“Per tre mesi al lavoro tra gli schiavi moderni”
Marco Omizzolo racconta il caporalato a Legnano. Il sociologo, ricercatore e giornalista ha portato a Palazzo Leone da Perego il suo libro “Sfruttamento e caporalato. Il ruolo degli enti locali in Italia” edito da Avviso Pubblico: “Alcune scelte possono cambiare le vite di molti”.
Marco Omizzolo (ndr a destra nella foto), nel 2010, ha lavorato per tre mesi nei campi, assunto da un caporale, insieme a decine di stranieri con una paga da fame, un alloggio che era una baracca e con turni massacranti di 12 ore al giorno. La sua esperienza immersiva è alla base dell’ impegno che ha profuso in questi anni contro il caporalato e che ha riassunto in vari libri tra i quali “Sfruttamento e caporalato. Il ruolo degli enti locali in Italia” edito da Avviso Pubblico e presentato a Legnano giovedì sera.
Omizzolo non è un agricoltore, non è un sindacalista e non è uno straniero ma un sociologo che insegna sociologia politica in varie università italiane, è presidente del centro Tempi Moderni, è un ricercatore Eurispes, ha contribuito da consulente alla legge 199/2016 sul caporalato e ha fatto partire numerose inchieste della magistratura sullo sfruttamento in agricoltura e non solo. Oggi vive sotto vigilanza armata, non può mettere piede a Latina e deve sempre avvisare se si trova a Roma.
Ieri sera è stato protagonista a Palazzo Leone da Perego di Legnano nell’ambito di “Passi di legalità”, il percorso costruito dall’amministrazione comunale insieme a Libera e ad Avviso Pubblico che ha editato il libro: «Non potevamo trovare modo migliore di utilizzare i fondi che abbiamo ricevuto dal Ministero per il progetto Amministratori sotto tiro» – ha detto in apertura l’assessore al Quotidiano Monica Berna Nasca.
L’incontro, moderato dal giornalista di Varesenews Orlando Mastrillo, è entrato nel vivo partendo proprio dal racconto di Omizzolo che sta pagando sulla propria pelle (ha subito diversi attentati) il suo impegno per il miglioramento delle condizioni di vita degli «oltre 200 mila schiavi moderni che garantiscono la filiera agro-alimentare in Italia, la consegna dei milioni di pacchi e cibo da parte di corrieri e rider, la manovalanza a basso costo nei cantieri edili e in generale tutti quei “lavori che gli italiani non vogliono più fare”» – ma che spesso sono proprio gli italiani a fare. Omizzolo ha ricordato, infatti, il caso di Paola Clemente, la bracciante pugliese morta di fatica nel 2015: «È stato il suo caso a ispirare la legge contro il caporalato»
«Tutto questo non avviene all’oscuro del resto della popolazione ma proprio davanti ai nostri occhi – dice mostrando un campo con diversi lavoratori intenti a raccogliere, circondati da case -. Chi abita in quelle case è difficile che non si accorga che quelle persone iniziano a lavorare prima dell’alba e continuano per tutto il giorno con brevissime pause».
Omizzolo racconta la gestione dei lavoratori da parte dei caporali, spesso stranieri che polarizzano attorno a loro connazionali spaesati in cerca di un’occupazione per sopravvivere: «Vivono in un micromondo che li opprime e non permette loro di alzare lo sguardo oltre quello che gli viene insegnato dal caporale. L’imprenditore è il padrone, non conoscono i loro diritti, non accedono alla sanità, vivono sotto la minaccia costante che qualcun’altro prenda il loro posto e accettano condizioni di vita ben al di sotto della soglia di dignità».
Ma il caporalato non è solo quello agricolo e, dunque, si passa a parlare di quello digitale: «Anche il sistema che regola e gestisce le consegne dei rider è una forma di schiavitù moderna. Tutto è emerso quando il pm Greco di Milano ha indagato sulle principali piattaforme di consegna a domicilio e le ha sanzionate per oltre 700 milioni di euro, costringendole a modificare i criteri per l’affidamento delle consegne e ad assumerli».
Nel libro sono molti i casi citati ma ce ne sono anche di positivi che mostrano come le amministrazioni comunali, attraverso una serie di buone pratiche, possono mettere un freno a certi fenomeni sui propri territori: «Penso alla questione dei subappalti nell’edilizia quando si tratta di commesse pubbliche, all’assunzione di mediatori culturali e linguistici che aiutino gli stranieri ad orientarsi e a non dipendere sempre dal caporale anche per un documento, alla traduzione dei principali servizi sui portali comunali nelle lingue maggiormente parlate dalle comunità straniere (cosa che a Legnano esiste, specifica l’assessore Berna Nasca). Poi ci sono anche scelte etiche e simboliche che, però, possono iniziare a scardinare una certa cultura: scegliere prodotti che provengono da esperienze di contrasto allo sfuttamento come “Pietra di Scarto” a Cerignola per le mense scolastiche».
In giro per l’Italia, da nord a sud, c’è chi si impegna a far emergere queste vicende e a colpire gli interessi dell’organizzazione criminale, spesso diretta anche dalle mafie: «Una bella esperienza è Pietra di Scarto dove un pezzo di campagna pugliese strappato al mafioso della zona è diventato un’esperienza che ha salvato tanti braccianti sfruttati. A Verona è nato il sistema Agri.Bi che mette insieme sindacati e associazioni di imprese per regolare i flussi di manodopera che sorreggono tutta la filiera agricola veneta oppure l’esperienza di Co.Val.Pa. nel Fucino».
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