Scusateci se ci siamo
Quindici anni. La strada. Le vie di un quartiere disperato, fra appalti e cemento (architetti mondiali e milionari-boss) ma non un solo luogo di ritrovo. Adolescenze disperate, mondo pasoliniano ma con in più i mafiosi.
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E c’è un ragazzo che si ribella. Uno dei tanti, fra scippi e pallonate, che vuole vivere ad ogni costo. Lo sfruttamento, la fe-rocia, la violenza mafiosa. E gli occhi aperti, il cuore che batte forte. Nella solitudine immensa del ghetto, il ragazzo com-batte, il ragazzo racconta. Non è facile raccontare qui. Trovare il modo di esserci, trovare le parole. Eppure lui racconta.
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Le pistole spianate, le botte, la macchina fotografica rotta in testa. Gli amici, la militanza ribelle, la resistenza. E le minacce e l’esilio, la solita valigia siciliana. E vivere lontano, sputato via dalla tua città.
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E adesso è qui, fra amici poveri, fra mura provvisoriamente liberate, fra ragazzi e ragazze che lo ascoltano, che gli vogliono bene. Ce n’è voluta, per portarlo qui. E sta già ripartendo.
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Nella città di Scidà e di Pippo Fava, nella città dei boss e dei cavalieri, tutto conti- nua ogni giorno per o contro di lui. Non si può stare in mezzo. C’è da scegliere. Noi, che la scelta l’abbiamo fatta, ora portiamo in giro la sua storia come una bandiera. Sparatele, o rimuovetela (è la stessa cosa). Oppure, dovunque siate, datele la parola.
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