Tra una nuova “Strategia della tensione” e lo Sturmtruppen di Bonvi (evocato da Gian Carlo Caselli su questo giornale) il confine può essere più labile del previsto ed i democratici rischiano di non essere pronti.
Considerato che la gestione del potere non è mai un “pranzo di gala” ma piuttosto “sangue e merda” e che sarebbe davvero puerile pensare che gli “eredi-al-quadrato” (del Duce e di Berlusconi) non stiano facendo sul serio con il piano di “rinascita” nazionale, in sintonia con tutte le altre destre occidentali e con i desiderata del turbo capitalismo globale, forse andrebbero connessi e meglio osservati alcuni fatti che potrebbero essere la spia di un pericolo incombente. Un tipo di pericolo al quale i nati ed i cresciuti dopo il 1990 non sono abituati: disordinare per meglio ordinare.
Quali sono i fatti?
La tensione crescente nelle carceri. Una tensione alimentata da spinte distinte, ma che potrebbero non essere così distanti: ci sono i detenuti insofferenti che si ribellano (ancora recentemente nel carcere di Santa Maria Capua Vetere), gli agenti ancor più insofferenti che a volte menano (e finiscono sotto inchiesta per abusi e torture), c’è chi incredibilmente riesce a fuggire da un carcere di massima sicurezza, facendo perdere le proprie tracce (Marco Raduano, boss della mafia garganica, ormai quasi un anno fa) e c’è il governo che manda segnali: la nota vicinanza del sottosegretario Delmastro a certi ambienti della penitenziaria (con tanto di botti a capodanno), la volontà del governo di abolire il reato di tortura, la posizione dura del medesimo governo sul 41 bis.
Le carceri sono sempre state un crogiolo decisivo di relazioni ed indicibili accordi e possono ancora esserlo, bisogna soltanto avere la capacità di mandare la pentola in ebollizione, altrimenti gli ingredienti non si combinano.
La inaudita decisione di Chiara Colosimo, presidente della Commissione antimafia (nonostante quell’abbraccio insopportabile con l’ex Nar Ciavardini), di escludere dall’oggetto di investigazione della Commissione medesima proprio carceri e collaboratori di giustizia, pur avendo istituito ben dieci Comitati tematici che, come direbbe un vecchio ed esperto giornalista, si occupano di tutto dalla mafia caucasica ai gatti neri. Una decisione che impedirà ai parlamentati, tra l’altro, di conoscere e valutare le attività portate avanti nelle carceri dai Servizi di Informazione per la Sicurezza della Repubblica (i Servizi Segreti, insomma), anche relazionandosi con l’altra istituzione parlamentare ad hoc costituita, ovvero il Copasir. Una decisione peraltro in sintonia con quella di varare il più poderoso tentativo di revisionismo storico in funzione liberatoria degli “eredi-al-quadrato”, a partire dalla strage di Via D’Amelio.
Una frase di Giletti intervistato da Gente: “Nel momento in cui affrontavo un certo tipo di problemi, davvero delicatissimi, la libertà è venuta meno. Non siamo pronti per aprire certi cassetti. Forse Cairo non poteva dirmela, la verità.” Queste parole mi ricordano che l’incarcerazione dell’ex senatore D’Alì, l’arresto e la morte di Messina Denaro, le esternazioni di Salvatore Baiardo, l’oscuramento di Giletti, il silenzio dei Graviano, non sono fatti sepolti con l’anno passato, ma fatti vivi, vegeti e portatori di conseguenze, che vanno molto al di là dell’arresto di qualche meschina fiancheggiatrice di un boss malato ed emarginato.
La compressione, minacciata o agita, da un lato dell’indipendenza e della efficacia operativa della magistratura (dalla separazione delle carriere, ai limiti alle intercettazioni, fino ai vuoti di organico che in alcuni Tribunali diventano voragini, come denunciato ancora recentemente dal Procuratore di Reggio Calabria Bombardieri), dall’altro della libertà di informare (dall’emendamento Costa, alla pdl “diffamazione”, fino al tentativo di legalizzare lo spionaggio ai danni dei giornalisti per conoscerne le fonti e di “certificare” le notizie), che di fatto contribuisce ad inibire i due fondamentali “controllori” del potere.
L’assalto alla Cgil del 9 ottobre 2021, per il quale sono stati condannati (tra gli strepiti dei camerati accorsi a sostegno dei loro ducetti) in primo grado Roberto Fiore, Giuliano Castellino ed altri, che ha avuto tutto il sapore di un rito di passaggio, di un preludio, ma anche di un orribile casting per accedere al palco-oscenico dell’X Factor-politico. Sono seguiti poi “casting” minori attorno (e dentro!) a certe Università.
Potrei continuare, ma (per ora) mi fermo qua. Una miscela potenzialmente esplosiva oppure un mix di “sgrammaticature” politiche? Conviene vigilare, perché la distrazione genera mostri: anche Gladio, pur nata con i migliori intenti ed i più alti placet, divenne presto ben altro. A meno di accreditare il timore di uno sbarco sovietico sulle coste di Mazara del Vallo, quando ormai i Righeira cantavano Vamos a la playa… Oh oh oh oh.
Il Fatto Quotidiano, il blog di Davide Mattiello
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Sparo al Capodanno, mi chiedo di che natura siano i rapporti di Delmastro con la penitenziaria
Carceri Piemonte, chi c’è dietro all’improvvisa rimozione del commissario Roberto Streva?
