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Mio nonno Pippo Fava, ucciso quarant’anni fa a Catania dalla mafia

Ossigeno per l'Informazione il . Cultura, Diritti, Informazione, Mafie, Memoria, Sicilia

In occasione del quarantesimo anniversario dall’uccisione mafiosa di Pippo Fava, Ossigeno per l’informazione pubblica oggi un ricordo della nipote Francesca Andreozzi, presidente della Fondazione Giuseppe Fava, in esclusiva un monologo tratto dal dramma “La Violenza” (1970), un approfondimento sul fondo documentale del cronista e intellettuale. 

Quarant’anni fa, la sera del 5 gennaio 1984, a Catania, nei pressi del Teatro Stabile, il giornalista Pippo Fava fu ucciso da due sicari mafiosi che gli spararono alle spalle. La loro responsabilità è stata confermata definitivamente dalla Cassazione, nel 2003.

Il giornalista era andato al Teatro a prendere la sua nipotina, Francesca Andreozzi di 5 anni, che aveva partecipato alle prove di una rappresentazione. Come racconta oggi lei stessa a Ossigeno, nei mesi precedenti era stata proposta dal nonno “come giovanissima attrice, per interpretare il ruolo di Ninì nella commedia di Pirandello Pensaci, Giacomino!“.

Oggi Francesca Andreozzi presiede la Fondazione Giuseppe Fava, che coltiva e tramanda la memoria del giornalista, ricordando il suo profilo umano e professionale. Pippo Fava, oltre a essere un coraggioso e illustre giornalista, infatti, fu anche scrittore, drammaturgo e artista di valore.

Quando fu ucciso aveva 59 anni. Dal 1982 era stato il direttore del mensile I Siciliani, un giornale autofinanziato e fondato da lui stesso, dopo l’esperienza scioccante di direttore del quotidiano Giornale del Sud, dal quale era stato licenziato per contrasti con l’editore. Contrasti che gli costarono anche avvertimenti e minacce. Riguardavano le collusioni che legavano imprenditori, politici e mafiosi a Catania, che Pippo Fava si era impegnato a denunciare quando ancora tutti negavano l’esistenza di collegamenti e collusioni fra la criminalità e l’imprenditoria etnea e la Cosa Nostra di Palermo.

A quarant’anni dalla sua uccisione, il giornalista verrà ricordato a Catania con iniziative realizzate a cura della Fondazione Giuseppe Fava, de “I Siciliani Giovani” e di altre associazioni locali. Al giornalista Francesco La Licata sarà attribuito il Premio Fava 2024. Ossigeno per l’informazione in occasione di questo anniversario arricchisce la documentazione presente sul portale online dedicato ai trenta giornalisti italiani uccisi “Cercavano la verità” (www.giornalistiuccisi.it), dove già si può leggere la storia del giornalista e scrittore e del suo impegno per la giustizia e la legalità, insieme a contributi esterni e al lungo iter processuale per accertare le responsabilità della sua morte.

In collaborazione con la Fondazione a lui dedicata, Ossigeno pubblica un approfondimento sul fondo documentale Fava e in esclusiva un brano del dramma “La violenza” (1970), nel quale il protagonista, un sindacalista ucciso evocato in scena come un deus ex machina, pronuncia una delle più celebri frasi di Fava: “Ma se non si è disposti a lottare, a che serve essere vivi?”: https://www.giornalistiuccisi.it/la-violenza-online-un-brano-dal-dramma-di-pippo-fava-1970/

La nipote

Questa opera, come tutti gli scritti e le opere grafiche di Giuseppe Fava, racconta a Ossigeno Francesca Andreozzi, è caratterizzata da una “forte tensione etica e da un’indagine costante dell’animo umano, oltre che da uno spiccato impegno civile”. L’archivio, sottolinea, restituisce con efficacia le strette interconnessioni esistenti tra tutte le attività culturali alle quali si è accostato Fava.

Francesca Andreozzi non aveva ancora sei anni quando suo nonno fu ucciso. Nel suggerire ai lettori un brano significativo della sua produzione culturale scorre nella mente e nel cuore i suoi ricordi di infanzia e dice a Ossigeno: “Non so dire quali ricordi siano effettivamente i miei e quanti invece siano il frutto dei racconti dei miei familiari e delle fotografie che ci ritraggono insieme”.

Fava trasmise la passione per il teatro alla piccola Francesca proponendola allo Stabile, dove era da poco andata in scena la sua opera Ultima Violenza. Il Teatro “per lui era casa”, racconta. Ricorda che grazie all’incoraggiamento del nonno riuscì ad ambientarsi “in quel contesto sconosciuto e allo stesso tempo affascinante, nonostante la mia timidezza”.

“Ricordo – prosegue – le prove interminabili e lui che mi accompagnava, quando non dovevo stare sul palco, alla scoperta dei segreti e della magia del teatro, dalle quinte, al sipario, ai costumi di scena, alla platea vuota, che si sarebbe riempita dopo pochi giorni. Che siano ricordi reali o ricostruzioni elaborate dalla mia fantasia, li custodisco per quello che sono: immagini, sguardi, risate, frammenti di storie, di conversazioni tra un nonno e la sua nipotina”.

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