Morire di Cpr
“Vorrei che il mio corpo fosse portato in Africa. I militari italiani non capiscono nulla a parte il denaro. L’Africa mi manca molto e anche mia madre, non deve piangere per me. Che io possa riposare in pace”.
Sono queste le parole lasciate scritte con un mozzicone di sigaretta sul muro della stanza in cui si è suicidato, da Ousmane Sylla, guineano di 22 anni. Aveva superato la sfida disumana del deserto, le torture e le angherie della mafia libica, le paure del mare da attraversare, ma a Ponte Galeria non ce l’ha fatta più.
A quanto pare aspettava il rimpatrio come una liberazione, ma il cosiddetto decreto Cutro ha allungato i tempi di permanenza nei Centri di permanenza per il rimpatrio anche quando non si è autore di alcun reato. Ousmane non ce l’ha fatta. Ousmane si è impiccato. Protagonista di una storia minore.
Si è parlato di più della reazione e delle manifestazioni seguite al gesto estremo che non della sua vicenda umana. Per lui e per sua madre e per il suo popolo almeno una preghiera. Quella vita soffiata via è preziosa davanti a Dio.
Chissà che un giorno non impareremo anche noi a guardare dentro la vita dei poveri iniziando da quel messaggio che non riusciamo a capire perché non abbiamo imparato l’alfabeto di quelle esistenze.
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Fotografia dei Centri per il rimpatrio: dati, errori, scenari nel dossier “Trattenuti”
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