Mio padre Mario Francese, ucciso 45 anni fa, amava la vita e il suo lavoro
Iniziative a Palermo e Siracusa per ricordare il giornalista del Giornale di Sicilia assassinato da sicari della mafia.
Sono trascorsi 45 lunghi anni dalla tragica sera del 26 gennaio 1979, quando il giornalista Mario Francese fu ucciso a colpi di pistola a Palermo, in viale Campania, davanti a casa sua. Era un cronista di punta di nera e giudiziaria del Giornale di Sicilia, l’autore di grandi scoop. Fra le altre, un’inchiesta svelò per primo l’evoluzione egemonica dei mafiosi corleonesi negli anni ’70. Il suo barbaro assassinio fece enorme impressione.
Quella sera del 26 gennaio 1979, come ricostruisce il sito di Ossigeno per l’informazione “Cercavano la verità” dedicato ai trenta giornalisti italiani uccisi per il loro lavoro, sul luogo dell’omicidio, subito dopo gli spari, accorsero molte persone e alcuni giornalisti, fra i quali suo figlio Giulio, all’epoca giovane inviato del settimanale Il Diario. Non sapeva che si trattasse di suo padre.
In occasione di questo 45mo anniversario, Giulio Francese, già presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Sicilia, traccia per “Ossigeno-Cercavano la verità” www.giornalistiuccisi.it il profilo umano e professionale di suo padre.
Mio padre
“Era una persona innamorata della vita e del suo lavoro. Era un uomo instancabile, sempre col sorriso sulle labbra. La sua giornata era divisa tra l’impegno al Palazzo di Giustizia e al giornale. Poi c’erano anche la sua passione per gli animali e per l’orto. Era un uomo generoso, sempre disponibile con la gente. Sapeva ascoltare e aiutava chiunque gli chiedesse aiuto. Al Palazzo di Giustizia di Palermo ogni giorno c’era una processione di gente che lo aspettava per chiedergli un consiglio, o di intercedere con i giudici per un proprio congiunto, di scrivergli la domanda per fare ottenere un permesso ai familiari detenuti”.
Come altri cronisti, Mario Francese subì intimidazioni a causa del suo lavoro. “Qualcuna – dice il figlio Giulio – gli era arrivata direttamente con minacce di morte con telefonate arrivate a casa. Un paio le ho prese proprio io”.
Giulio Francese aggiunge: “Mio padre riusciva a far evaporare le nostre paure con un sorriso. State tranquilli, diceva, faccio solo il mio dovere. Non mi succederà nulla. Non aveva la scorta. Quando il capo della Squadra Mobile di Palermo, Boris Giuliano, gliela propose lui disse di no”.
Le iniziative
Nel giorno dell’anniversario si svolgeranno in Sicilia due manifestazioni in ricordo del giornalista. Una a Palermo, sul luogo del delitto, alle ore 9, dove sarà ricordato come di consueto da Assostampa Sicilia e Gruppo cronisti siciliani, alla presenza di cittadini, colleghi e amici.
A Siracusa, sua città natale, si terrà una cerimonia, a partire dalle ore 9,30, presso il parco archeologico, nel Giardino intitolato al cronista (ex Casina Cut). L’evento dal titolo “Il giorno di Francese. Il coraggio delle parole e il diritto di cronaca” è promosso da Assostampa Siracusa, Sindacato unitario dei giornalisti della Sicilia, Ordine dei giornalisti della Sicilia, Comune di Siracusa e Coordinamento provinciale di Libera.
La ricerca dei responsabili
Quello di Mario Francese “fu un omicidio preventivo e fu anche un monito per tutti gli altri giornalisti”, dice a Ossigeno il figlio Giulio. La mafia di Totò Riina uccise Mario Francese perché era metteva a nudo gli interessi mafiosi. Aveva già documentato, insieme ad altri cronisti, il sacco edilizio di Palermo, osservando da vicino il sistema degli appalti pubblici. Poi fu fra i primi ad accendere l’attenzione sul colossale affare speculativo creato intorno all’esproprio dei terreni per la costruzione della grande diga Garcia (dal 2013 intitolata proprio a Mario Francese).
La sentenza di condanna della “cupola”, lo ha sancito nero su bianco: il giornalista possedeva “una straordinaria capacità di operare collegamenti tra i fatti di cronaca più significativi, di interpretarli con coraggiosa intelligenza e di tracciare così una ricostruzione di eccezionale chiarezza e credibilità delle linee evolutive di Cosa Nostra”. Per giungere alla giustizia, con il pieno riconoscimento della matrice e delle responsabilità di Cosa Nostra, tuttavia, ci vollero vent’anni e fu decisiva la determinazione dei famigliari di Mario Francese, in particolare del figlio Giuseppe, che non superò mai il trauma della barbara uccisione del padre e dopo la sentenza si tolse la vita.
“Era un eroe moderno, un gigante fragile che non si è tirato indietro per amore di verità e giustizia”, così lo ricorda Giulio Francese che insieme alla storia di suo padre tramanda quella di suo fratello Giuseppe. “Lo faccio – dice – per esprimergli il mio amore e la mia riconoscenza” e per trasmettere ai più giovani, attraverso il suo esempio, l’importanza di “non lasciarsi sopraffare dalla rassegnazione se vogliono, come Giuseppe, poter davvero cambiare le cose”.
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