Parlare di diritti in carcere? Stona
La complessità del carcere è una drammatica realtà italiana. Per tutta una serie di fattori: tensioni sociali che si riversano al suo interno; “ghetto” in cui si scaricano i diseredati; tipologie di detenuti assai diverse; il sovraffollamento.
Di recente si è aggiunta l’irrispettosa insensibilità dei vertici dell’Amministrazione penitenziaria (fino al Ministro della giustizia) per i detenuti.
Mi riferisco al blocco della presentazione, nel carcere di San Vittore, del libro “Storie di diritti e di democrazia” di Giuliano Amato e Donatella Stasio. Oltretutto un caso di recidiva, perché la presentazione del libro era già stata bloccata lo scorso novembre in Campania.
Vien voglia di citare il proverbio “al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere”, non più con l’originaria interpretazione classista, ma con la lettura che sembra oggi più in voga: per i reclusi va bene che di diritti e Costituzione si parli ogni tanto nei talk show. Ma guai a parlarne in carcere direttamente con gli interessati.
In sintonia con tutti coloro che quando si solleva il tema dei diritti dei detenuti rispondono: “Ma che cosa pretendono? Dovevano pensarci prima, hanno sbagliato e devono pagare, poche storie”.
E si getti via la chiave, anche quella per entrare se si tratta di noti eversori (??) come Giuliano Amato e Donatella Stasio. Vade retro!
Fonte: Il Fatto Quotidiano
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