Quando il boss scriveva «Giornalisti disonesti», ecco perché il bavaglio alla stampa è un favore alla mafia
Lo ricorda Salvo Palazzolo a proposito di Matteo Messina Denaro annunciando, giovedì 8 febbraio 2024, su Repubblica Palermo, la manifestazione dei colleghi siciliani in piazza Verdi contro le norme che vorrebbero restringere gli spazi della libertà di stampa. «C’è il rischio che non si parli più di mafia nel modo che serve», scrive.
Il superlatitante Matteo Messina Denaro scriveva: ‘I giornalisti sono fra gli esseri più disonesti della terra’. Lo ricorda Salvo Palazzolo dalle colonne di Repubblica Palermo annunciando, giovedì 8 febbraio 2024, la manifestazione promossa da Assostampa Sicilia contro le norme in discussione in parlamento che vorrebbero restringere gli spazi della libertà di stampa.
Matteo Messina Denaro – ricorda ancora Palazzolo – la pensava come il padre Francesco, che nel 1988 fece uccidere il giornalista Mauro Rostagno, il coraggioso direttore dell’emittente Rtc di Trapani. Rostagno è uno degli otto giornalisti uccisi dalle cosche in Sicilia. Per il primo delitto eccellente contro l’informazione libera, i boss inscenarono il suicidio di Cosimo Cristina, corrispondente de L’Ora da Termini Imerese, nel 1960. L’ultimo omicidio, nel 1993, stroncò la vita di Beppe Alfano, il corrispondente del quotidiano La Sicilia da Barcellona Pozzo di Gotto. In mezzo, una catena di odio che gronda sangue, quello di Mauro De Mauro (1970), Giovanni Spampinato (1972), Peppino Impastato (1978), Mario Francese (1979), Pippo Fava (1984).
«Quanto odio della mafia contro i giornalisti e le parole che scrivono», prosegue Palazzolo, che incalza: «Ecco perché la legge ‘bavaglio’ in discussione in Parlamento rischia di essere un terribile favore ai boss, che il bavaglio lo invocano da sempre. E oggi soprattutto, nel momento in cui l’organizzazione criminale prova a cambiare pelle e a cercare nuovi consensi nei quartieri». Senza perdere il vizio di additare il ‘nemico’ cronista, i giornalisti ‘come il Coronavirus’, i giornalisti che ‘fanno un danno enorme’.
«Oggi – si legge ancora su Repubblica Palermo – è il momento di un grande racconto sulla mafia che si trasforma e sui misteri che ancora restano da svelare. I cronisti siciliani provano a farlo un racconto approfondito e dettagliato, ma è sempre più difficile. La legge Cartabia ci ha già costretto ad alcuni drammatici passi indietro nella cronaca giudiziaria, altri colpi fatali all’informazione stanno per arrivare con la norma che vorrebbe vietare la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare fino al momento dell’udienza preliminare. C’è davvero il rischio che non si parli più di mafia nel modo che serve».
Conclude Palazzolo: «È davvero il momento di una grande battaglia culturale nella lotta alla mafia. E, invece, in questo momento, i cronisti siciliani rischiano di avere le armi spuntate nei racconti sul vero volto di Cosa nostra oggi. A chi lavora per le leggi bavaglio bisognerebbe ricordare le parole accorate di Paolo Borsellino: ‘Parlate di mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene’».
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