Guido Papalia. Un meridionale d’altri tempi orgoglio della settentrionalissima Verona
Oggi il giudice ha 85 anni.
Nella grande sala alla periferia di Verona lo riconoscono quasi tutti. Sono cittadini maturi che lo conobbero quando di anni ne avevano trenta, quaranta, e lui era appena arrivato dalla Calabria. Per rappresentare la legge in Veneto, regione che tra la mala del Brenta, la lotta armata, il neonazismo, i primi fermenti secessionisti e una discreta evasione fiscale scopriva allora di avere qualche conto aperto con l’idea di legalità. Capelli candidi e tratti appena più marcati di una volta stringe mani, scambia sorrisi, ritrova vecchi amici o estimatori.
Lo rivedo dopo decenni sentendo che il mio rispetto nel frattempo è cresciuto. Che ci volete fare, è l’età. Eccolo, il “dottor Guido Papalia”. Ripeto tra me e me il suo nome perché so più o meno a chi e a cosa associarlo in una storia d’Italia zeppa di episodi criminali e di arroganza del potere. Un magistrato asciutto, burbero e gentile al tempo stesso, senza paure o timori reverenziali.
Vado su Wikipedia per ripescare tutte le informazioni possibili. Ma non compare. Compare invece alla voce “Papalia” il famoso clan di Buccinasco e Corsico benvoluto, pare, proprio nel mondo della giustizia e delle istituzioni. Raccolgo rapidamente notizie sulla rete. Inchieste sui politici, specie all’epoca di Tangentopoli: chiusero la carriera per colpa sua ministri, sottosegretari, un sindaco, presidenti della Cassa di Risparmio, di autostrade e di aeroporti. Ma non gli si poterono rimproverare né ambizioni personali né ambizioni politiche, anche se ha ammesso che “esagerammo con gli avvisi di garanzia”, trasformatisi da atti di garanzia in sentenze vere e proprie.
Fu nettissima la sua posizione sui magistrati in parlamento, ai quali sarebbe giusto vietare “per sempre” (lo disse all’ “Arena”) il ritorno alle funzioni giudiziarie.
Andò sui giornali per avere fatto condannare a tre anni Lele Mora per la cocaina procurata a Patty Pravo, Maradona e alcuni giocatori del Verona. Ma gli insulti più villani gi vennero dai leghisti, da lui perseguiti quando sia pure macchiettisticamente adombrarono la minaccia armata. Mario Borghezio in un comizio gli diede della “faccia di m….”, “come quella di Garibaldi”.
Insomma, se centinaia di persone se lo guardano con gratitudine una ragione c’è.
Eppure Guido Papalia non è venuto nella sala per celebrare i propri meriti. La giornalista che modera il dibattito sull’educazione alla legalità ci prova a rinverdirli davanti al pubblico, anche attualizzandoli, come quando ricorda lo scioglimento da lui ottenuto del Fronte nazionale neonazista di Franco Freda.
“Non sono venuto a parlare di me”, replica, “ma di un libro”. E così parla di legalità. E si appassiona spiegando che idea ne abbia lui. Non un tabù a cui inchinarsi sempre. Ma qualcosa che deve fare i conti con la propria coscienza. La quale è spesso costretta dalla storia a entrare in tensione con la legge che violi la Costituzione. Per questo si schiera con la “collega” Iolanda Apostolico, la magistrata catanese che si è rifiutata di convalidare il trattenimento di migranti nel centro richiedenti asilo di Pozzallo.
Il magistrato burbero e irreprensibile, che mai si è fatto sfiorare dall’idea di candidarsi alle elezioni, che ha inghiottito con tranquillità minacce mafiose e minacce politiche, spiega che l’orizzonte della giustizia include anche l’obiezione di coscienza. Si dichiara d’accordo sul fatto che prima di tutto la legalità esprima un sentimento, perché “prima della norma scritta ci sono i valori che ci portiamo dentro”.
Il pubblico applaude, se lo guarda con riconoscenza, quasi con tenerezza civile, come a dire “guarda chi abbiamo avuto per tanti anni a Verona”. Un meridionale d’altri tempi diventato orgoglio della città del Nord che difende le sue leggi ma non chiude le porte al futuro. Un giudice e la sua gente, vien da dire.
Ed è un bello spettacolo, ve lo garantisco.
Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 15/01/2024
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