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Più visibilità in tv alle vittime di mafia

Paolo Siani  il . Cultura, Diritti, Giovani, Mafie, Memoria

La polemica sulla fiction di Tornatore su Cutolo riproposta dopo 38 anni al Festival del cinema di Roma e Claudio Salvia è una polemica che non mi sorprende e che ripropone un vecchio e doloroso dilemma: è giusto dare voce e visibilità alle mafie?

È giusto raccontare le nefaste vicende di chi si è macchiato di crimini orrendi? È possibile che raccontando queste storie si determini una sorta di spirito di emulazione? Raccontare Gomorra e svelare al mondo intero la violenza della camorra rende attraente quel mondo e crea dei “miti” da emulare ?

Prendiamo “Mare fuori”, straordinaria e acclamata fiction, che ha dato uno spaccato molto vicino alla realtà del mondo della criminalità minorile in Campania.

Farà seguaci o piuttosto allontanerà da quel mondo i ragazzi che appartengono a famiglie mafiose o che vivono in un alone di mafia e che stanno un po’ di qua e un po’ di la? Servirà a far capire a chi governa che per sottrarre quei ragazzi alle mafie bisogna investire su di loro prima che scelgano la strada della malavita?

La cosa che emerge infatti in modo emblematico e al tempo stesso drammatico è la mancanza della scuola nella vita di quei ragazzi, la mancanza di un insegnante che abbia riconosciuto i talenti che ognuno di quei ragazzi ha, ma che vanno scoperti e coltivati. A volte lo fanno gli educatori in carcere, come avviene nella fiction, ma è purtroppo troppo tardi per cambiare le loro traiettorie di vita.

Ecco il cinema serve anche a far pensare e a far riflettere.

È innegabile che il capolavoro di Francis Ford Coppola, il Padrino, uscito  mezzo secolo fa, fece conoscere al mondo la mafia e la famiglia Corleone.

La verità è che andrebbero raccontate con più enfasi e con un maggiore impegno delle case di distribuzione le storie delle vittime delle mafie, e ci sono film che le raccontano ma che non  hanno ricevuto la stessa visibilità e diffusione de Il camorrista o di Gomorra.

Ha ragione Claudio Salvia quando chiede rispetto per le vittime.

Così come ha ragione il regista che rivendica il film come un atto di denuncia, un’opportunità di maggiore conoscenza del fenomeno per renderne più forte la lotta.

A me piacerebbe però per rendere più efficace e anche più evidente e incisiva la lotta alla criminalità organizzata che al termine di tutte le fiction sulle mafie venisse proiettato il lungo elenco di vittime che hanno causato quei mafiosi. A me sarebbe piaciuto se  dopo la fiction “Il camorrista” fosse stato proiettato anche il film sulla storia di Giuseppe Salvia “Le ultime parole del boss”.

Perché come ha dimostrato una ricerca condotta a Napoli dagli studenti anticamorra e da Il Mattino i ragazzi conoscono molto di più i nomi e le storie dei mafiosi che quelli delle vittime.

Se iniziamo a raccontare le mafie dalla parte delle vittime certamente allontaneremo dalla mente dei ragazzi quella sorta di “brand mafioso” che fa sembrare forti, immortali e  potenti degli assassini.

E allora si potrebbe chiedere al Festival di Roma per il prossimo anno di proiettare “Le ultime parole del boss”: dedicato alla storia di Giuseppe Salvia o “Seduto su una polveriera” il docufilm sulla storia di Marcello Torre sindaco di Pagani ucciso dai sicari di Cutolo.

Raccontare il male è certamente più affascinante, ma far appassionare sceneggiatori e registi alle straordinarie vite di donne e uomini “normali” che hanno pagato con la vita il loro impegno per la legalità sarebbe un gran successo per la vita civile del nostro paese e servirebbe anche ad attenuare il dolore senza fine dei familiari delle vittime.

Fonte: La Repubblica/Napoli, 30/10/2023

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