Tra una nuova “Strategia della tensione” e lo Sturmtruppen di Bonvi (evocato da Gian Carlo Caselli su questo giornale) il confine può essere più labile del previsto ed i democratici rischiano di non essere pronti.
Considerato che la gestione del potere non è mai un “pranzo di gala” ma piuttosto “sangue e merda” e che sarebbe davvero puerile pensare che gli “eredi-al-quadrato” (del Duce e di Berlusconi) non stiano facendo sul serio con il piano di “rinascita” nazionale, in sintonia con tutte le altre destre occidentali e con i desiderata del turbo capitalismo globale, forse andrebbero connessi e meglio osservati alcuni fatti che potrebbero essere la spia di un pericolo incombente. Un tipo di pericolo al quale i nati ed i cresciuti dopo il 1990 non sono abituati: disordinare per meglio ordinare.
Quali sono i fatti?
La tensione crescente nelle carceri. Una tensione alimentata da spinte distinte, ma che potrebbero non essere così distanti: ci sono i detenuti insofferenti che si ribellano (ancora recentemente nel carcere di Santa Maria Capua Vetere), gli agenti ancor più insofferenti che a volte menano (e finiscono sotto inchiesta per abusi e torture), c’è chi incredibilmente riesce a fuggire da un carcere di massima sicurezza, facendo perdere le proprie tracce (Marco Raduano, boss della mafia garganica, ormai quasi un anno fa) e c’è il governo che manda segnali: la nota vicinanza del sottosegretario Delmastro a certi ambienti della penitenziaria (con tanto di botti a capodanno), la volontà del governo di abolire il reato di tortura, la posizione dura del medesimo governo sul 41 bis.
Le carceri sono sempre state un crogiolo decisivo di relazioni ed indicibili accordi e possono ancora esserlo, bisogna soltanto avere la capacità di mandare la pentola in ebollizione, altrimenti gli ingredienti non si combinano.
La inaudita decisione di Chiara Colosimo, presidente della Commissione antimafia (nonostante quell’abbraccio insopportabile con l’ex Nar Ciavardini), di escludere dall’oggetto di investigazione della Commissione medesima proprio carceri e collaboratori di giustizia, pur avendo istituito ben dieci Comitati tematici che, come direbbe un vecchio ed esperto giornalista, si occupano di tutto dalla mafia caucasica ai gatti neri. Una decisione che impedirà ai parlamentati, tra l’altro, di conoscere e valutare le attività portate avanti nelle carceri dai Servizi di Informazione per la Sicurezza della Repubblica (i Servizi Segreti, insomma), anche relazionandosi con l’altra istituzione parlamentare ad hoc costituita, ovvero il Copasir. Una decisione peraltro in sintonia con quella di varare il più poderoso tentativo di revisionismo storico in funzione liberatoria degli “eredi-al-quadrato”, a partire dalla strage di Via D’Amelio.
Una frase di Giletti intervistato da Gente: “Nel momento in cui affrontavo un certo tipo di problemi, davvero delicatissimi, la libertà è venuta meno. Non siamo pronti per aprire certi cassetti. Forse Cairo non poteva dirmela, la verità.” Queste parole mi ricordano che l’incarcerazione dell’ex senatore D’Alì, l’arresto e la morte di Messina Denaro, le esternazioni di Salvatore Baiardo, l’oscuramento di Giletti, il silenzio dei Graviano, non sono fatti sepolti con l’anno passato, ma fatti vivi, vegeti e portatori di conseguenze, che vanno molto al di là dell’arresto di qualche meschina fiancheggiatrice di un boss malato ed emarginato.
La compressione, minacciata o agita, da un lato dell’indipendenza e della efficacia operativa della magistratura (dalla separazione delle carriere, ai limiti alle intercettazioni, fino ai vuoti di organico che in alcuni Tribunali diventano voragini, come denunciato ancora recentemente dal Procuratore di Reggio Calabria Bombardieri), dall’altro della libertà di informare (dall’emendamento Costa, alla pdl “diffamazione”, fino al tentativo di legalizzare lo spionaggio ai danni dei giornalisti per conoscerne le fonti e di “certificare” le notizie), che di fatto contribuisce ad inibire i due fondamentali “controllori” del potere.
L’assalto alla Cgil del 9 ottobre 2021, per il quale sono stati condannati (tra gli strepiti dei camerati accorsi a sostegno dei loro ducetti) in primo grado Roberto Fiore, Giuliano Castellino ed altri, che ha avuto tutto il sapore di un rito di passaggio, di un preludio, ma anche di un orribile casting per accedere al palco-oscenico dell’X Factor-politico. Sono seguiti poi “casting” minori attorno (e dentro!) a certe Università.
Potrei continuare, ma (per ora) mi fermo qua. Una miscela potenzialmente esplosiva oppure un mix di “sgrammaticature” politiche? Conviene vigilare, perché la distrazione genera mostri: anche Gladio, pur nata con i migliori intenti ed i più alti placet, divenne presto ben altro. A meno di accreditare il timore di uno sbarco sovietico sulle coste di Mazara del Vallo, quando ormai i Righeira cantavano Vamos a la playa… Oh oh oh oh.
Il Fatto Quotidiano, il blog di Davide Mattiello
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