Il 2023 dei diritti umani
Se dovessimo valutare il 2023 da quanto accaduto solo a dicembre, dovremmo dire che non c’è alcuna speranza per il futuro e che il mondo intero ha dimenticato il significato della parola umanità. In questi 12 mesi i conflitti sono aumentati, così come la discriminazione nei confronti delle donne e delle persone migranti. Gli spazi di libertà, di protesta, di manifestazione del proprio pensiero si sono ristretti e alcune importanti conquiste nel campo dei diritti umani sono state messe a rischio.
Siamo giunti alla vigilia di Natale con oltre 10mila bambini e oltre 100 giornalisti uccisi a Gaza dall’inizio delle violenze del 7 ottobre in Israele e Territori palestinesi occupati.
Abbiamo pianto per Samira Sabzian, la sposa bambina detenuta in Iran per circa dieci anni, impiccata per aver ucciso suo marito nel 2013, quando aveva solamente 19 anni. La giovane, costretta a un matrimonio forzato, aveva subito anni di violenza domestica. Viviamo ore di tensione perché Ahmadreza Djalali, lo scienziato di nazionalità svedese e iraniana, che ha contribuito a fondare un importante centro di ricerca a Novara, sottoposto a detenzione arbitraria in Iran dal 2016, rischia fortemente di essere messo a morte per ritorsione.
Abbiamo denunciato le brutali rappresaglie nei confronti delle persone che vivono sotto occupazione russa, se cercano di continuare a seguire i programmi scolastici ucraini. Abbiamo denunciato crimini di guerra in Myanmar, in Burkina Faso e in Etiopia.
La Cop28 di Dubai si è conclusa dopo 14 giorni con un accordo che riconosce per la prima volta la necessità di una transizione dai combustibili fossili. Tuttavia, l’accordo raggiunto non chiarisce specificamente come questo verrà reso possibile. Stabilisce scadenze e obiettivi per la riduzione delle emissioni, ma non specifica come, se non in termini vaghi. E il prossimo appuntamento sarà in Azerbaijan, un paese autoritario che vive di proventi dal petrolio.
Anche nel 2023 il numero dei femminicidi ha superato il centinaio in Italia. Se ancora oggi un uomo ritiene di poter considerare una donna una sua proprietà, allora possiamo affermare che il lungo percorso verso l’equità in Italia ha ancora un lungo tratto da percorrere.
Abbiamo assistito alla modifica del diritto di famiglia nel 1975, all’abrogazione del delitto d’onore e del matrimonio riparatore nel 1981, al riconoscimento dello stupro come delitto contro la persona anziché contro la moralità pubblica nel 1996, all’introduzione del reato di stalking nel 2009, ma oggi in Italia una donna può ancora essere uccisa perché ha detto no, perché ha avuto la forza e la volontà di autodeterminarsi e di sentirsi indipendente rispetto all’uomo che è al suo fianco.
Lavorare per difendere i diritti umani ovunque essi siano violati non è un lavoro facile, è qualcosa che ti entra nelle vene, è qualcosa che non riesci a lasciare in ufficio o che abbandoni quando spegni il pc.
È per questo che, anche quando tutto sembra andare peggio, noi di Amnesty International non ci siamo mai arresi e abbiamo continuato a lottare per ottenere giustizia, liberazione dal carcere di prigionieri di coscienza, un uso più equo della tecnologia.
Ecco solo alcune delle vittorie ottenute quest’anno.
Dopo anni di lavoro, il 3 aprile 2023 è iniziato, presso la Corte speciale per i crimini di guerra dell’Aja, il processo nei confronti dell’ex presidente Hashim Thaci e di altri tre ex comandanti dell’Esercito di liberazione del Kosovo, per crimini di guerra e contro l’umanità commessi durante e subito dopo la guerra del Kosovo del 1998-1999.
Nonostante le numerose violazioni dei diritti umani ancora da risolvere, il 24 maggio il parlamento del Bahrein ha abolito l’articolo 353 del codice penale che esonerava dalla condanna gli stupratori che avessero sposato la donna sopravvissuta alla violenza.
Il 19 luglio il presidente Abdelfattah al-Sisi ha graziato Patrick Zaki, che il giorno prima era stato condannato a tre anni di carcere per “diffusione di notizie false”, e l’avvocato per i diritti umani Mohamed al-Baker, in carcere dal 2019 e che alla fine del 2021 era stato condannato a quattro anni di carcere per lo stesso “reato”. Possiamo ricordarlo come un giorno di festa nazionale perché, dopo tre anni di campagna, abbiamo finalmente potuto abbracciare Patrick nella sua amata Bologna.
Il 6 settembre la Corte suprema federale in Messico ha stabilito che “il sistema legale che criminalizza l’aborto nel codice penale federale è incostituzionale in quanto viola il diritto delle persone a prendere decisioni autonome sulla gestazione”.
Il 1° novembre la Prima commissione dell’Assemblea generale ha approvato con 164 voti a favore la risoluzione L56 presentata dall’Austria in favore di una normativa internazionale sui sistemi d’arma autonomi. La risoluzione era stata sollecitata dalla campagna “Stop Killer Robots”, di cui fa parte anche Amnesty International.
Quest’anno sta volgendo al termine, ma noi abbiamo ancora tanto lavoro da fare e non possiamo certo fermarci qui. Il prossimo mese di febbraio sarà decisivo per Julian Assange; riportarlo casa è una questione di giustizia universale perché il giornalismo non è un reato.
Non ci fermeremo fino a quando non otterremo il cessate il fuoco a Gaza affinché la parola giustizia abbia ancora un valore universale.
Continueremo a fare campagne affinché tutte le donne possano essere libere di scegliere come vestirsi, quando sposarsi, quando avere figli, fino a quando non saranno libere di scegliere di essere quello che desiderano.
La libertà di espressione, di protesta, di riunione è sotto attacco e noi abbiamo bisogno di nuovi e vecchi compagni e compagne di viaggio per ricordare che questi sono diritti fondamentali sui quali non si può arretrare.
La dichiarazione universale dei diritti umani, che quest’anno ha compiuto 75 anni, ci ha insegnato che i diritti umani sono inalienabili e che spettano, senza distinzione alcuna, a ogni persona in ragione della sua condizione umana. Sono universali e fondamentali, ossia essenziali alla dignità, alla sopravvivenza e allo sviluppo. I diritti umani sono indivisibili e interdipendenti ed è con questo pensiero che ci prepariamo ad affrontare un 2024 ricco di sfide per chi come noi crede che non possano esistere doppi standard.
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