un giovane di 20 anni che non si è fatto assolutamente niente. E anche lui aveva parlato del medico, dando dei riferimenti”.
E poi ancora: Sergio Rampazzo e Angelo Miano, trovati morti in modo “assolutamente strano” ha spiegato la parlamentare.
Info: attiliomanca.it
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