La legge bavaglio italiana è in aperto contrasto con gli atti Ue. Tutti i dettagli di una norma sbagliata
Le nuove restrizioni alla libertà di stampa che ostacolano la trasmissione di informazioni di interesse pubblico riguardanti la cronaca giudiziaria e che s’inseriscono in un quadro in cui la stampa in Italia è da tempo sotto attacco, tra sanzioni detentive e pecuniarie, intimidazioni e querele temerarie, sono in aperto contrasto non solo con gli atti Ue pure invocati come base per il nuovo intervento legislativo, ma anche con il diritto internazionale e, in particolare, con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Ci riferiamo, da ultimo, all’emendamento al Dlgs n. 188/2021 con il quale, attraverso l’introduzione dell’articolo 3-bis sarà modificato l’articolo 114 del codice di procedura penale, prevedendo, “nel rispetto dell’articolo 21 della Costituzione e in attuazione dei principi e diritti sanciti dagli articoli 24 e 27 della Costituzione, il divieto di pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare, in coerenza con quanto disposto dagli articoli 3 e 4 della direttiva (UE) 2016/343” sul rafforzamento della presunzione di innocenza e sul diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali.
Prima di passare ad analizzare il contrasto di questa norma con le regole internazionali in materia di libertà di stampa, garantita con una protezione rafforzata nell’ordinamento internazionale, si può subito osservare che la direttiva Ue richiamata nell’emendamento non si occupa affatto di limitare le pubblicazioni di atti di indagine.
L’articolo 3, infatti, si limita a riconoscere agli indagati e agli imputati la presunzione d’innocenza fino a quando non sia stata legalmente provata la colpevolezza e l’articolo 4, pure richiamato come base dell’emendamento, afferma “che le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e che le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza” non devono presentare una persona come colpevole.
Tali disposizioni, quindi, in nulla cambiano le regole già esistenti in Italia sulla presunzione di innocenza (incluso il Testo unico sui doveri dei giornalisti) e certo non costituiscono la base giuridica per limitare la libertà di stampa. Ma c’è di più perché l’articolo 4, par. 3 della stessa direttiva dispone che l’obbligo di non presentare indagati o imputati come colpevoli “non impedisce alle autorità pubbliche di divulgare informazioni sui procedimenti penali, se ciò è necessario per motivi connessi all’indagine penale o per l’interesse pubblico” e il considerando n. 19 precisa che gli Stati devono fare salva la libertà di stampa e dei media.
Nessun obbligo, quindi, di vietare la pubblicazione degli atti di indagine deriva dal diritto Ue.
Qualche tentativo di limitare la stampa attraverso la direttiva sulla presunzione d’innocenza era arrivato da alcuni eurodeputati che avevano chiesto l’inserimento di un divieto di divulgazione di “informazioni concernenti procedimenti penali in corso che potrebbero andare contro il principio di presunzione di innocenza, ivi inclusi i colloqui e le comunicazioni pubblicate attraverso o in concomitanza con i mezzi di comunicazione nonché le fughe di informazioni alla stampa che possano creare pregiudizio o preconcetti contro l’indagato o imputato prima della condanna definitiva in tribunale”.
Tale emendamento, però, non è stato accolto: un’ulteriore prova che non era condivisa alcuna posizione che potesse condurre a una limitazione della libertà di stampa. Pertanto, l’unico richiamo nella direttiva è rimasto quello alla salvaguardia della libertà di stampa che, d’altra parte, si inserisce in una serie di interventi dell’Unione – dallo European Press Freedom Act alla direttiva contro le querele temerarie – volti a rafforzare il diritto alla libertà di stampa.
C’è poi un’ulteriore violazione che si configurerà con l’entrata in vigore della norma-bavaglio, ossia quella dell’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che assicura la libertà di espressione e quindi di stampa che, nel nostro ordinamento, ha rango sub-costituzionale in forza dell’articolo 117 della Costituzione.
In diverse occasioni la Corte di Strasburgo, a fronte di una condanna da parte dei tribunali nazionali di un giornalista che aveva pubblicato un articolo sulle indagini nei confronti di un medico, impegnato in politica e indagato per molestie sessuali, articolo che conteneva stralci di atti istruttori, ha ritenuto che la condanna del giornalista fosse contraria alla Convenzione e che né le preoccupazioni legate alla protezione delle inchieste, né quelle collegate alla tutela della reputazione altrui possono prevalere “sull’interesse della collettività a ricevere informazioni su indagini penali che hanno ad oggetto politici” (Laranjeira Marques Da Silva).
In un’altra occasione, la Corte, pur partendo, come d’uso, dal principio che esistono doveri e responsabilità dei giornalisti e che gli Stati devono assicurare il diritto di ogni individuo alla presunzione d’innocenza, in una vicenda che riguardava alcuni giornalisti francesi che avevano pubblicato notizie su un’inchiesta relativa all’uso del doping nel ciclismo, riportando interi passaggi delle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche disposte durante l’inchiesta, ha ritenuto incompatibili con la Convenzione europea divieti assoluti relativi alla divulgazione di notizie su inchieste penali in corso, stabilendo che i giornalisti possono scegliere le modalità con le quali strutturare un articolo, includendovi stralci di intercettazioni (Ressiot).
In un altro caso, la Corte ha “legittimato” la pubblicazione di un articolo su un procedimento penale relativo ad alcune frodi fiscali senza indicare il nome dell’indagata, che era un’imprenditrice. Era stata pubblicata, però, la fotografia della donna, circostanza che aveva comportato una condanna per i giornalisti. Per la Corte, invece, è stata la Finlandia a violare la Convenzione non tenendo conto che le informazioni divulgate erano di interesse pubblico (caso Eerikäinen). La Corte ha ritenuto il verdetto contrario all’art. 10 perché i giudici nazionali non avevano valutato il diritto della collettività a ricevere informazioni.
Nella sentenza Mityanin e Leonov c. Russia, la Corte ha stabilito che il giornalista può pubblicare la fotografia di una persona sospettata di un reato se nell’articolo precisa che l’arrestato è solo accusato, chiarendo così, i termini della vicenda giudiziaria. Quindi, i giornalisti hanno il diritto/dovere di fornire informazioni sulle indagini in corso se c’è un interesse pubblico alla diffusione della notizia che contribuisce a un dibattito su una questione di interesse generale.
In un’altra occasione (Verlagsgruppe New GmbH), la Corte ha osservato che il giornalista ha diritto di svelare l’identità di una persona che potrebbe essere coinvolta in un procedimento giudiziario. Strasburgo ha chiarito che, nelle questioni giudiziarie, va evitato il cosiddetto “trial by the media” e garantito il diritto alla presunzione d’innocenza, ma la stampa ha l’obbligo di divulgare questioni di interesse generale e contribuire a informare la collettività. In questi casi – osserva Strasburgo – il margine di apprezzamento degli Stati e, quindi, l’ingerenza nel diritto alla libertà di stampa è ridotto, con la conseguenza che i giornalisti hanno un ampio margine di azione.
Un quadro che rende evidente la contrarietà dell’emendamento voluto dal Parlamento italiano con il diritto Ue, inclusa la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e anche con la Costituzione italiana.
* Marina Castellaneta. Notizie e commenti sul diritto internazionale e dell’Unione Europea
Fonte: Articolo 21
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