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Holding criminali: non basta la repressione, serve l’impegno di tutti

Piero Innocenti il . Criminalità, Droga, Forze dell'Ordine, Internazionale, SIcurezza, Società

Il crimine organizzato è diventato la prima industria del pianeta; il traffico degli stupefacenti e quello delle armi sono ai primi posti nel redditometro mondiale, prima dell’industria del petrolio.

Droga e armi, narcotraffico e terrorismo si sono saldamente connessi in una miscela che può essere fatale per la sopravvivenza stessa di alcuni Stati. Un patrimonio complessivo occulto stimato, oggi, intorno ai mille miliardi dollari. Un enorme potenziale di denaro liquido che infetta le istituzioni politiche degli Stati attraverso la corruzione, che preme per invadere gli ambiti degli investimenti legali, inquinando il sistema finanziario ed economico.

Tanto più i gruppi criminali sono pericolosi, quanto più sono (e bene) organizzati, a livelli che oltrepassano i confini dei singoli paesi, con risorse che superano talvolta il prodotto lordo degli Stati. Somigliano alle multinazionali: come queste, sono capaci di mobilitare tecnologie, professionalità, creatività, adattandosi duttilmente alle esigenze dei mercati, elaborando strategie e innovazioni anche geniali, stipulando patti di collaborazione con le altre strutture, utilizzando tutte le debolezze del nemico, del concorrente, del socio, con il vantaggio di non avere scrupoli nell’uso della violenza e della corruzione.

Holding criminali che, nelle loro dimensioni già transnazionali, sanno lanciarsi in imprese a carattere mondiale, sfruttando le moderne possibilità offerte dallo straordinario sviluppo delle telecomunicazioni, della liberalizzazione dei commerci, dell’affermarsi delle libertà democratiche e delle garanzie per l’esercizio dei diritti umani.

Solo la cooperazione internazionale tra i governi, a livello bilaterale o multilaterale, può confrontarsi con l’esercito del crimine e sperare di vincerlo.

Una prospettiva non scontata, dati i gravi problemi che vediamo persistere nel rapporto tra gli Stati, negli organismi internazionali che della pace e della cooperazione hanno fatto la loro ragione di vita. Proprio nei documenti dell’ONU e delle altre organizzazioni sovranazionali appare chiara la consapevolezza del pericolo grave che incombe, le dimensioni della sfida che la criminalità sta imponendo al mondo intero.

Occorre prendere coscienza del problema nella giusta misura, non sottovalutarlo, non pensare che combatterlo sia solo responsabilità degli altri, degli specialisti, delle istituzioni.

Le radici stesse della democrazia rischiano di saltare se si lascia campo libro alla criminalità, che questa scava dentro le istituzioni come un cancro che può essere fermato e circoscritto ma se non si aggredisce a tempo e con le giuste cure può invadere, cellula dopo cellula, l’organismo intero.

E così tutte le cellule della società, tutti i cittadini devono impegnarsi in una lotta che implica la nostra responsabilità sul piano economico, politico, culturale, educativo, etico. Non stiamo esagerando: certi comportamenti all’apparenza innocui, certi “peccatucci veniali”, certe tolleranze e debolezze nei confronti di chi li adotta possono, sommati a quelli di tanti altri, fornire un ottimo terreno di coltura per la grande criminalità.

I delitti eclatanti che di quando in quando scuotono le nostre coscienze e ci addolorano o ci indignano, non sono soltanto il prodotto estemporaneo e isolato di menti malate e criminali; più spesso sono la punta emergente di un iceberg compattatosi grazie all’aggregazione di una miriade di comportamenti non necessariamente criminali, anche solo illegali, anche solo sconsiderati o scorretti.

Si pensi, ad esempio, alla formidabile opportunità che diamo ai criminali quando eleggiamo un politico,un amministratore, corrotto o ricattabile, quando gli diamo il nostro voto in cambio di un favore o della sua protezione, senza valutare di chi si tratti in realtà; quando facciamo affari con qualcuno che ci conquista con il suo denaro e non sottilizziamo sulla sua provenienza; quando, cinicamente, diamo lezioni di savoir faire a qualche giovane troppo ingenuo o entusiasta; quando chiudiamo gli occhi e le orecchie per non vedere e per non sentire, per non turbare la nostra tranquillità, per pigrizia, per la sfiducia nelle istituzioni. Quelle istituzioni di cui lamentiamo le carenze, senza però attivarci per poterle migliorare.

È vero che i richiami di carattere morale o civico sono spesso completamente inutili, ma, forse, un’ampliarsi della conoscenza può generare una maggiore consapevolezza e rafforzare il sentimento delle nostre responsabilità.

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La dimensione transnazionale della criminalità organizzata

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