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I perché della prima adolescenza. Non è mai troppo presto per ascoltare un 12enne

Nando dalla Chiesa il . Costituzione, Cultura, Giovani, Memoria, Società

Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa. Appena visto quel pubblico di ragazzini di scuola media schierati davanti a me, avevo pensato di essere caduto in un agguato.

E che gli dico adesso, mi ero chiesto scrutandoli felpa per felpa. Certo, sembravano disciplinati, silenziosi, non tirava aria di aeroplanini. Ma che gli racconto di educazione alla legalità, di università e di Calvino, di devianti creativi e don Milani?

Venga a Velletri a parlare del suo ultimo libro, ci saranno un sacco di studenti, mi avevano detto. Eccolo, l’agguato. Eccolo il “sacco di studenti”. Sfidare lo sciopero dei treni, saltare un giorno di lavoro e spostarlo alla domenica, per parlare a undicenni e dodicenni portati davanti a te con la solita scusa che “hanno fatto un percorso”.

C’era solo da fare buon viso a cattivo gioco. Mettere da parte ogni appunto, ogni oggetto di conversazione con la libraia e alzarsi in piedi. Muoversi tra gli alunni come un valletto televisivo. E fare domande. Che cos’è per te la legalità? Come ti chiami? Quanti anni hai?

I giovanissimi interlocutori iniziano a rispondere. Undici, dodici anni. La legalità significa tenere uno stile di vita fondato sulle regole. Che tipo di regole? Secondo me di rispetto per gli altri. Devono essere regole scritte, a tuo avviso? No, possono non esserlo. Una parola dopo l’altra vengo conquistato da un liberatorio senso di sorpresa.

Questi ragazzini riuniti tra i bellissimi affreschi di villa Pamphilj Doria di Valmontone (Roma), il celebre “percorso” l’hanno fatto veramente. Per i 75 anni di una Costituzione che altri vorrebbero rovesciare come un cappotto vecchio. Le insegnanti se li godono in silenzio. Il mondo scoppia di illegalità, ma loro danno lo stesso un senso alla materia, la affrontano, la maneggiano senza retorica.

Stefano, per esempio, spiega con assoluta originalità che cosa sia per lui la legalità. “E’ uno schema da osservare, sì, uno schema: quello che devo fare durante la giornata. Le ore di scuola, quelle di nuoto, il calcio quando c’è. So che devo fare quelle cose e lo rispetto”. Legalità come dovere, insomma, come vincolo per realizzare la propria piccola “cittadinanza”. Forse volo alto nelle mie interpretazioni. Ma non poi troppo.

Perché quando rientro al mio posto e viene chiesto se qualcuno ha delle domande da fare, è di nuovo Stefano a chiedere la parola, uscire e porre la domanda più radicale a testa china, quasi temesse di confrontarsi con qualcosa di troppo più grande di lui. “Ma perché?”, chiede accorato più volte. “Perché c’è chi usa la violenza contro gli altri? Perché questi mafiosi lo fanno? E non solo loro, sono tanti a farlo”. Gli esce dal cuore un riferimento timido e fugace a quel che accade nel mondo. Borbotta qualcosa sulla guerra. “Perché questa prepotenza? Che cos’è alla fine la legalità?”.

Eccoli dunque i perché della prima adolescenza, quelli a cui nemmeno Henry Kissinger sarebbe  stato in grado di rispondere, al di là dei compiaciuti guizzi di cinismo. Poi la parola la chiede Thomas. E subito dopo è la volta di Gioele. Vogliono sapere del cyberbullismo, della violenza in rete, della tecnologia e dei suoi effetti sulla legalità (stiamo parlando di scuole medie, lo ricordo). Che cosa ne pensa lei dell’uso del telefonino? A che età è giusto averlo? Ed è giusto che quello che vi viene scritto venga sorvegliato? Giungono gli echi di difficili discussioni familiari, ma irrompono anche orizzonti planetari.

Le dodici scuole del “Consorzio Castelli della Sapienza” distillano con freschezza quel che vi si è accumulato nei mesi. Non frasi fatte, ma emozioni e preoccupazioni vere. Irrompe anche il tema Lgbt, il genere fluido, moderno terreno della libertà, con relativa ingenua convinzione che l’uso del maschile e del femminile possa ormai costare una denuncia.

Serpeggia velocemente tra i presenti, e soprattutto nella mia mente, la sensazione che sia proprio vero. La legalità è qualcosa che va insegnata alle nuove generazioni sin dalla più piccola età. Ma è pure una cosa che i più piccoli possono insegnare agli adulti.

Cinque-sei domande appuntite come diamanti, due-tre obiezioni cartesiane, e tutto cambia. Senza urlare. Pace, ambiente, violenza…

Perché il mondo, ed è pazzesco dirlo oggi, si può rovesciare anche sottovoce.

Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 04/12/2023

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