La distruzione della sanità pubblica
Molte teste imbiancate, ha fatto notare qualcuno sabato a Roma alla manifestazione del Pd.
Probabilmente è vero, ma la voce di un giovane medico specializzando a Firenze in genetica medica, Stefano Cuccoli, è risuonata forte e potente in quella piazza forse non ancora affollata di giornalisti che cercavano i leader.
Ma c’era quel giovane medico con i capelli neri, e in quella piazza, non si è parlato di prostata come qualcuno ha scritto ma di prevenzione tumorale che funziona solo se gratuita e di massa, e poi in modo chiaro e semplice ha fatto comprendere qual è il ruolo silenzioso e fondamentale della sanità pubblica.
Ha parlato di quello che studia e che conosce, di malattie rare che ormai tanto rare non sono.
La medicina infatti è in continua evoluzione e oggi siamo in grado di identificare precocemente con lo screening alla nascita molte malattie genetiche e metaboliche e siamo in grado di trattare per esempio una malattia degenerativa grave come l’atrofia muscolare spinale, e il costo del farmaco che si aggira intorno ai due milioni di euro, viene totalmente rimborsato dal SSN.
Il numero di malattie rare conosciute e diagnosticate è di circa 10.000, ma è una cifra che cresce con l’avanzare delle conoscenza scientifiche e, in particolare, con i progressi della ricerca genetica. Stiamo dunque parlando non di pochi malati, ma di circa 2 milioni nel nostro paese e nel 70% dei casi si tratta di pazienti in età pediatrica.
Si stima, ha affermato il giovane collega dal palco di Roma, che queste famiglie dovrebbero spendere circa 100.000 euro l’anno per curarsi se non ci fosse il SSN.
Se viene a mancare la sanità pubblica, se non la si finanzia adeguatamente immettendo più risorse, non in assoluto ma in rapporto al PIL del Paese, (e l’Italia con il 6,8% del PIL è al di sotto di 0,3 punti percentuali rispetto alla media OCSE che è del 7,1%), la evidente conseguenza è che chi i soldi li ha, si potrà curare, chi non li ha, sarà condannato per sempre.
Questo è il ruolo silenzioso ma fondamentale che tanti medici, ricercatori, infermieri svolgono ogni giorno insieme. E i tanti medici con le teste grigie sabato a Roma affollavano quella piazza, perché credono nella sanità pubblica che garantisce a tutti il diritto alla salute, a prescindere dal reddito.
Sono stati definiti eroi quando durante la pandemia hanno sopportato il peso enorme di un lavoro massacrante che ha messo a dura prova la resistenza di tanti che stavano affrontando una nuova patologia sconosciuta e gravissima. Li hanno chiamati eroi quando si contava il numero di medici deceduti per Covid, quasi 400 sia negli ospedali che sul territorio e quasi 100 gli infermieri.
È stata istituita con la Legge 13 novembre 2020 la giornata per onorare il loro lavoro nel corso della pandemia da coronavirus e poi non si procede a una “rivalutazione del trattamento economico di chi ogni giorno è impegnato nel servizio sanitario pubblico” come ha affermato il ministro della salute Schillaci, medico pure lui.
Ma addirittura nella manovra di bilancio si tagliano le pensioni proprio a coloro che soltanto tre anni fa hanno portato il paese fuori dalla pandemia.
Si sta evidentemente provando a distruggere il SSN e l’autonomia differenziata, se attuata, ne decreterà per sempre la fine, perché scompare il principio di solidarietà che è alla base di un’equa distribuzione delle ricchezze.
Si stanno minando alla base i principi fondanti del SSN: universalità, uguaglianza, equità. Si sta di fatto rendendo l’accesso alle cure un privilegio di pochi.
Questo è inaccettabile e proprio per questo in quella piazza c’erano tanti con i capelli grigi, silenziosi ma decisi a far valere i loro diritti e quelli dei cittadini che hanno bisogno di una sanità pubblica e di qualità come si leggeva in uno striscione ai piedi del palco portato con dignità e decisione dai quei medici con i capelli grigi, molti napoletani.
Fonte: La Repubblica/Napoli, 13/11/2023
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