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“Considero Valore”. La poesia può entrare anche in carcere. E poi strappare un sorriso

Nando dalla Chiesa il . Costituzione, Criminalità, Diritti, Giustizia, Istituzioni, SIcurezza, Società

Quali valori? “Risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe”, ad esempio; “un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si è risparmiato”, “il vino finché dura il pasto” o anche “due vecchi che si amano”. Perfino “sapere qual è il vento che sta asciugando il bucato” o “La pazienza del condannato, qualunque colpa sia”.

E forse, chissà, proprio quest’ultimo valore ha generato negli ospiti della casa circondariale di Brindisi il bisogno di fare proprio lo stile, l’ispirazione della poesia. Tanto da riscriverla, rispettandone l’impianto ma inserendovi con leggerezza quel che più appare loro “valore” per la vita in corso e quella a cui attendono di tornare. Dice così, la loro poesia:

“Considero valore la vita./ Considero valore colui che è capace di strapparmi un sorriso genuino, sobrio e spontaneo./ Considero valore il primo caffè del mattino./ Considero valore un sorriso e ogni piccolo gesto rivolto a me nella quotidianità./ Considero valore la mia terra e la domenica con i pranzi di famiglia./ Considero valore l’abbraccio di un figlio che sorride./ Considero valore tutto quello che è accaduto nella mia vita perché le esperienze mi hanno aiutato a capire e mi danno la forza di andare avanti./ Considero valore il Paradiso, ammesso ne esista uno./ Considero valore il ricordo di mia madre./ Considero valore il benessere di un amore./ Considero valore l’unicità di ogni persona che conosco./ Considero valore l’attesa./ Considero valore la libertà./ E considero valore tutti i valori che vorrei aggiungere e che ancora ho voglia di imparare”.

Me l’hanno letta ad alta voce durante un incontro tenuto presso la Casa poche mattine fa, facendomi scoprire appunto che università e carcere discutono, nel tentativo di andare “oltre”, la stessa poesia. Ne sono rimasto incantato. E ho subito pensato che andasse portata all’esterno. Così come va portato all’esterno tutto il loro lavoro educativo e partecipativo, in cui li guidano assistenti sociali, professionisti e insegnanti appassionati. Divisi per gruppi e progetti.

Ad esempio il laboratorio “Smanettarte”, che ha portato in aprile i detenuti a dare voce, uno alla volta, alle vittime innocenti delle mafie, a “rendere omaggio al ricordo della loro e della nostra umanità” mentre sul pulpito della cappella erano disposte simbolicamente otto tute bianche macchiate di vernice rossa. O al gruppo di scrittura che ha appena dato vita al numero zero di una rivista, “Buona! Il Mondo visto da dentro”.

L’ho avuta tra le mani, l’opposto assoluto di quelle patinate, i fronteretro incollati uno sopra l’altro. Pagine contro bullismo e cyberbullsimo (“siamo tutti coinvolti”), critiche verso quei giudici che per giungere alla condanna modellano a loro arbitrio i fatti violando la nostra “gloriosa Costituzione”. Né manca l’ironia di ruolo della redazione. Come nell’oroscopo finale. Bilancia: “Per questo mese misurate a occhio, fate sparire i bilancini!”. O Pesci: “Si prevedono forti perturbazioni e pesca a strascico: attenti alle retate nel fine settimana”.

Quando si parla di educazione alla legalità è davvero bene non dimenticare la complessità e creatività dei processi che la alimentano. E che la legalità non la insegnano solo gli adulti ai piccoli, ma certe volte nemmeno (oso dire) solo quelli che stanno fuori a quelli che stanno dentro.

Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 20/11/2023

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Piemonte 11 anni per intitolarle uno spazio. Cos’altro deve ancora pagare Rita Atria?

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