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Il saluto fascista. La democrazia e i suoi nemici

Questione Giustizia il . Costituzione, Diritti, Giustizia, Istituzioni, Politica, Società

Tra rievocazioni di un passato di ignominia e concreti pericoli per la democrazia.

La democrazia deve sapersi difendere dai suoi nemici: i fondamentalismi politici e religiosi, i movimenti e i partiti che si fondano sull’odio e sulla discriminazione, i rigurgiti di passate esperienze autoritarie e liberticide.

Ma una democrazia forte e matura deve anche saper distinguere.

Sceverando i riti di un passato esecrabile – ormai divenuti irrilevanti perché isolati dalla coscienza collettiva e condannati dalla storia – dai pericoli concreti che nascono da un uso subdolo dei simboli per ricreare consenso ai metodi di azione ed alla ideologia prevaricatrice di formazioni politiche nemiche delle libertà e del pluralismo.

E denunciando, al contempo, le falsità di quanti negano una fondamentale verità storica: che la nostra Costituzione sia innervata quasi in ogni sua disposizione dallo spirito dell’antifascismo.

Sono questi i temi sottesi alla vicenda giurisprudenziale riguardate la repressione del saluto fascista sulla quale la Corte di cassazione è stata chiamata a pronunciarsi a Sezioni Unite.

In attesa della motivazione della sentenza forniamo ai nostri lettori le coordinate essenziali della vicenda e pubblichiamo le note di udienza della Procura generale presso la Corte di cassazione.

Il quesito posto alle Sezioni Unite

La I Sezione della Corte di cassazione, con l’ordinanza del 6 settembre 2023, n. 38686, aveva posto alle Sezioni Unite il seguente quesito: «Se la condotta consistente nel protendere in avanti il braccio nel “saluto fascista”, evocativa della gestualità tipica del disciolto partito fascista, tenuta nel corso di una manifestazione pubblica, senza la preventiva identificazione dei partecipanti quali esponenti di un’associazione esistente che propugni gli ideali del predetto partito, integri la fattispecie di reato di cui all’art. 2 d.l. 26 aprile 1993, n. 122, convertito dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, (legge Scelba, n.d.r.) ovvero quella prevista dall’art. 5 legge 30 giugno 1952, n. 645 (legge Mancino n.d.r); se entrambe le disposizioni configurino un reato di pericolo concreto o di pericolo astratto e se le stesse siano tra loro in rapporto di specialità oppure possano concorrere».

La posizione della Procura generale

Nelle note scritte – che pubblichiamo in allegato – e nella requisitoria pronunciata nell’udienza del 18 gennaio 2024, Il Procuratore generale, rappresentato dall’Avvocato generale Pietro Gaeta, al termine di una approfondita analisi della questione svolta alla luce delle leggi Scelba e Mancino nonché della giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, ha chiesto al collegio di rispondere al quesito nei seguenti termini:

«- La condotta consistente nel protendere in avanti il braccio nel “saluto fascista”, evocativa della gestualità tipica del disciolto partito fascista, tenuta nel corso di una pubblica riunione, senza la preventiva identificazione dei partecipanti quali esponenti di un’associazione esistente che propugni gli ideali del predetto partito, integra la fattispecie di reato di cui all’art. 2 d.l. 26 aprile 1993, n. 122, convertito dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, qualora, nella situazione data, tali condotte comportino, secondo il rigoroso accertamento di fatto, un pericolo concreto ed attuale per la pacifica convivenza, in quanto possibile fonte di disordine materiale incontrollato e di reazioni violente;
– la fattispecie di cui all’art. 2, d.l. 26 aprile 1993, n. 122 configura, al pari di quella prevista dall’art. 5 legge 30 giugno 1952, n. 645 un reato di pericolo concreto;
– non sussiste un rapporto di specialità tra le due predette fattispecie».

L’informazione provvisoria sulla decisione delle Sezioni Unite

All’udienza del 18 gennaio 2024 le Sezioni Unite hanno adottato la loro decisione diramando la seguente informazione provvisoria:  «La condotta tenuta nel corso di una pubblica manifestazione consistente nella risposta alla “chiamata del presente” e nel c.d. “saluto romano”, rituali entrambi evocativi della gestualità propria del disciolto partito fascista, integra il delitto previsto dall’art. 5 della legge 20 giugno 1952, n. 645, ove, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea ad integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista, vietata dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione. A determinate condizioni può configurarsi anche il delitto previsto dall’art. 2 del decreto-legge 26 aprile 1983, convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 1993, n. 205, che vieta il compimento di manifestazioni esteriori proprie o usuali di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Tra i due delitti non sussiste rapporto di specialità e possono concorrere sia materialmente che formalmente in presenza dei presupposti di legge».

Un punto fermo e gli interrogativi aperti cui risponderà la motivazione

Dalla lettura dell’informazione provvisoria si ricava un punto fermo che riguarda la lettura dell’art. 5 della legge Scelba.

La Corte di cassazione resta infatti fedele all’orientamento interpretativo derivante dalle sentenze del giudice costituzionale riguardanti il saluto fascista e dalle plurime decisioni adottate in materia dallo stesso giudice di legittimità.

Già con la sentenza n. 74 del 1958 il giudice delle leggi aveva negato la validità di una interpretazione meramente letterale dell’art. 5 della legge Scelba ed aveva sostenuto che tale norma «si inquadra perfettamente nel sistema delle sanzioni dirette a garantire il divieto posto dalla XII disposizione transitoria e non contravviene al principio dell’art. 21, primo comma, della Costituzione» […] avendo il legislatore «compreso che la riorganizzazione del partito fascista può anche essere stimolata da manifestazioni pubbliche capaci di impressionare le folle» ed avendo voluto «colpire le manifestazioni stesse, precisamente in quanto idonee a costituire il pericolo di tale ricostituzione (…)».

Di qui l’esigenza che l’incriminazione prevista dall’art. 5 della citata legge Scelba sia sostenuta dalla idoneità ed efficacia dei mezzi usati rispetto al pericolo di ricostituzione del partito fascista al fine «di evitare, attraverso l’apologia e le manifestazioni proprie del disciolto partito, il ritorno a qualsiasi forma di regime in contrasto con i principi e l’assetto dello Stato».

Prospettiva, questa, poi integralmente ribadita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 15 del 1973.

Ciò che resta da verificare – e lumi in proposito non potranno che venire dalla motivazione – sono le “ condizioni” alle quali il saluto fascista può integrare anche gli estremi del delitto previsto dall’art. 2 del decreto-legge 26 aprile 1983, convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 1993, n. 205, che vieta il compimento di manifestazioni esteriori proprie o usuali di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

Solo allora si potrà comprendere a pieno quale sarà il futuro regime delle manifestazioni apologetiche del fascismo, e se la Corte ha accolto, e in che misura, l’impostazione della Procura generale sulla fattispecie dell’art. 2 della legge Mancino.

Ordinanza di rimessione 38686/2023

Note di udienza Avv. Generale Gaeta 18.01.2024 R.G. 16103/2023

A cura di Direzione di Questione Giustizia

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