Le “prigioni” per gli stranieri “irregolari”
Alcuni giorni fa, il Ministro dell’Interno, ha dichiarato, con evidente soddisfazione, che in Tunisia quest’anno sono stati bloccati circa 84mila migranti (dato fornito dalle autorità tunisine), tra quelli riportati a terra e persone fermate prima di imbarcarsi, precisando che “nel 2024 contiamo di rafforzare questa collaborazione sul versante dei rimpatri volontari assistiti aiutando Tunisia e Libia a intercettare i migranti nel momento dell’ingresso nel loro territorio nazionale” (cfr. 9Colonne del 19 dicembre scorso).
Tutti i migranti “bloccati” in questi due Paesi sono finiti nei centri di detenzione (vere prigioni), in condizioni di assoluta eterogeneità e promiscuità, dove non si sa bene per quanti mesi vi resteranno, sotto la vigilanza di uomini senza scrupoli come è stato evidenziato in diverse circostanze negli anni passati anche da informative di esperti italiani dell’immigrazione presenti nell’area.
Il ministro Piantedosi ha anche fatto cenno alla possibilità di rafforzare la collaborazione con Tunisia e Libia sul “versante dei rimpatri volontari assistiti”, progetto che “potrebbe fruire di finanziamenti europei e dei contributi delle organizzazioni umanitaria internazionali”.
Insomma, non passa giorno che non si pensi a qualche iniziativa per cercare di bloccare, attenuare i flussi migratori provenienti dal Continente africano sempre più interessato da povertà, guerre, rivolte e persecuzioni.
In realtà, in Italia e in ambito UE, la misura del Ritorno volontario assistito (Rva) è finanziata dal Fondo europeo per i rimpatri ed è la possibilità che viene offerta ai cittadini dei paesi terzi presenti nei paesi UE di ricevere aiuto per ritornare in modo volontario e consapevole nel loro paese di origine in condizioni di sicurezza e con un’assistenza adeguata.
In Italia la materia è disciplinata dalla Legge 129/2011 e dalla direttiva UE Rimpatri 2008 e successive integrazioni e non risulta che nei due Paesi sopraindicati ci sia una normativa nazionale che preveda il rimpatrio volontario assistito.
In Italia, nel 2023, sono stati effettuati poco più di 700 rimpatri volontari assistiti con il picco di 1.036 nel 2013 ed è sicuramente una delle misure che andrebbero incentivate e promosse in alternativa al trattenimento in un Cpr, diritto riconosciuto agli stranieri irregolari rintracciati dalle forze di polizia a meno che ci sia il rischio di fuga (secondo la legislazione sussiste quando lo straniero non è in grado di esibire un passaporto o altro documento equipollente), e richiedere che, in luogo del trattenimento, gli sia dato un termine per lasciare volontariamente l’Italia (periodo che varia tra i 7 e i 30 giorni).
Ho forti perplessità che progetti di rimpatrio volontario assistito sul modello italiano possano realizzarsi in Libia e Tunisia che hanno oltretutto gravi problemi socio-economici e di instabilità,
Si pensi, ad esempio, al previsto accompagnamento alla partenza dei destinatari ammissibili alla misura attraverso counselling da parte di personale specializzato, ai servizi di informazione, mediazione culturale e, ove opportuno, di supporto psicologico, alla definizione del piano individuale di reintegrazione per ciascuna persona/famiglia rimpatriata con la specifica assistenza necessaria alla sua realizzazione.
Senza contare l’assistenza alla fase di pre-partenza, al viaggio di ritorno, l’erogazione di un contributo di prima sistemazione al momento della partenza (in Italia è di alcune centinaia di euro), il monitoraggio ex post della reintegrazione per valutare l’esito del percorso. Tutte attività che, allo stato, non sembrano praticabili nei due Paesi suindicati.
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