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Autonomia regionale, la voce del Sud

Paolo Siani il . Costituzione, Diritti, Economia, Giovani, Istituzioni, Politica, Salute, Società

Domani 16 gennaio arriverà in aula al Senato il ddl Calderoli sull’autonomia differenziata.

La norma fortemente voluta da una forza di governo, la Lega, che ha il 66% dei parlamentari eletti al nord e che il consiglio dei Ministri ha approvato all’unanimità il 2 febbraio 2023, ha già ricevuto il voto favorevole dalla conferenza delle Regioni e della commissione parlamentare Affari costituzionali del Senato.

La riforma prevede il decentramento di diverse competenze oggi attribuite allo Stato e in particolare sanità, lavoro, ambiente e istruzione.

Lo Stato concede così alle regioni non solo la possibilità di legiferare autonomamente su una determinata questione, cosa che già avviene adesso, ma anche di trattenere, e questa è la novità, il proprio gettito fiscale che non sarebbe più distribuito su base nazionale a seconda delle necessità collettive come accade adesso.

Per evitare un eccessivo divario tra un territorio e un altro la legge prevede che vengano stabiliti i livelli essenziali delle prestazioni (Lep), cioè quei requisiti essenziali in ambito di diritti civili e sociali sulla base dei quali si stabiliscono i finanziamenti a ogni regione.

Definire i Lep vuol dire stabilire quali servizi devono essere offerti in tutto il paese per garantire le stesse prestazioni a Milano come a Napoli e garantire quindi le risorse sufficienti per poterle erogare.

In concreto, significa che se lo Stato definisce un livello essenziale delle prestazioni, poi deve anche garantire a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni le risorse sufficienti per poterli erogare anche a coloro che per una più bassa capacità fiscale dispongono di minori risorse economiche.

Altrimenti solo i Comuni con maggiori risorse proprie potrebbero essere in grado di garantire i servizi previsti dai Lep, entrando di fatto in contraddizione con il dettato costituzionale. Va segnalato che il PIL pro capite degli abitanti del nord ovest è di 40,900 euro, quello dei cittadini del sud di 21,700 euro.

L’ufficio parlamentare di bilancio della Camera ha evidenziato che il gettito fiscale dei principali tributi raggiunge oltre 5.000 euro per abitante in Lombardia, Lazio, Veneto ed Emilia Romagna e circa 2.200 in Calabria e non raggiunge 3.000 euro in nessuna regione del sud del Paese.

La definizione, ma soprattutto il finanziamento dei Lep quindi rappresenta un passaggio decisivo per il nostro paese e per i cittadini, prima che venga attuata l’Autonomia differenziata.

Il Comitato per la definizione dei Lep (Clep), istituito dal governo, ha dichiarato che “i LEP costituiscono un parametro che deve guidare la pubblica amministrazione nella erogazione della prestazione. La pubblica amministrazione, grazie alla quantificazione finanziaria correlata al LEP, è posta nelle condizioni di potere erogare la prestazione nella qualità e nella quantità tale da rispettare il criterio della uniformità sull’intero territorio nazionale”.

Inoltre il comitato ritiene che l’efficacia e l’efficienza delle pubbliche amministrazioni in Italia non può considerarsi omogenea per cui si potrà raggiungere uniformità nella erogazione delle prestazioni solamente in presenza di pubbliche amministrazioni che presentino lo stesso grado di sviluppo organizzativo e quindi un equivalente tasso di efficacia ed efficienza.

Infine la giurisprudenza costituzionale ha chiarito (recentemente, ad esempio, con la sentenza n. 220 del 2021) che i Lep indicano la soglia di spesa costituzionalmente necessaria per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale.

L’ufficio parlamentare di bilancio a titolo esemplificativo ha sviluppato un calcolo di Lep riferito all’istruzione, in particolare  all’introduzione del tempo pieno nelle scuole primarie, che al momento presenta un’offerta fortemente differenziata tra le Regioni. Fissare un Lep per il tempo pieno vuol dire non solo migliorare il grado di istruzione dei nostri ragazzi e offrire più opportunità soprattutto a chi vive nelle periferie, ma avrà anche effetti positivi sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro, sulla promozione di uguali opportunità e sulla mobilità sociale.

La percentuale di classi a tempo pieno nella scuola primaria statale nelle diverse Regioni nell’anno scolastico 2018-19, l’ultimo prima della pandemia, mostra una variabilità molto elevata, dal 54% del Lazio al 7% del Molise.

Nella maggior parte delle Regioni del Mezzogiorno si rilevano percentuali di classi a tempo pieno inferiori al 30% (fanno eccezione la Basilicata, con il 52%, e la Sardegna, con il 36%). Se si volesse estendere il tempo pieno a tutte le classi, ipotizzando un numero di insegnanti per classe pari all’organico previsto per il relativo tempo scuola (24, 27, 30 o 40 ore settimanali), si potrebbe stimare in via del tutto preliminare, afferma l’UPB, una spesa aggiuntiva per gli insegnanti pari a circa il 30% (non considerando gli insegnanti di inglese e religione e quelli di sostegno, di cui non si è potuto tenere conto per mancata disponibilità dei dati).

L’aumento della spesa del 30% appare al momento proibitiva, ed è anche sottostimata perché non tiene conto delle spese per la mensa e per i riscaldamenti che sono a carico dei Comuni.

Come voteranno in aula i parlamentari delle forze di governo eletti al sud? Schiacceranno il tasto verde, ubbidendo agli ordini dei partiti o sapranno rappresentare le aspettative dei cittadini del sud che li hanno eletti?

E i parlamentari eletti nelle regioni del sud in qualsiasi partito politico, di opposizione o di governo, riusciranno a far sentire la voce dei cittadini del sud che chiedono le stesse opportunità di quelli del nord?

Fonte: La Repubblica/Napoli

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